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Il futuro in un batterio: Bioremediation

Riflettendo sul fenomeno dei cambiamenti climatici, l’inquinamento e più profondamente sul rapporto malato tra uomo e natura, sono andata alla scoperta di piccoli microrganismi terrestri: i batteri. Molto speciali sono quelli studiati da Lorenzo, microbiologo e dottorando in Microbiologia ambientale presso l’Università Statale di Milano. Affronteremo un caso interessantissimo di Bioremediation (Biorisanamento) ossia la riduzione del tasso di inquinamento dell’aria, delle acque e del suolo attraverso una tecnica che prevede l’utilizzo di sistemi biologici, come piante e microrganismi. Con questo sistema vengono eliminate le sostanze tossiche: i batteri le degradano e le convertono in sostanze innocue per l’uomo, come acqua e anidride carbonica.

L’eliminazione di sostanze inquinanti può dunque avvenire in modo naturale, con un basso impatto ambientale e con un costo molto contenuto, rispetto alle alternative tecniche tradizionali.

Lorenzo porta avanti uno studio sul SIN Caffaro, un’area situata intorno al comune di Brescia dell’azienda chimica Caffaro che diede il via alla sua attività nel 1906: produzione di soda caustica, fitofarmaci, pesticidi e, dal 1938, policlorobifenili (PCB – delle molecole chimiche di sintesi utilizzate per diversi scopi industriali, mi spiega Lorenzo), terminata poi nel 1984. Inoltre, la Caffaro ha utilizzato nel ciclo produttivo altri composti chimici tra cui il cloro, il mercurio, l’arsenico, il tetracloruro di carbonio.

Dopo la scoperta, tra gli anni ’70 e ’80, della tossicità delle suddette molecole PCB, del loro alto tasso inquinante per l’uomo e l’ambiente circostante, la produzione della Caffaro venne allora bloccata e resa illegale. «Il punto è che queste molecole non si degradano naturalmente e rimangono nel suolo e nei campi coltivati intorno all’area dell’industria. Aggiungi l’utilizzo inconsapevole dell’acqua contaminata per l’irrigazione di questi campi e arrivi alla diretta contaminazione del prodotto coltivato (il mais), quindi agli animali, quindi all’uomo» spiega Lorenzo.

Sotto sequestro, oltre all’area industriale, anche le aree agricole e quindi l’esproprio delle terre degli agricoltori.

«I metodi di bonifica tradizionale, di solito prevedono la rimozione della terra inquinata. Un procedimento che però non è realizzabile per aree così vaste, come quella della SIN Caffaro, sia per i costi e sia perché risulta fisicamente e praticamente difficile». Ed è proprio qui che arrivano in nostro aiuto i microbiologi come Lorenzo: «studiamo le comunità di batteri del suolo che sono in grado di degradare i policlorobifenili e da qui l’idea che sta alla base della mia ricerca. Essendo che le piante rilasciano, attraverso le radici, delle molecole che hanno una struttura chimica simile ai PCB, questi batteri sono in grado naturalmente di degradare e ricavare energia da queste molecole. Dal canto loro, le stesse molecole, essendo simili ai PCB inducono anche la degradazione dei PCB da parte dei batteri».

L’idea è che piantando con alcune specie di piante questi terreni, ne venga stimolata l’attività dei batteri e quindi la degradazione di questi composti chimici. In questo modo viene attivata la depurazione naturale del suolo.

Esistono diversi tipi di batteri con queste caratteristiche, mi spiega Lorenzo, come per esempio i batteri marini che vengono utilizzati per la bonifica dei versamenti di petrolio; altri sono in grado di sostenere e promuovere la crescita delle piante in condizione di stress (come l’aridità e la salinità del suolo). Altri studi dimostrano invece che esistono dei batteri che possono essere usati come biofertilizzante: colonizzando una pianta o solo le radici ne possono aumentare la resa (per esempio, adatti alle coltivazioni di verdure). Non sono, ovviamente, batteri patogeni ne per la pianta ne per l’uomo.

La Bioremediation diminuisce sia l’impatto ambientale delle operazioni di bonifica, sia l’impatto psicologico sulla popolazione delle aree interessate: quanto è più carino fidarsi di questi minuscoli esserini “mangia-inquinamento”, rispetto alle intricate tecnologie artificiali? Inoltre, l’utilizzo di questi microrganismi, aumenta la biodiversità dell’area in cui vengono inseriti, stimolando la crescita di nuovi microrganismi.

Micro-esserini per macro-soluzioni?

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Sara Alberti

Nata sulle colline bergamasche nel 1989, percuoto dall’età di otto anni, quando ho iniziato a studiare batteria e percussioni da orchestra nel Corpo Musicale Pietro Pelliccioli di Ranica (W la banda!). Dopo essermi barcamenata tra le varie arti, la Musica ha avuto la meglio e mi è valsa una laurea in Musicologia. Profondamente affascinata dal vecchio e dall’antico, continuo a danzare e suonare nella Compagnia per la ricerca e le tradizioni popolari “Gli Zanni” e per il mio grande amore balcanico Caravan Orkestar. Su questa nave di pirati sono la responsabile della sezione Nuove Premesse, della cambusa e della rubrica musicale.

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