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STAR POEMS, la lingua dell’ignoto

Il Neanderthal che apre lo sguardo sul cielo notturno maculato di luci e palpita nella prima rivelazione.

L’indefinito, l’inesprimibile.

Disarmato testimone che coglie in un tumulto delle sinapsi un caos fuori portata, sterminato.

E una fascinazione, un desiderio, un annientamento e una paura come non mai.

Il trauma gli presentò l’idea del “mistero” e la consapevolezza della predisposizione a subirne l’influsso.

Già aveva sperimentato lo smarrimento e l’impotenza innanzi agli arcani dell’alternanza di luce e buio, dell’imperversare dei venti o del vigore delle mareggiate, ma qui la questione era decisamente più oscura:

vi era in ballo il segreto di un altrove.

Pensò a questo e a come esprimere le sue speculazioni, attinse dalla tavolozza delle fantasie e, per la prima volta, pensò la poesia.

Poiesis, in greco, creazione. Creazione di un’espressività atta a evocare mondi e tempi oltre la portata sensoriale e razionale.

Raccontarsi storie chimeriche con inni e canzoni divenne la celebrazione degli incomprensibili fenomeni e scenari “ultraterreni” che permeavano la nostra vita.

E da quel momento non smettemmo più. Guardiamo in alto e quesiti e sensazioni si fanno versi.

Passano i secoli e questa poetica dei perché e dello “spazio” in cui galleggiamo feconda il terreno delle religioni e cammina a fianco di discipline di indagine quali astrologia e astronomia.

Nei poemi epici greci lo studio astronomico e la mitologia si incontrano dipingendo la volta celeste come un suggestivo palcoscenico in cui agiscono eroi e divinità: corpi celesti e costellazioni personificano i personaggi dell’immaginario collettivo.

Nei testi sacri sempre è presente la figura dell’uomo nel cosmo ma con un tentativo di porre certezza e fine ai misteri dell’universo: nel Miraj di Maometto così come nella commedia dantesca, il settimo cielo e l’empireo sono i grandi immaginari contenitori del tutto, dimora di un Dio che esiste ma di cui non si può avere esperienza.

L’ineffabilità della visione divina non ne permette la razionale descrizione e costringe al ricorso del simbolico e del retorico. Ancora poesia.

Ma l’interesse per l’ignoto scaturisce dal desiderio febbrile di apprendere la natura delle cose: i dogmi religiosi reggono fino ad un certo punto.

Al passo con lo sviluppo delle scienze anche il poeta indaga con acceso raziocinio riportando conoscenze e correlati dubbi nelle sue opere.

Capitale l’esperienza del Leopardi: ancora quindicenne si dedicò ad un vasto studio sull’astronomia convinto che questa disciplina, nei secoli, avesse avuto un ruolo fondamentale nel progresso dello spirito umano.

Dai suoi componimenti emerge che nel meccanismo dell’universo, dove i cicli infiniti accadono senza che la nostra esistenza abbia la minima importanza, il nostro destino è la pena del vagare in un vuoto senza significati.

La salvezza (o perlomeno una consolazione) sta nella poesia: se questo “tutto e nulla” che ci avvolge viene rielaborato e descritto poeticamente diviene medicina di vitalità per l’animo.

Col nostro fantasticare in bella forma ci investiamo di valore e il naufragar ci può esser dolce in questo mare.

  

Dunque la conoscenza dei fenomeni astrali si rivela spesso essere debilitante per l’artista, il quale vede raffreddarsi e sbiadire la materia prima del suo “mestiere”: la contemplazione romantica.

L’immortale Walt Whitman espresse stupendamente il concetto di qui sopra in questi suoi versi:

 

Quando ascoltai l’erudito astronomo,

Quando le dimostrazioni, i numeri, furono dispiegati dinanzi a me,

Quando le carte e i diagrammi mi furono mostrati per sommarli, dividerli e misurarli,

Quando ascoltai trepidante l’astronomo nell’aula delle sue famose lezioni,

Quanto inspiegabilmente presto divenni esausto e sofferente,

Fino a quando alzandomi e scivolando via iniziai a vagare in solitudine,

Nell’umida e misteriosa aria notturna, e secondo dopo secondo,

Volsi lo sguardo alle stelle nel perfetto silenzio.

 

Nel rapimento l’uomo, come essere spirituale, torna al suo stupore atavico: la meraviglia di esistere nel tutto.

Perdersi nella contemplazione dello spazio è ogni modo inevitabile anche per chiunque indaghi metodicamente le sue leggi: la vastità del sapere risulta minima cosa paragonata all’infinità spaziale.

Su basi reali poggiano nuovi mondi artefatti dell’immaginario e prende così forma la fantascienza.

Ma ancora scarna è la produzione poetica in questo genere, forse proprio perché lo “spirito”, per liberarsi dal dolore congenito, tenta di appellarsi al fascino del cosmo con un approccio verginale, senza alcuna costruzione oggettiva.

Quindi sempre costruiremo razzi di pensiero da scagliare oltre le possibili orbite, per fare due intime chiacchiere col buio tempestato di bagliori.

 

 

[…] mando il mio razzo a sbarcare sul Pianeta ultimo

 dove il Grande Cervello dell’Universo siede in attesa di una poesia

che atterri nella sua tasca dorata […]

vi mando il mio razzo di chimica stupefacente

più dei miei capelli il mio sperma o le cellule del mio corpo

il rapido pensiero che vola in alto col mio desiderio

istantaneo come l’universo e più veloce della luce

e lascio per ora tutte le altre domande incompiute

per tornare a dormire nel mio letto buio

sulla terra.

 

                                                                         Allen Ginsberg – Poesia razzo

 

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Davide Tacchini

Classe '89, nato in provincia bergamasca, vivo i ¾ dell'anno in un piccolo paesino rurale nella maremma toscana dove mi occupo di orticoltura, giardinaggio e agriturismo. Negli ultimi anni ho viaggiato parecchio nel centro-sud Italia vagabondando e ricercando luoghi non comuni fino a convincermi che paesaggisticamente questo paese natale offre bellezza per una vita intera. Così mi intrufolo in Pequod con l'intento di condividere il bagaglio accumulato e razionalizzare l'esperienza del mio muovere.

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