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Palestra popolare di San Lorenzo: storia e resistenza di un ideale di sport per tutti

Quando parlo con i membri dell’associazione che gestisce la palestra popolare di San Lorenzo a Roma, la storia che mi raccontano è fatta di passione per lo sport e di attenzione per i bisogni del quartiere che la ospita. Come mi spiegano, il centro nasce nel 1998 «dalla constatazione della pressoché totale mancanza di spazi per fare sport nel quartiere» e si evolve nel tempo fino a diventare un luogo di aggregazione sociale e un punto di riferimento per la popolazione dello storico quartiere romano.

Presso gli spazi sportivi di via dei Volsci è possibile accedere ad una varietà di discipline: dall’arrampicata allo yoga, dalla capoeira al kung-fu, dal pugilato al karate, all’interno di un’offerta agonistica tanto variegata quanto lo è la sua utenza. La popolazione sportiva del centro è infatti composta da «bambini, anziani, studenti, lavoratori e professionisti di ogni genere», attirati dalla sua atmosfera accogliente (quando vivevo nel quartiere la porta d’ingresso era spesso semi-aperta, permettendo ai passanti di cogliere uno scorcio delle attività che si svolgevano all’interno) e dalla possibilità di essere allenati da professionisti delle varie discipline. Gli istruttori sono infatti «tutti qualificati presso le rispettive federazioni».

 

Oltre alle attività strettamente sportive, la palestra gestisce anche un’area verde comunale strappata alla speculazione edilizia assieme agli abitanti del quartiere, e lavora molto con la scuola e le altre associazioni presenti sul territorio. Il mantenimento e la cura degli spazi e delle relazioni sociali sono al cuore del loro lavoro e si affiancano al desiderio altrettanto centrale di rendere lo sport accessibile a chiunque: i corsi del centro sono generalmente offerti a prezzi modici e la palestra collabora con alcune case famiglie e associazioni di accoglienza per rifugiati, garantendo ai loro assistiti, molti dei quali minori, accesso alle attività a titolo completamente gratuito.

L’idea di sport che anima le palestre popolari è molto diversa da quella che caratterizza la maggior parte delle organizzazioni sportive ufficiali: l’attività agonistica è concepita come uno strumento di sviluppo delle soggettività «all’interno di un percorso di crescita collettiva», che ambisce a ridefinire non solo il concetto di sport, ma anche e soprattutto le relazioni sociali che risultano dall’allenarsi insieme all’interno di uno spazio condiviso. Allo stesso modo, il ripudio delle discriminazioni sociali, razziali e di genere e di forme di violenza di ogni tipo, si configura come uno strumento importante per la promozione del rispetto di se stessi e degli altri.

Chi ha vissuto a Roma o ha qualche familiarità con la città, sa che la palestra popolare di via dei Volsci costituisce un punto importante nella costellazione di spazi sociali che lavorano per mantenere vivo il tessuto culturale della capitale. Non solo: come mi viene spiegato, questo impegno si riflette anche nei notevoli risultati agonistici ottenuti. Nonostante ciò, un paio di mesi fa l’associazione ha ricevuto un’ingiunzione di sfratto da parte del comune di Roma – il quale continua a chiedere che l’affitto per i locali venga pagato – accomunandone così il destino a quello di molti altri spazi che svolgono attività socialmente significative nella capitale.

Fotografia di Reti Solidali

Secondo l’associazione, il problema sta appunto nel mancato riconoscimento dell’importante valore sociale che tali realtà ricoprono. Per contro, gli abitanti del quartiere hanno la possibilità di vedere quotidianamente il lavoro svolto dal centro, e ne riconoscono la validità, il che spiega la grande affluenza ad eventi di solidarietà come la ‘colazione resistente’ organizzata nel giorno inizialmente previsto per lo sfratto.

Lo scenario è dunque, da una parte, quello di un grande apprezzamento da parte dei cittadini e, dall’altra, della scarsa valorizzazione da parte delle istituzioni comunali, che pure non sembrano avere alternative valide da offrire. È questa mancanza di supporto che rende incerto il futuro delle palestre popolari romane, ma i cittadini della capitale possono essere sicuri che nonostante le difficoltà la loro intenzione sia di quella di andare avanti. Come mi spiegano i membri della palestra popolare di San Lorenzo, l’obiettivo è quello di continuare il loro lavoro, sicuri della sua necessità sul territorio.

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Sara Gvero

Nata in Jugoslavia nel 1989, a due anni mi trasferisco in Italia con i miei genitori, decisi a non farsi risucchiare dal conflitto etnico alle porte. Migrante in tenera età, divento da subito sensibile alle tematiche culturali, politiche e sociali su cui si orienteranno i miei studi successivi ed il mio lavoro. A diciotto anni mi trasferisco dalle Marche a Roma, dove mi laureo in Letterature, Linguaggi e Comunicazione Culturale. Qui approfondisco la mia passione per tutto ciò che riguarda la cultura, l’arte e la letteratura, e nasce un nuovo amore per le teorie sociali e culturali critiche, in particolare quelle di genere. Nel 2011 entro a far parte del laboratorio di studi femministi Sguardi Sulle Differenze dell’Università La Sapienza e nel 2014 completo un Master in Genere, Media e Cultura a Londra. Concluso quest’ultimo inizio a far volontariato e poi a lavorare per il Women and Girls Network, organizzazione che si occupa di contrastare la violenza di genere. Nel tempo libero mi nutro di mostre d’arte e lettura, passeggiate lungo il Tamigi e visite ad amici e parenti sparsi per l’Europa. Per Pequod mi occuperò soprattutto di questioni di genere per Attualità ed Internazionale, contribuendo alle altre sezioni su temi di politica, società e cultura.

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