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Fede_Pequod

Provare per credere. Processioni estreme della fede

Quando procedere insieme diventa un rito, l’uomo si sente fortemente parte della propria comunità. Di carattere religioso, politico, etico, folkloristico, le processioni di fede fanno ancora parte della ritualità che segna i momenti di aggregazione di una comunità, ne celebra i valori culturali e legittima le sue istituzioni. Si tratta di qualcosa che trova nel religioso la sua forma, ma le origini del rito scavano nella necessità ancora più ancestrale dell’uomo: dare un ordine all’universo, vincere il caos (dal lat. ritus, ‘ordine prestabilito’), alla ricerca di un’armonia restauratrice, confortante, terapeutica.
Procedere insieme, uno accanto all’altro, condividendo la vicinanza fisica e il lento avanzare di un corteo. Ancora oggi le processioni sono molto partecipate in Italia, anche nelle forme rituali che tendiamo a considerare “estreme” per la trasfigurazione del corpo, il mascheramento, la sofferenza autoinflitta. Vediamo due esempi di riti cristiani tra i più antichi e ancestrali che ancora oggi sono radicati fortemente in due piccole realtà del territorio italiano: Gangi e Guardia Sanframondi, nel sud Italia.

Festa dello Spirito Santo, Gangi (PA). Intervista a Nunzio Bongiorno

Gangi è un paese di circa 7000 abitanti, arroccato sulle montagne della provincia di Palermo. All’interno del paese si trovano 18 chiese, quattro parrocchie, quattro ordini monastici, un santuario e 13 confraternite.
La processione si svolge ogni anno, il lunedì successivo al giorno di Pentecoste. Da che mondo è mondo, oggi le processioni che vengono svolte correndo, le “corse”, hanno in sé uno spirito profondamente cristiano, nonché valide spiegazioni teologiche. In realtà, però, risalgono a un periodo ancora più antico, ai riti agrari pre cristiani: per esempio, il percorrere più volte, avanti e indietro, uno stesso percorso viene ricondotto al movimento dell’aratro, al solcare lo spazio coltivabile prima di seminare. La corsa, le grida dei portatori, il suono fragoroso delle campane e dei petardi, i nastri appesi riportano ad antiche concezioni di un’ancestrale società contadina ma fanno ormai parte della tradizione cristiana contemporanea.

Processione con le statue dei Santi a Gangi, Palermo. Fotografia di Nunzio Bongiorno.

Nunzio, gangitano d’origine e bergamasco d’adozione, mi ha raccontato i particolari di questa affannosa processione: «Ho seguito questo momento della mia comunità natia per 15 anni suonando nella banda del paese, dalla tenera età di 13 anni. Prima, da bambino, come gran parte dei piccoli gangitani, partecipavo trasportando le statue dei santi bambini, come quella di San Luigi. A parte la chiamata e la raccolta dei portatori delle statue, la preparazione della processione non richiede molto tempo: nei giorni precedenti la festa, le confraternite si organizzano per spostare le statue dei santi dagli altari delle rispettive chiese, per posizionarle sulle portantine, pronti per la processione. Parliamo di circa una quarantina di statue: una madonna, una Trasfigurazione e gli altri sono tutti santi. Le donne si organizzano per trasportare le statue delle sante. Una delle statue più pensanti è quella di San Francesco di Paola. Quindi, ogni statua parte dalla sua chiesa d’appartenenza e va man mano a raggiungere il fiume della processione. Una volta che il corteo è completo ci si avvia verso il Santuario dello Spirito Santo, ai piedi del paese».

L’ordine con cui le statue prendono parte al corteo non è casuale ma segue un preciso schema tradizionale che posiziona le confraternite di Gangi in ordine dalla più recente, in testa alla processione a quella più antica che chiude il corteo: la Confraternita di San Giuseppe u poviru con San Giovanni Bosco e la Madonna Ausiliatrice, la Confraternita del Divin Parto con le statue di San Francesco Saverio e la Madonna del Divin Parto, la Confraternita del Carmeno con Sant’Alberto Magno e Santa Teresa del Bambin Gesù, la Confraternita delle Anime Sante del Purgatorio con Santa Venera, Santa Veronica, Santa Lucia e per concludere la Madonna delle Grazie. La quinta confraternita è quella della Santissima Trinità con San Sebastiano e San Luigi (Luigiuzzu). La Confraternita del Santissimo Sacramento, che procede con Sant’Antonio e San Franceso d’Assisi, la Confraternita della Madonna del Rosario, chiamata anche “Confraternita dì Mastri”, la confraternita degli artigiani con i simulacri di Santa Rita da Cascia, San Vincenzo Ferreri, San Domenico, Sant’Eligio, San Nicola di Bari, e Maria Santissima del Rosario. La confraternita Maria Santissima Annunziata con San Leonardo, Sant’Espedito, San Rocco, San Vito, Santa Maria di Gesù (a’ Madonna di Gibilmanna) e Maria Santissima Annunziata.
La nona confraternita è quella della Madonna della Catena ed è affiancata alla decima, quella della Sacra Famiglia. Le statue: San Michele Arcangelo, San Biagio, Gesù Bambino, San Pio, San Pasquale Baylon, Sant’Anna, San Paolo e chiudono la confraternita San Giuseppe e la Madonna della Catena, che procedono affiancati. L’undicesima confraternita è quella di San Cataldo, il Patrono di Gangi, che ospita una sola statua, quella del Santo patrono della città. L’ultima confraternita è la più antica di tutte, quella del Santissimo Salvatore con l’Angelo Custode o San Filippo Apostolo, che vengono portati a turno in processione in anni alterni; San Francesco di Paola e il simulacro della Trasfigurazione. Chiude tutto il corteo, quindi, la reliquia della Santa Croce.

Continua Nunzio: «Il momento più forte della processione si svolge nella piazza antistante il Santuario dello Spirito Santo, dove si fanno i cosiddetti “Miracoli”: le statue dei Santi vengono fatte letteralmente correre sul sagrato per poi entrare in chiesa, dove il Santo chiede la grazia dello Spirito Santo facendo un inchino davanti all’altare. Per tutta la durata della processione e soprattutto nel momento del “miracolo” vengono gridate preghiere e invocazioni ai santi».

E gridàmu tutti viva Maria Santissima, e lu Spìrdu Santu, e la Misiricòrdia di Dìa,
E gridàmu tutti viva san Giusèppi, e lu Spìrdu Santu, e la Misiricòrdia di Dìa,
E gridàmu tutti viva san Catà, e lu Spìrdu Santu, e la Misiricòrdia di Dìa”.

Riti Settennali, Guardia Sanframondi (BN). Intervista a Pacifico Ciaburri

Ogni sette anni, a partire dal primo lunedì successivo al 15 agosto e sino alla domenica seguente, a Guardia Sanframondi, in provincia di Benevento, si tengono i tradizionali riti settennali di penitenza in onore dell’Assunta. In questo 2017 hanno avuto luogo da lunedì 21 a domenica 27 agosto. Ci troviamo in un antico borgo medievale di circa 5000 abitanti, troneggiante sulla Valle Telesina, che per una settimana all’anno vede personificarsi per le sue strade personaggi dell’antico e del nuovo Testamento, ma anche interpretazioni delle vite dei Santi e dei principi morali della fede cattolica. La città ha quattro rioni: Rione Croce, Rione Fontanella, Rione Piazza, Rione Portella che durante la settimana di alternano proponendo diversi cortei e la messa in scena delle figure sante; ogni rione ha anche un proprio coro che accompagna il corteo cantando degli inni dedicati alla Vergine.
La grande processione viene svolta nella giornata di domenica, guidata dal Vescovo e dal Parroco, con una grandissima partecipazione del clero, dei partecipanti dei misteri organizzati dai rioni, ma anche di fedeli e turisti di tutto il mondo, affascinati dal rito del piccolo paese. In testa alla processione troviamo la stuatua della Madonna, trasportata da sacerdoti e arricchita da ori e da ex voto accumulati nel corso dei secoli.

Pacifico mi spiega che «alla fine del corteo ci sono i flagellanti e i battenti: fedeli vestiti di un camice bianco e incappucciati che si percuotono ripetutamente con dei flagelli i primi e con delle spugne chiodate i secondi. Fanno parte dell’ultimo dei misteri del Rione Croce, chiamato anche “San Girolamo Penitente”. I flagellanti e i battenti sono in tutto circa 2000. Non si sa chi siano: la loro identità è sempre celata e preservata». Mortificazione del corpo e mascheramento dell’identità sono strumenti tipici del comportamento rituale. Ma anche una tradizione così antica porta i segni della sua contemporaneità: «Quella del 2017 è la seconda edizione a cui possono partecipare anche le donne. Partecipano a questa processione per motivi personali, ovviamente sconosciuti, certamente perché in questo giorno chi ha peccato può purificarsi da tutti i peccati commessi e ripartire da zero, evocando la purezza dell’uomo prima del peccato originale». E poi la “notorietà”, se così si può dire di una celebrazione tanto antica: «Durante la settimana c’è un incredibile afflusso di persone che prenotano alberghi anche a 20 chilometri di distanza dal centro – continua Nunzio – e moltissimi sono i media che seguono la manifestazione: in totale si arriva anche a un numero tra le 200 e le 300 mila persone che si fermano per tutta la settimana a visitare la processione».

Motivi culturali, religiosi e sociali muovono centinaia e migliaia di persone a partecipare ai riti, nonostante l’evidente distanza dal nostro quotidiano. Ma il rito si caratterizza per concretizzare valori altri e ancestrali nella corporeità del singolo, il celebrante, e della collettività: «È qualcosa che ti lascia un segno: le stradine sono molto strette, la folla tanta, fa caldo e ti becchi gli schizzi di sangue, l’odore di sangue, sudore e aceto e quando arrivi vicino a loro e te li vedi di fronte la sensazione è forte. E mo’ tu vall’a capire!». Nunzio ci fa capire quanto sia forte l’esperienza di un rito “carnale” e, in certi casi, estremo, pervasivo per tutti i sensi, che lascia un segno sia sulla pelle dei peccatori sia per chi guarda. «Ti fai per forza delle domande: pensi a quelle persone talmente legate alla religione che per la stessa si infliggono così tanto dolore. Quest’estate molte persone tra il pubblico sono svenute».

Amici che vivono a Guardia Sanframondi spiegano che anche nei giorni successivi alla processione non si scoprono mai le identità dei battenti e dei flagellanti: la leggenda vuole che già il giorno dopo i riti settennali le ferite si rimarginino e scompaiano i segni della punizione autoinflitta. Un “mistero” che ogni sette anni si ripropone esercitando un fascino che non si affievolisce nel tempo.

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Sara Alberti

Nata sulle colline bergamasche nel 1989, percuoto dall’età di otto anni, quando ho iniziato a studiare batteria e percussioni da orchestra nel Corpo Musicale Pietro Pelliccioli di Ranica (W la banda!). Dopo essermi barcamenata tra le varie arti, la Musica ha avuto la meglio e mi è valsa una laurea in Musicologia. Profondamente affascinata dal vecchio e dall’antico, continuo a danzare e suonare nella Compagnia per la ricerca e le tradizioni popolari “Gli Zanni” e per il mio grande amore balcanico Caravan Orkestar. Su questa nave di pirati sono la responsabile della sezione Nuove Premesse, della cambusa e della rubrica musicale.

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