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Russia terraferma. Notizie dal sistema carcerario russo

Dai tetti ai campi, dall’anonimato alle luci della ribalta in poco più di due anni: la storia del gruppo punk-rock russo Pussy Riot è oggi seguita dalle redazioni internazionali, per aggiornarci sulle vicende giudiziarie di tre giovanissime componenti più che sulle loro rocambolesche artistico-politiche. Di Maria Alyokhina, Yekaterina Samutsevich e Nadežda Tolokonnikova – accusate di teppismo e offesa al sentimento religioso dei credenti (ortodossi) e condannate a due anni di reclusione in campi di lavoro per aver intonato una sorta di preghiera punk alla Beata Vergine Maria contro la campagna di Putin, il 21 febbraio 2012, nella Cattedrale di Cristo Salvatore (Mosca) – s’è tanto detto e scritto, dalle reazioni ufficiali di Putin e del patriarca Cirillo I alla solidarietà del popolo russo e di star come Paul McCartney e Madonna; dalle rivelazioni dello Spiegel sulla presenza di infiltrati per manipolare il processo ai ritorni pubblicitari (con tanto di offerta di un servizio fotografico su Playboy a Nadežda).

Alla luce di questa esposizione mediatica e della conseguente aspettativa per cui ci si debba schierare da un lato o dall’altro della barricata, a sostegno di cause non sempre appropriate alla situazione (una tra tutte, quella femminista, come testimoniato anche dalle recenti manifestazioni italiane in occasione del 25 novembre), si apre una prospettiva diversa, a tratti sorprendente, con la lettura del carteggio tra il filosofo Slavoj Žižek e Nadežda Tolokonnikova sulle ultime pagine del nuovo numero di MicroMega (8/2013). L’ostacolo della censura ha rallentato la corrispondenza ma ha portato Tolokonnikova a evitare espliciti riferimenti alla propria quotidianità carceraria e a presentare le azioni del collettivo russo come atti di una strategia culturale precisa, espressioni di una «solida convinzione etico-politica».

I due si confrontano sulla deriva del capitalismo contemporaneo, che per il filosofo sloveno si è appropriato della dinamica rivoluzionaria e «trasforma la vita “normale” in un continuo carnevale», ma Tolokonnikova smonta questa avvincente montatura pubblicitaria per parlarci di un mondo nascosto (d)allo sguardo dell’Occidente consumista. L’incrollabile “normalità” della legge della produzione centralizzata e gerarchica domina su milioni di lavoratori, ai quali non è certo concessa alcuna stravaganza. L’obiettivo dei militanti (e l’invito agli intellettuali), allora, sarà smascherare questo inganno globale dall’interno, per tentare di alterarne la natura e volgerla verso le proprie convinzioni; per liberare le «zone economiche speciali» dei paesi in via di sviluppo dalle logiche dello sfruttamento. Affinché i «territori liberati» di cui parla Žižek possano dirsi davvero tali.

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Nadežda Tolokonnikova.

Lo sguardo della Tolokonnikova è in questo senso privilegiato, se così si può dire, come quello di altri “carcerati eccellenti” – tra gli ultimi, l’avvocato Aleksej Naval’ nyj, simbolo della protesta antigovernativa grazie al suo seguitissimo blog, dal quale ha denunciato scandali finanziari legati a grandi aziende a partecipazione statale e la disparità economica nella società caucasica. Naval’ nyj è stato condannato per appropriazione indebita, ma non verrà beneficiato dall’amnistia che Putin intende varare per il 20° anniversario della Costituzione russa, soprattutto dopo l’annuncio della sua candidatura come leader d’opposizione alle elezioni comunali di Mosca, nel 2014, e alle presidenziali del 2018.

Come gli Artic 30 di Greenpeace, anche le ormai due componenti delle Pussy Riot verranno coperte da questa amnistia (la Samutsevich è stata scarcerata perché non coinvolta direttamente nei fatti), ma dell’esperienza di reclusione rimangono i numerosi scritti della Tolokonnikova, tra cui la lettera aperta del 23 settembre scritta dalla colonia penale n° 14 del paese di Parts, in Mordovia, prima di essere trasferita in Siberia proprio per la denuncia pubblica delle condizioni cui era sottoposta.

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La colonia penale in Mordavia, esterno recintato con alti muri e filo spinato.

 

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La colonia penale in Mordavia, interno di una camerata.

Il Codice Penale della Federazione Russa prevede solo «villaggi-colonie» e, per i reati più gravi, «colonie correzionali a regime comune» (sezione 3, art. 58), in cui il regime di reclusione sembra più blando di quello in vigore nei campi maschili, ma le circa 46 colonie penali femminili riportano all’immagine dell’arcipelago gulag staliniano. Turni di lavoro massacranti e paghe misere per cucire le uniformi della polizia e dell’esercito russi; camerate sovraffollate e locali scarsamente puliti; difficoltà delle madri a stare con i figli più piccoli (due ore al giorno, sempre che la donna sia reclusa in uno dei 13 campi con orfanotrofio). Ma soprattutto l’umiliazione, l’isolamento e le pressioni psicologiche spesso esercitate indirettamente, aizzando l’odio tra le detenute, cosicché siano loro stesse a punire una donna per il suo comportamento, picchiandola o ostacolandone il lavoro. Questo tipo di convivenza impedisce di essere premiati per buona condotta, così come il collaborazionismo, che permette ad alcuni di godere di un trattamento nettamente migliore o addirittura una scarcerazione anticipata pagando la polizia penitenziaria.

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Detenute nel campo di lavoro in Mordovia, nell’estrema parte orientale della Russia, dove la Tlokonnikova ha scontato il suo primo periodo di detenzione.

Negli anni Novanta sono state approvate le prime riforme del sistema penitenziario dai tempi del regime sovietico, con due specifici obiettivi: la riduzione del numero di detenuti, per il quale la Russia ha mantenuto per anni un triste primato, e l’adesione ai regolamenti internazionali. La depenalizzazione di reati come i piccoli furti, molto frequenti all’epoca di Gorbačëv e della prima, traumatica liberalizzazione del mercato, ha diminuito considerevolmente le condanne, ma già nel 2012 la Russia si riconfermava lo Stato europeo con il tasso di popolazione carceraria più alto. Gli organi internazionali per la tutela dei diritti dell’uomo e le ONG russe lamentano l’assenza di politiche per affrontare gli squilibri sociali e continuano a sollevare preoccupazioni su abusi, tentate rivolte e morti inspiegabili all’interno delle strutture, in cui le condizioni dei carcerati sono descritte in termini di “tortura”.

Quella dell’odierna Russia è una realtà sociopolitica difficile e problematica, anche perché legittimata dal tacito assenso dei paesi occidentali, che non hanno ancora dato una prova della volontà di cambiare la situazione politica ed economica attuale. Potrebbe esserlo, suggerisce la Tolokonnikova, il boicottaggio delle Olimpiadi 2014, che si svolgeranno a Soči. «A mio modesto parere – scrive – i paesi “sviluppati” danno prova di un conformismo eccessivo e di una lealtà esagerata nei confronti di governi che opprimono i propri cittadini e ne ledono i diritti».

E mentre la Russia di Putin cerca di proteggere la sua immagine internazionale, l’Unione Europea non si è ancora posta l’obiettivo di definire con chiarezza i suoi rapporti con il vicinato, uno dei paesi più grandi del mondo, leader nei settori di punta di gas e petrolio. Una terraferma, scossa da proteste sempre più condivise nelle piazze di tutto il mondo.

Gulag, Nadezda tolokonnikova, Pussy Riot, Putin, sistema penitenziario russo, Slavoj Zizek


Alice Laspina

Nata nella bergamasca da famiglia siciliana, scopro che il teatro, lo studio e la scrittura non sono che piacevoli “artifici” per scoprire e raccontare qualcosa di più “vero” sulla vita e la società, sugli altri e se stessi. Dopo il liceo artistico mi laureo in Scienze e Tecnologie delle Arti e dello Spettacolo e sempre girovagando tra nord e sud Italia, tra spettacoli e laboratori teatrali, mi sono laureata in Lettere Moderne con una tesi di analisi linguistica sul reportage di guerra odierno. Mi unisco alla ciurma di Pequod nel 2013 e attualmente sono responsabile della sezione Cultura, non senza qualche incursione tra temi di attualità e politica.

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