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Alla scoperta di: Marco Bartoletti

Carta d’identità

Nome: Marco

Cognome: Bartoletti

Età: 51 anni

Provenienza: Calenzano (FI)

Professione: Imprenditore

Ogni giorno siamo investiti di notizie, dati e statistiche che evidenziano sempre più quanto gli ultimi 6 anni di dura recessione stiano logorando questo Paese. E sempre più spesso ci viene l’istinto di fuggire da queste notizie che non fanno altro che aumentare la nostra depressione e il nostro scoraggiamento. La delocalizzazione, la mancanza di posti di lavoro e la difficoltà economica non sembrano lasciare spazio alle piccole aziende che da sempre tengono in piedi l’economia italiana.

In mezzo a questa desolazione però ci sono piccole stelle luminose che permettono alla nostra speranza di restare a galla. Una di queste è sicuramente l’azienda di Marco Bartoletti, 51 anni, imprenditore di Calenzano in provincia di Firenze.

Andiamo con ordine: Bartoletti ha iniziato a lavorare nel 2000, quando la sua “azienda” consisteva in: due operai (oltre a lui), torni recuperati dalla discarica e tanto lavoro. Producevano oggettistica di lusso per automobili costose. Poi, ad un certo punto, la svolta: una casa di moda molto prestigiosa ha incaricato la sua azienda di produrre piccoli oggetti hi-tech di lusso con quella cura e quella qualità che solo il vero made in Italy artigianale sa creare. Da lì la produzione ha iniziato ad aumentare e l’azienda a crescere, fino a che i dipendenti sono diventati 250 e il fatturato si è moltiplicato.

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Sede dell’azienda BBS.P.A.

Fino a qui, un bell’esempio di successo imprenditoriale raro di questi tempi, ma non così unico. Ciò che rende questa storia veramente speciale è che questo successo imprenditoriale ne nasconde uno umano ancor più straordinario e importante: nella sua azienda il signor Bartoletti assume, tra gli altri, anziani, stranieri (circa un terzo dei dipendenti), donne (il 50% dell’organico), ma soprattutto malati oncologici.

La sua filosofia è talmente semplice che risulta disarmante: “ Se nella società esistono i malati di cancro, come si può pensare che non ci siano in un’azienda?”. E così ad una ragazza che, presentandosi in lacrime al colloquio di lavoro, perché le era stato diagnosticato un tumore il giorno prima, si scusava per non poter accettare il lavoro, Bartoletti ha risposto che essere malati è un buon motivo per lavorare e l’ha assunta.

Non si tratta di buonismo, infatti, come qualsiasi altro imprenditore, Bartoletti tratta i malati come gli altri dipendenti: li assume, se crede che abbiano un curriculum adatto, e li promuove quando e se se lo meritano; eppure dà loro la cosa più importante: la dignità e un motivo in più per continuare la loro lotta contro la malattia. Ed è proprio questa attenzione all’aspetto umano e alla persona che fa la differenza; per esempio l’imprenditore fiorentino ha introdotto nel suo team una psicologa per dare sostegno a chiunque in azienda ne abbia bisogno.

A chi pensa che il successo dell’azienda ne risenta, Bartoletti risponde che “non è una soluzione antieconomica, non provoca danni all’attività. Anzi, una volta trovata la modalità d’impiego adeguata al singolo caso, ho dei vantaggi perché queste persone s’impegnano di più, fanno ogni giorno del loro meglio. E finiscono per essere dei lavoratori migliori rispetto a chi è sano ma svogliato”. E c’è da credergli visto che la sua azienda mantiene un fatturato di 40 milioni di euro e 250 dipendenti!

Il suo sogno ora è quello di creare un’azienda con solo persone malate come soci, gestori e operai, e a noi non rimane che augurarglielo e augurarcelo, sperando che qualcuno segua il suo esempio.

 

In copertina: Veduta di Calenzano [ph. Marco Niccoli CC BY-SA 3.0/Wikimedia Commons]


Clara Amodeo

Classe 1989, nasco a Milano dove frequento il Liceo Classico Parini. Forse con la benedizione del mio ben più noto predecessore compagno di scuola, Walter Tobagi, intraprendo la sua stessa strada lavorativa iniziando a collaborare con una testata giornalistica di Sesto San Giovanni, proprio quando, nel 2008, mi iscrivo al corso di laurea triennale in Scienze dei Beni Culturali. Da quattro anni sono pubblicista all’Ordine dei Giornalisti di Lombardia, e, per non farmi mancare nulla, conseguo anche la laurea magistrale nel corso in Storia e Critica dell’Arte nel 2014. Attualmente frequento la Scuola di Giornalismo Walter Tobagi di Milano, forte di un’esperienza non solo redazionale ma anche direttiva: sono infatti vicedirettrice del sito Pequod rivista.

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