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I “luoghi froci” di Bergamo. Tour dagli anni ’70 a oggi

«L’idea era di organizzare tour dei “luoghi froci” di Bergamo: ripercorrere le tappe del movimento omosessuale attraverso gli spazi che ne hanno permesso l’aggregazione». Così Dominguel, giovane attivista gay bergamasco, ci presenta il progetto, ideato in seno all’associazione Bergamo Contro l’Omofobia e ancora irrealizzato, anche a causa della difficile individuazione di questi spazi.

Per capire, subito Dominguel ci trascina nel fermento degli anni ’70: «Via Sant’Alessandro alta, ai tempi, era quasi tutta abitata da ragazzi che organizzavano le grandi ville in comuni condivise; in una di queste case, nel 1976 nasce Radio Papavero: una radio libera trasmessa sui 91.2 heartz. Tra gli speaker, c’è anche un gruppo di iscritti al FUORI (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano, n.d.r.), che il lunedì dalle 21 alle 23 conduce “Petali di Rosa”, una trasmissione fatta di sketch comici dal gusto marcatamente freak, che inizia a sollevare alcune problematiche: dai limiti imposti alla vita notturna degli omosessuali, al trattamento riservato ai carcerati gay». La radio ha vita breve e poche sono le registrazioni conservatesi (ascoltabili sul sito www.radiopapavero.altervista.org), ma l’attivismo che vi si coltiva si propaga nella città: nel 1977 Petali di Rosa diventa il nome del primo collettivo omosessuale bergamasco, poi rinominato Rivolta (Omo)sessuale, la cui attività si concentra presto sulle problematiche sanitarie, sulla mancanza d’informazione e l’assenza di precauzione, sul mancato intervento nella cura del sempre più diffuso virus dell’HIV. Sul finire degli anni ’70, gli Ospedali Riuniti di Bergamo, oggi destinati a diventare Accademia della Guardia di Finanza, diventano teatro delle rivendicazioni del movimento omosessuale bergamasco, accolte solo, e solo in parte, nel 1987 con la creazione della Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids (LILA).

L’ex Ospedale Riuniti di Bergamo, oggi in via di ristrutturazione.

Negli anni ’80, la realtà omosessuale inizia in qualche modo a uscire dai suoi nascondigli, per apparire sulla scena bergamasca, non tanto occupando spazi, quanto facendo delle piazze cittadine il proprio luogo d’aggregazione: «La stazione –spiega Domiguel- diventa in quegli anni una sorta di passerella per le “divine”, transessuali vestite con cura che la sera vengono a mettersi in mostra; il parcheggio di fronte al Cimitero Monumentale inizia invece ad assumere l’aspetto di “salotto pre e post discoteca”, che conserverà fino agli anni ’90. C’è della prostituzione: la zona attorno al cimitero, ad esempio, offre comodi anfratti, oggi frequentati più che altro da scambisti. Soprattutto, però, rappresentano luoghi di ritrovo». Pochissimi, infatti, sono gli spazi disponibili nell’accogliere chi si dichiara membro della comunità gay. Dominguel racconta l’aneddoto scovato in un giornaletto anni ’80, che riferisce di un Alvaro’s Bar in Piazza Malpensata: «Il locale, non propriamente gay ma tollerante, viene chiuso in seguito a una retata che vede l’arresto della quasi totalità dei clienti per prostituzione o favoreggiamento. Pagata la multa e ridotto l’orario, al proprietario è permesso aprire solo accettando una clausola assurda: i vestiti dei clienti dovranno essere adeguati al loro genere sessuale».

Il Cimitero Monumentale.

La pratica delle retate omofobe continua negli anni ’90, quando la comunità gay inizia ad acquisire spazi e rappresentanze. Il City Sauna Club è il pioniere dell’aggregazione gay in via Clementina: fondato nel 1990, viene subito chiuso in seguito a retata per denunce di prostituzione e millantato traffico di denaro riconducibile ad attività di spaccio. «La riapertura del Club è quasi immediata –ci spiega Dominguel- grazie al fatto di essere federato con associazioni di matrice cattolica come fitness club privato, formula utilizzata da tutte le saune nudiste. Essendo uno dei primi circoli di aggregazione gay, era molto frequentato, perciò più che un disagio morale, creava problemi di parcheggio. L’ambiente interno è ancora lo stesso degli anni ’90: piacevolmente vintage. E anche la clientela, oggi, tende ad essere un po’ “vintage”».

Clientela categoricamente maschile, come spiega Dominguel: «Esistono saune nudiste e saune gay, ma non ho mai sentito parlare di saune lesbiche. La storia del movimento di emancipazione delle donne omosessuali è ancora più complessa di quella maschile, perché coinvolge la causa femminista. L’amore saffico, ad esempio, nella società patriarcale in cui viviamo è tollerato perché evoca uno scenario dell’erotismo eterosessuale maschilista; per questo sono pochi i luoghi di aggregazione dell’universo lesbico: è una realtà spesso disconosciuta».

Aperto ad ambo i sessi e a qualsiasi forma d’espressione sessuale è invece il fulcro della vita mondana omosessuale di Bergamo: negli anni ’90, il civico 9 di via Baschenis conquista il titolo, conservato fino ad oggi, di punto d’incontro d’eccellenza della comunità LGBT. Corrado Fumagalli (nome diventato noto prima per il matrimonio simbolico del 1992 in Piazza Scala con Antonio Ambrosioni, futuro presidente dell’Arcigay Bergamo, poi grazie all’organizzazione di BergamoSex, infine con la conduzione di Misex e la direzione di InterTV) apre il club notturno Nite Lite, che dal 1992 ospita il concorso nazionale Mister Gay e dove nel 1997 lo stesso Fumagalli registra con Maurizia Paradiso le prime puntate di Sexy Bar, famoso talkshow per aspiranti pornodive. «Nel frattempo il Nite Lite si sposta al civico 13 e qui diventa un bar “etero”, il King. –spiega Manuel (all’anagrafe Emanuele Zibetti), da dietro il bancone del Mamo’s, un’istituzione nel panorama omosessuale bergamasco –Io ho preso il locale nel 1999, inizialmente godendo dei successi del Nite qui a fianco. Ci è voluto un po’ di tempo, ma poi anche il Mamo’s si è creato il suo giro di clienti». Un giro incredibilmente variegato: nel paio d’ore che trascorro nel locale, mentre clienti un po’ attempati sostano al bancone, un giovane gay latino entrando saluta Dominguel, un gruppetto di lesbiche si accomoda in sala, qualche coppia etero si ferma ai primi tavoli; ognuno è accolto dalla voce di Manuel, che ha un «ciao amore» sorridente per ogni cliente.

Da sinistra a destra: il proprietario Manuel assieme a Dominguel.

Eppure il Mamo’s è dichiaratamente un locale gay. Chiedo a Dominguel perché abbia bisogno di questa identità: «Quando cerco partecipanti alle manifestazioni organizzate da Bergamo Contro l’Omofobia, è qui che vengo. È un bar come un altro, ma oltre questo è un luogo di comunità».

 Testo di Sara Ferrari. Fotografie di Francesca Gabbiadini.


Francesca Gabbiadini

Nata in valle bergamasca nell’inverno del 1989, sin da piccola mi piace frugare nei cassetti. Laureata presso la Facoltà di Lettere della Statale di Milano, capisco dopo numerosi tentavi professionali, tra i quali spicca per importanza l’esperienza all’Ufficio Stampa della Longanesi, come la mia curiosità si traduca in scrittura giornalistica, strada che mi consente di comprendere il mondo, sviscerarlo attraverso indagini e ricomporlo tramite articolo all’insegna di un giornalismo pulito, libero e dedito alla verità come ai suoi lettori. Così nasce l’indipendente Pequod, il 21 maggio del 2013, e da allora non ho altra vita sociale. Nella rivista, oltre ad essere fondatrice e direttrice, mi occupo di inchieste, reportage di viaggio e fotoreportage, contribuendo inoltre alla sezione Internazionale. Dopo una tesi in giornalismo sulla Romania di Ceauşescu, continuo a non poter distogliere lo sguardo da questo Paese e dal suo ignorato popolo latino.

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