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Nei mercati di Dakar tra ebano senegalese e bijiouterie

A restarmi impressa dal mio primo viaggio a Dakar, c’è un’osservazione che trova conferma a ogni ritorno in città, quasi a rassicurarmi che a ogni rientro ritroverò sempre la stessa umanità accogliente: qui sembra che tutto avvenga in strada, alla luce del sole.
Il pensiero mi ha sopraffatta alla prima delle passeggiate chilometriche che riempiono i miei giorni senegalesi, una volta riuscita a sbucare dal fitto intrico creato dalle bancarelle del Marché HLM e avviatami in Boulevard du General de Gaulle, su cui si affaccia Place de l’Obelisque e che sbuca nei pressi della Grande Moschea, attraversando longitudinalmente il centro della capitale.
Lungo tutta l’estensione del viale, di per sé ampio, i marciapiedi sono ingombri delle più svariate attività: dallo sfrigolare della carne d’agnello dalle macellerie dove sta appesa, ai pianti delle bambine sedute a farsi intrecciare i capelli dalle abili dita delle coiffures; dai beni come straripati dalle stipatissime boutique, agli pneumatici di ricambio dei meccanici. A colpire il mio sguardo furono soprattutto i mobili d’arredo, venduti anch’essi ai margini delle strade, adagiati sulla nuda terra dei marciapiedi; a calamitarmi fu la vista del lavoro, svolto alle spalle del mobilio già finito: i falegnami trasportano, infatti, grandi pezzi di legno dalle forme già abbozzate direttamente in centro città, dove le intagliano e piallano secondo le richieste degli acquirenti, che personalizzano così forme e colori dell’arredo di casa.
Ai miei occhi europei, la possibilità di avere un mobilio su misura sembra uno straordinario lusso, ma qui anche nella più umile delle case è possibile trovare un letto o un divano intagliato a mano, mentre alle tipiche sedie africane, diventate un must nell’arredo etnochic, è riservato lo stesso trattamento destinato in Europa alle sedie pieghevoli: usate in spiaggia, nei cortili o come sedute di scorta, rappresentano infatti il mobilio povero del paese.

Il legno, usato in Senegal fino ai giorni nostri nella costruzione di strutture che richiamano le forme delle capanne tradizionali, destinate principalmente alle adunanze collettive o a soddisfare le aspettative dei turisti, è una delle risorse di cui il paese è più ricco. Moltissimi oggetti, anche di uso quotidiano, sono tutt’oggi fabbricati in questo materiale: oltre a sedie e sgabelli, numerosissimi sono gli utensili da cucina tradizionali, come mortai e pestelli rigorosamente in legno, o le immancabili calebasses, ciotole ottenute dalle zucche svuotate.
Accanto alle elastiche palme bentamaré e al resistente bambù, alle acacie resinose e agli antichi baobab, cresce qui il granatiglio nero, l’ebano senegalese, in cui al tipico colore nero si intrecciano fibre che vanno dal bianco al rosso. Impiegato principalmente a scopi estetici, è il materiale più diffuso sulle bancarelle destinate ai turisti: nel Village Artisanal Soumbédioune, affacciato sull’oceano, è ad esempio possibile ammirare l’arte d’immaginare maschere variopinte e imprimerne le espressioni nel materiale legnoso, conservatasi dalla tradizione animista e trasposta in oggetti moderni. Statue e gioielli, scatole e oggetti d’uso sono intagliati, lucidati e laccati da gesti rapidi, nascosti tra le capanne chiuse nel cuore del mercato, dove il legno entra grezzamente ricamato di venature policrome ed esce con forme lisce ben definite.

Sono gli stessi artigiani/artisti di Soumbédioune a raccontarmi che i loro lavori d’intaglio più ispirati sono riservati a una categoria di oggetti che di moderno ha poco, se non la capacità di reiterare nel tempo il richiamo dei ritmi che risuonano nelle terre d’Africa: le loro cure più attente sono dedicate agli strumenti musicali tradizionali, la cui vibrazione si muove a tutte le ore nel vento di Dakar. Accanto a una batteria di percussioni difficili da distinguere per occhi e orecchi inesperti (ad esempio: sabar, neunde, tama, thiol), la musica tradizionale senegalese, tra cui spicca l’intramontabile mbalakh, è caratterizzata dalle armonie di kora (arpa a 21 corde) e balafon (xilofono con lamine di legno ricoperte di cuoio), entrambi ricavati dalle calebasses.
Perché questi strumenti della tradizione possano emettere il suono della loro vibrazione, è necessario che al lavoro degli intagliatori si accosti l’opera di un’altra categoria di artigiani, altrettanto versatile e intramontabile: quella dei lavoratori del cuoio, la cui maestria fa mostra di sé fin dall’esalazione dell’animale, spesso un montone ucciso reiterando i gesti di Abramo all’atto di sacrificare il figlio, da scuoiarsi prima che la pelle si raffreddi indurendosi. Quasi in un unico gesto, lo scuoiatore recide il capo dal corpo, apre il ventre, taglia i tendini e separa lo spesso strato cutaneo dai muscoli fibrosi, stendendolo ad asciugare al sole. La produzione ricavata dalla lavorazione delle pelli non è diversa da quella di qualsiasi conceria: oltre agli strumenti musicali, borse e calzari, selle e finimenti.

Tra i compiti dei conciatori, vi è anche quello di predisporre la pelle a un uso squisitamente africano, che ha radici nella tradizione vudù: moltissimi senegalesi indossano, infatti, i gri-gri, ossia amuleti costituiti da buste di piccole dimensioni, braccialetti o cinture rivestiti di cuoio, da tenere a contatto con la pelle per godere della loro protezione. Recentemente, l’abilità artigiana di lavorare il cuoio in gioielli e monili è stata applicata anche a ornamenti privi di poteri esoterici e alternata all’uso di stoffe colorate che imprimano uno stile esotico.
Come per l’arte povera in legno, gli acquirenti prediletti per questi monili, venduti sui banchi dei mercati artigianali da Sandaga a Colobane, sono senegalesi nostalgici migrati all’estero e, soprattutto, turisti stranieri; i senegalesi, infatti, pur possedendo spesso di questi manufatti, scambiati come beni di poco valore, prediligono gioielli in metallo a ornare le loro pelli scure. Enormi orecchini dorati, pesanti bracciali laccati, collane di perle intrecciate con rame e argento, da cingere al collo e alla vita, straripano dalle boutique dei mercati meno turistici come Ouakam, Parcelles Assainies e HLM. Tra una bancarella e l’altra di bijiouterie scadente, si affacciano le piccole botteghe artigianali che lavorano i metalli di valore, cui la popolazione locale commissiona gioielli, spesso dotati degli stessi poteri mistici dei gri-gri. Caratteristici sono i bracciali d’argento incisi con il nome del portatore o gli anelli molto alti, finalizzati a contenere piccole inscrizioni; tradizionalmente destinati agli uomini, spesso servono a proteggere chi si mette in viaggio e ad assicurarsi che torni a casa.

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Sara Ferrari

Nata e cresciuta nelle valli bergamasche a fine anni 80, con una gran voglia di viaggiare, ma poca possibilità di farlo, ho cercato il modo di incontrare il mondo anche stando a casa mia. La mia grande passione per la letteratura, mi ha insegnato che ci sono viaggi che si possono percorrere anche attraverso gli occhi e le parole degli altri; in Pequod faccio sì che anche voi possiate incontrare i mille volti che popolano la mia piccola multietnica realtà, intervistandoli per internazionale. Nel frattempo cerco di laurearmi in filosofia, cucino aperitivi e stuzzichini serali in un bar e coltivo un matrimonio interrazziale con uno splendido senegalese.

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