Skip to main content

I giovani italiani senza casa e senza soldi

Secondo i dati Istat del 2016, i giovani tra i 18 e i 34 anni che abitano ancora con i genitori in Italia sono il 62,5%, quasi sette milioni. Questi risultati non sono certo una novità e confermano una tendenza ormai storica: i giovani italiani lasciano il tetto di mamma e papà molto più tardi rispetto a molti dei loro coetanei stranieri. Ciò ha valso loro diversi appellativi da parte del mondo degli adulti, dal classico “mammoni” al più recente “bamboccioni”, immaturi a cui risulta più comodo starsene a casa piuttosto che farsi una propria vita autonoma assumendosi le proprie responsabilità.

Ma, andando oltre questi giudizi tanto assoluti quanto superficiali,  cosa pensano davvero i giovani di questa situazione? Ne abbiamo parlato con Alessandra, Giulia, Laura e Stefania, quattro ragazze poco meno che trentenni, tutte con uno o più lavori (per lo più saltuari), di cui solo una, Giulia, vive fuori casa. Al sentire la parola “bamboccioni”, le reazioni sono diverse. Stefania ammette di vedere «una grande mancanza di coraggio» nella sua generazione, che, «intimorita da un futuro che sembra non dare prospettive, non rischia». Tuttavia, non vede come responsabili i suoi coetanei, ma piuttosto «una società che non offre possibilità, che costringe a lavori schiavisti, a spese insostenibili, a perenni insicurezze». I giovani si trovano quindi a dover fronteggiare questa realtà, che non era quella che si aspettavano: «siamo stati cresciuti con l’illusione di nascere in una società in cui alcuni fondamentali diritti (famiglia, casa e lavoro) dovrebbero essere garantiti, quando invece non c’è alcuna certezza in merito”. Giulia, si oppone con forza all’etichetta di “bamboccioni”: «questa è una definizione che veicola la politica italiana, che non brilla certo per investimenti in formazione e opportunità lavorative per giovani. Fuori dai palazzi del potere, però, il pensiero è decisamente diverso: i giovani italiani sono come tutti i giovani del mondo, vogliono spiccare il volo e cercare la loro indipendenza». Vista la situazione, tuttavia, non tutti sono pronti a farlo e Giulia non li biasima: «Tanti preferiscono aspettare “il momento giusto”, che tradotto significa il raggiungimento di una cifra rassicurante sul conto corrente, o una qualche apparente forma di stabilità che, se non trovata in ambito lavorativo, si concretizzi nelle relazioni d’amore».

Foto di Francesca Gabbiadini – Pequod Rivista

Ma questo “aspettare il momento giusto” e continuare nel frattempo a vivere con i genitori significa anche allontanare il momento del proprio ingresso nell’età adulta, con tutte le responsabilità e preoccupazioni che ne derivano? Le ragazze su questa risposta sono concordi: no. «Mi sembra molto triste che si consideri l’uscita dal nucleo familiare quale unica forma di attestazione della propria autonomia, come se diventare adulti significasse soltanto non dipendere economicamente dai propri genitori», afferma Stefania, che crede invece «che una persona dovrebbe essere capace di sviluppare la propria indipendenza proprio all’interno del contesto familiare, prima ancora di uscirne». Anche Laura è dello stesso parere: «[uscire dall’età adulta] è una fase naturale della crescita impossibile da non sentire dentro se stessi. E’ una scelta personale ed è un momento che avviene a prescindere dalla variante di avere una casa propria o vivere ancora con i genitori».

Se per i figli è dura lasciare la casa di famiglia, però, anche per i genitori il momento del distacco non è per niente facile, non per niente si parla della “sindrome del nido vuoto”. Laura lo sa bene e conferma: «Quest’anno mi trovo nella fase cruciale del “cerco casa” e recentemente accennavo a mia madre il fatto che forse ho trovato una casa in cui stare. La risposta è stata il mutismo, seguito dalla frase “Io non sono contenta che te ne vai”. Questo in realtà mi ha spiazzato abbastanza, perché non è un argomento “nuovo”, ma che ultimamente affrontiamo spesso». Anche Alessandra ha riscontrato questa difficoltà da parte dei suoi genitori in passato: «Essendo figlia unica, vedo quanto soffrono appena lascio casa. A mia madre si è fermato il cuore quando ha scoperto che partivo per sei mesi in Erasmus». Tuttavia, i genitori l’hanno sostenuta e continuano a farlo: «i miei non mi hanno mai imposto dei paletti per quanto riguarda la mia sete di viaggio, di sperimentare posti nuovi e approcciarmi a culture differenti».

Foto di Francesca Gabbiadini – Pequod Rivista

Stefania, che era uscita di casa diversi anni fa per poi essere spinta da eventi personali a farvi ritorno, racconta: «Nella mia famiglia c’è un solo genitore, mia madre, quindi sicuramente per lei non è stato facile lasciare uscire di casa i suoi figli e ritrovarsi sola; nondimeno, ci ha sostenuti entrambi il giorno che siamo usciti di casa, sia moralmente sia economicamente». Più che la sindrome del nido vuoto, quello che secondo lei spaventa i genitori oggi sono le difficoltà economiche dei figli e l’assenza di certezze per il loro futuro. «Non è facile vedere i propri figli arrancare per saldare in tempo tutte le bollette o saltare qualche pasto per poter pagare l’affitto», commenta amaramente. Anche Giulia, che vive fuori casa nonostante la precarietà della sua situazione lavorativa, è dello stesso parere: «Come me, tanti preferiscono non raccontare le quotidiane difficoltà, e allora ai genitori dici che va tutto bene, che comunque le tue spese non sono eccessive. Poi però scopri che, guarda caso, tua madre ha comprato una bottiglia di olio in più (“era in offerta!”) o un maglioncino (“l’ho preso per me ma mi sta stretto”) e tuo padre ti fa trovare il pieno in auto (“così non devi uscire di casa apposta”)». Giulia sorride con affetto nel parlare di queste attenzioni e conclude: «[I genitori], se vogliono il meglio per te, sanno che il momento del distacco arriverà e il loro compito, che nell’infanzia era quello di darti tutto quello che potevano per farti crescere sano e felice, ora dovrà ridimensionarsi. E’ in questi piccoli gesti che i miei mi ricordano che continuano a preoccuparsi per me e che posso contare su di loro».

Nessuna delle ragazze con cui abbiamo parlato ha, né ha mai avuto in passato, un posto fisso a tempo indeterminato e, per molte di loro, nemmeno uno a tempo determinato, ma solo contratti a chiamata o lavori saltuari pagati con voucher o addirittura in nero. Tuttavia, ognuna di loro, se non ha già lasciato la casa della propria famiglia in passato, ha a breve progetto di farlo, pur senza garanzia di un lavoro duraturo, né un mercato lavorativo che induce ottimismo. Se vi sembra un comportamento da “bamboccioni” questo…

 

In copertina: Blu, Un tetto per tutti, dipinto in via Monte Grigna, Bergamo.

bamboccioni, casa, featured, figli, genitori, posto fisso


Lucia Ghezzi

Classe ’89, nata in un paesino di una valle bergamasca, fin da piccola sento il bisogno di attraversare i confini, percependoli allo stesso tempo come limite e sfida. Nel corso di 5 anni di liceo linguistico sviluppo una curiosa ossessione verso i Paesi dal passato/presente comunista, cercando di capire cosa fosse andato storto. Questo e la mia costante spinta verso “l’altro” mi portano prima a studiare cinese all’Università Ca’ Foscari a Venezia e poi direttamente in Cina, a Pechino e Shanghai. Qui passerò in tutto due anni intensi e appassionanti, fatti di lunghi viaggi in treni sovraffollati, chiacchierate con i taxisti, smog proibitivo e impieghi bizzarri. Tornata in patria per lavoro, Pequod è per me l’occasione di continuare a raccontare e a vivere la Cina e trovare nuovi confini da attraversare. Sono attualmente responsabile della sezione di Attualità, ma scrivo anche per Internazionale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.