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Intervista a Elena Serra. Marcel Marceau, l’arte del mimo e alcuni equivoci

L’appuntamento è alle 13, una pausa veloce per poi riprendere lo stage teatrale che sta conducendo a Torino, la sua città natale. Parliamo con Elena Serra, attrice, regista e docente di mimo, per vent’anni a fianco di Marcel Marceau: chi meglio di lei può raccontarci ‘una vita nel teatro’, svelandoci il maestro che si celava nel celebre attore e chiarirci le idee su un’arte spesso fraintesa?

L'attrice Elena Serra
L’attrice Elena Serra

Come sei arrivata da Torino a Parigi? Perché hai scelto di dedicarti al mimo?

In realtà è stato casuale. Ho cominciato con la danza, il teatro, la scultura e la musica; frequentavo l’istituto statale d’arte e volevo fare la costumista in teatro. Roteavo intorno a queste discipline senza mai prenderne una in mano… Quando ho scoperto, da un volantino nella mia scuola di danza, di un seminario di un mese in Toscana con Marcel Marceau, mi sono detta: perché no? E fu una rivelazione: in quell’arte per me c’erano la forza della scultura, la leggerezza della danza, la profondità del teatro e il ritmo della musica.

E da lì è iniziato tutto…

Sì, sono andata a Parigi, alla scuola di Marceau e dopo ho avuto la fortuna che mi chiedesse di accompagnarlo nei suoi workshop in America, così ho prolungato la formazione. Ho continuato prendendo appunti durante i suoi corsi, finché un giorno, a forza di avermi al suo fianco, mi chiese di sostituirlo a scuola quando era in tournée, quindi ho cominciato a insegnare.

Ricordi con Marcel Marceau. Elena Serra è alla sua destra
Ricordi con Marcel Marceau. Elena Serra è alla sua destra

Che ricordo hai di Marcel Marceau come pedagogo?

Marceau era un uomo assolutamente umile, semplice, molto bambino, ma con un carattere forte ed esigente. Aveva molto interesse per le nostre creazioni, per quello che noi giovani volevamo dire. Per lui il teatro è sempre stato – e lo è – sociale, politico: attraverso il teatro l’artista deve dire qualcosa. Ci diceva: “Tirate fuori il vostro urlo silenzioso quando siete in pubblico”.

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Questo è il lato meno conosciuto di Marceau: quando si parla di maestri dell’arte del mimo si citano Etienne Decroux e Jacques Lecoq, ma non sempre lui.

Decroux e Lecoq si sono dedicati più alla grammatica del mimo che alla scena, perciò si pensa che Marcel Marceau fosse un artista più individualista. Chi l’ha conosciuto sa che Marceau ha sempre voluto una compagnia e l’ha avuta negli anni Cinquanta; poi ha continuato da solo, ma ha fondato una scuola e a ottant’anni si è ributtato in scena con i giovani… A volte chi parla di Marceau non lo conosce bene.

Sembra così anche per il mimo: molti lo identificano con i gesti caricaturali di chi in strada si improvvisa statua immobile o finge di toccare un muro…

L’equivoco è nato perché proprio persone come Marceau hanno reso il mimo un’arte popolare, ma poi la situazione è peggiorata: su Youtube si vedono scene patetiche con guanti bianchi e maglie a righe…

Quando la parola ‘mimo’ si allontana dal teatro perde il suo valore. Il mimo è teatro e deve essere teatro. Con tutto il rispetto che ho per il teatro di strada – anch’io lo faccio, non fraintendermi – credo che gli artisti che si danno un gran da fare, buttati sul palco più difficile, la strada, debbano difendere il proprio lavoro dai ciarlatani.

Il problema è questo: quando si imita e basta, si esce dal teatro; se invece si incarna, ci si identifica, ci si trasforma e si racconta, questo è teatro.

Foto di Noemi Marcandelli
Foto di Noemi Marcandelli

Il mimo cosa può rappresentare oggi e qual è il suo futuro?

Ho sempre pensato che l’arte del mimo fosse l’arte primordiale dell’attore perché è l’arte dell’infanzia: il bambino imita l’adulto e il mondo che lo circonda per confrontarsi.

Penso che il mimo stia rinascendo dalle ceneri dei grandi maestri. Il corpo dell’attore deve sapersi trasformare per diventare strumento drammatico, perciò un attore dovrebbe conoscere più tecniche, perché più si conosce e meno si copia e quindi si re-inventa


Alice Laspina

Nata nella bergamasca da famiglia siciliana, scopro che il teatro, lo studio e la scrittura non sono che piacevoli “artifici” per scoprire e raccontare qualcosa di più “vero” sulla vita e la società, sugli altri e se stessi. Dopo il liceo artistico mi laureo in Scienze e Tecnologie delle Arti e dello Spettacolo e sempre girovagando tra nord e sud Italia, tra spettacoli e laboratori teatrali, mi sono laureata in Lettere Moderne con una tesi di analisi linguistica sul reportage di guerra odierno. Mi unisco alla ciurma di Pequod nel 2013 e attualmente sono responsabile della sezione Cultura, non senza qualche incursione tra temi di attualità e politica.

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