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Il lavoro è cambiato e sta cambiando, ma in meglio?

Quando si parla di lavoro in Italia, di solito le reazioni che si ottengono sono sempre le stesse: scrollate di spalle, sguardi rassegnati e una certa invidia/nostalgia verso un’epoca d’oro ormai perduta. Nonostante una crescita dell’occupazione del +0,8% rispetto all’anno scorso evidenziata dai dati ISTAT di marzo 2018, infatti, la crescita è dettata principalmente dai contratti a termine, mentre calano quelli a tempo indeterminato, riaffermando così la predominanza del precariato in Italia. Rispetto all’Eldorado del lavoro del passato, quindi, molte cose sono oggi decisamente cambiate, ma non solo in peggio. L’avvento di internet ha infatti cambiato radicalmente il mondo del lavoro, facendo sì sparire diverse mansioni, ma creando altresì una miriade di nuove professioni e aprendo nuove possibilità anche per i lavori più classici.

Abbiamo parlato di questi cambiamenti con alcuni lavoratori appartenenti a diverse categorie, alcune sempre esistite, altre sviluppatesi solo di recente, per capire come la loro professione è cambiata o si è sviluppata nel corso del tempo.

Manuela, 55 anni, impiegata amministrativa del settore pubblico in un’ASST (Azienda Socio Sanitaria Territoriale) lombarda, ci racconta come il suo lavoro rispetto al passato sia cambiato già a partire dalle modalità di accesso: «Un tempo per essere inseriti bastava entrare in una graduatoria interna, di modo che appena veniva a mancare un dipendente, si attingeva a tale graduatoria per la sua sostituzione; solo in casi di necessità eccezionali lo stato deliberava un concorso per essere assunti. Oggi i concorsi pubblici sono invece la regola e sono molto più complicati di un tempo, con domande poco pertinenti al lavoro stesso o esagerate per le competenze richieste». Anche Giovanni, 30 anni, borsista in un laboratorio ospedaliero di immunogenetica finalizzato ai trapianti di midollo osseo, ci spiega che per diventare di ruolo occorre aspettare i concorsi pubblici, che però sono molto rari. Nell’attesa, si svolgono tirocini e/o attività di volontariato all’interno del centro trasfusionale e così «si entra in contatto con il personale del laboratorio, che, se ha necessità di incrementare il numero degli occupati e trova nel candidato una figura idonea, propone un inserimento, di solito mediante borsa di studio». Un lavoro precario, quindi, che, continua Giovanni, «non dà la possibilità di fare progetti a lungo termine». Anche il settore pubblico non dà più quindi le stesse certezze del passato, a meno che non si entri in ruolo grazie ai (rari) concorsi. Tuttavia, dice Manuela, «una volta entrati è difficile che si perda il posto, se non in caso di gravi mancanze da parte del dipendente. Si hanno quindi sia un posto garantito sia lo stipendio garantito».

Questi sono obiettivi che a Sara, 28 anni, operatrice socio assistenziale nel ramo dell’accoglienza ai migranti presso una cooperativa, sembrano al momento irraggiungibili: «Difficilmente si trova un posto fisso nel mio settore: il lavoro dipende molto dalla presenza di ospiti, che non è mai costante. In questo momento ad esempio gli sbarchi [di migranti in Italia] sono fermi, quindi non sono affatto sicura della continuità del mio lavoro».

Se il precariato nelle ultime decadi è arrivato a interessare la maggior parte dei settori lavorativi, lo stesso si può però dire per le innovazioni legate alla diffusione di Internet. Alessandro, 58 anni, segretario comunale in pensione da aprile 2018, non ha dubbi in merito, il web ha decisamente facilitato lo svolgimento del suo lavoro: «Con Internet le delibere dei Comuni, così come le decisioni ministeriali, non sono più cartacee ma pubblicate attraverso l’albo online al quale si può accedere quando serve. Prima bisognava invece essere vicini alla sede regionale per accedere ai documenti cartacei e tutto ciò era una perdita di tempo!».

Oggi gli stessi migranti si affidano a Internet per ricevere informazioni sul funzionamento dei sistemi d’accoglienza, ma spesso le notizie sono false o presentate in maniera distorta (foto di Japanexperterna.se/CC BY-SA 2.0).

Sara, invece, ci dice come nel suo lavoro l’avvento di Internet non sia tutto rose e fiori. Se da un punto di vista amministrativo Internet ha senza dubbio rivoluzionato il suo lavoro in meglio (maggiore reperibilità e condivisione delle informazioni, archiviazione online, etc.), lo stesso non si può dire per quanto abbia influenzato il modo in cui la sua professione viene recepita dalla società: «La questione migratoria è oggi una delle più discusse su internet, che però spesso offre informazioni del tutto false o distorte in modo da fornire un’immagine pilotata. Questa continua messa alla ribalta non agevola lo svolgimento del nostro lavoro, soprattutto perché crea preconcetti con cui poi ci scontriamo quando dobbiamo interagire con persone che si trovano al di fuori dal sistema accoglienza e a volte con gli stessi migranti».

Alla domanda su cosa si aspettino riguardo il futuro della loro professione, le risposte sono altrettanto variegate. Giovanni non è molto ottimista: «La ricerca sull’immunogenetica continuerà sicuramente a evolversi, avvicinandosi sempre più alla bioinformatica. Questo comporterà una maggiore automatizzazione del lavoro, con l’invenzione di macchinari sempre più efficienti che svolgeranno da soli molte delle fasi che oggi sono compito di noi borsisti. Nel futuro, quindi, prevedo che in un laboratorio come il mio, che al momento conta sei dipendenti, basteranno due persone». Alessandro, al contrario, ha uno sguardo molto positivo verso il futuro del suo lavoro: «Un ente locale non può fare a meno di un segretario comunale. Finché esiste l’ente locale, conseguentemente non può venir meno tale figura professionale». 

 

Alcuni nomi sono stati cambiati su richiesta degli intervistati.

Interviste di Sara Ferrari e Francesca Gabbiadini, 

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Lucia Ghezzi

Classe ’89, nata in un paesino di una valle bergamasca, fin da piccola sento il bisogno di attraversare i confini, percependoli allo stesso tempo come limite e sfida. Nel corso di 5 anni di liceo linguistico sviluppo una curiosa ossessione verso i Paesi dal passato/presente comunista, cercando di capire cosa fosse andato storto. Questo e la mia costante spinta verso “l’altro” mi portano prima a studiare cinese all’Università Ca’ Foscari a Venezia e poi direttamente in Cina, a Pechino e Shanghai. Qui passerò in tutto due anni intensi e appassionanti, fatti di lunghi viaggi in treni sovraffollati, chiacchierate con i taxisti, smog proibitivo e impieghi bizzarri. Tornata in patria per lavoro, Pequod è per me l’occasione di continuare a raccontare e a vivere la Cina e trovare nuovi confini da attraversare. Sono attualmente responsabile della sezione di Attualità, ma scrivo anche per Internazionale.

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