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A Ventimiglia ci torno di sicuro

Sono almeno cinque le persone attualmente sotto processo per aver caricato dei migranti in auto per portarli dall’Italia alla Francia passando per il famigerato confine di Ventimiglia, in Liguria. Di pochi giorni fa è la notizia che Cédric Herrou, l’agricoltore francese che aveva aiutato circa duecento persone a passare la frontiera e ne aveva ospitate a decine in una cascina, ha ricevuto una multa di 3 mila euro con la condizionale. Qual è la ragione che spinge molte persone, più di quante si possa pensare, a rischiare di essere fermati dalla polizia e coinvolti in processi e cause legali pur di aiutare uomini e donne a passare il confine? Ne ho parlato con chi le dinamiche del confine le conosce bene.

«Chi lo fa solitamente è mosso da pura solidarietà» mi racconta Michele (nome di fantasia), che vive in una regione diversa dalla Liguria ma si è messo più volte in strada per arrivare all’estremità occidentale della riviera ligure. «La gente rischia di morire attraversando il confine, qualcuno ha già perso la vita perché investito in autostrada o nelle gallerie. Per non contare chi magari scivola nei sentieri di montagna e finisce disperso, senza che nessuno lo venga a sapere. Molti cittadini italiani e francesi non riescono a rimanere indifferenti a tali tragedie». Ma non è soltanto il semplice altruismo a guidare la decisione di aiutare i migranti: «Tanti rifiutano il concetto di confine, dando alla loro scelta di essere coinvolti un significato più politicizzato; spesso dietro a questa convinzione c’è la contestazione dell’esistenza degli Stati stessi». Tuttavia, che si condividano o meno certe posizioni politiche estreme, tutti sono concordi col fatto che il confine limiti la libertà di movimento.

Chiedo a Michele se qualche volta gli sia capitato di essere lui stesso in una di quelle auto che accompagnano i migranti aldilà del punto di confine. Mi dice che sì, l’ha fatto, e che molti altri come lui si sono offerti volontari per compiere questo genere di impresa: «Non conosco nessuno passato in auto a Ventimiglia che sia stato fermato; diciamo che in generale vale ancora Schengen, quindi si è liberi di circolare, ma va detto che molto dipende dal colore della pelle. Insomma, essere bianchi e guidare un mezzo con targa italiana o francese non crea problemi». E le persone che si trovano sotto processo ora come ci sono finite quindi? Il fermo da parte della polizia è avvenuto dopo indagini: «Sono stati puntati e seguiti per un po’, non sono stati fermati per caso ma dopo una raccolta di informazioni da parte delle forze dell’ordine, che sfruttando il meccanismo del passaparola riescono a farsi dire chi, generalmente, è disponibile ad agevolare l’attraversamento».

Tuttavia, come già menzionato, essere fermati dalla polizia per questo tipo di attività volontaria non comporta pene particolarmente severe: «Non essendoci evidenti scambi di soldi non possono appiopparti chissà quale reato, non facendolo per lucro cade il presupposto che tu sia un trafficante. Puoi essere semmai imputato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, che di per sé non costituisce un grave reato. Chi decide di aiutare i migranti ritiene di fare una buona azione e tendenzialmente in tribunale le accuse a suo carico vengono smontate». E sono davvero molte le persone che vogliono aiutare chi cerca di arrivare in Francia, non soltanto con i passaggi in automobile, ma anche donando vestiti eleganti e trucchi alle donne: «Se sei ben vestito non dai troppo nell’occhio, passi per un cittadino regolare ed è meno probabile che ti vengano chiesti i documenti».

Purtroppo accanto alla solidarietà sono nati parallelamente dei servizi di passaggio a pagamento, forniti dai cosiddetti passeur, in genere autisti magrebini o sudanesi. Curiosamente, i passeur hanno tutti gli stessi prezzi e i loro orari di transito sono regolari. Michele mi accenna un’ipotesi molto plausibile condivisa da diversa gente, che spiegherebbe queste caratteristiche dei trafficanti: «L’impressione è che i passeur lavorino per un’organizzazione criminale che sta alle spalle e gestisce il traffico. La zona di Ventimiglia del resto è da tempo terra di ‘ndrangheta; da tradizione la cosca mafiosa gestisce il confine, in passato erano proprio i suoi membri ad occuparsi della latitanza aiutando i reietti a fuggire».

Volontari, criminali approfittatori e ancora troppe persone disperate accampate nei pressi della stazione di Ventimiglia a tentare il tutto per tutto per giungere in Francia, lottando con la polizia, soprattutto quella francese, che spesso e volentieri rispedisce indietro anche i ragazzi minorenni, che avrebbero invece diritto d’asilo. Come mai la situazione è ancora così complicata? «Il sistema non funziona, i governi non hanno ancora preso un provvedimento efficace che risolva la situazione per tutti. Bisognerebbe concedere un permesso di soggiorno umanitario ed imparare a gestire una volta per tutte questa situazione d’emergenza. Continuando ad attuare soluzioni provvisorie e contenitive, il sistema continua a non funzionare ma senza dare troppo nell’occhio». Difficile replicare a quanto sostiene Michele, che sottolinea come non sia accettabile che sul confine fra due Stati europei nel 2017 la gente viva accampata in condizioni precarie e continui a morire: «È assurdo che la gente muoia a Ventimiglia, in Italia, un Paese considerato civile. Troppi migranti già trovano la morte nel Mediterraneo durante le traversate, non si può permettere che muoiano anche nelle nostre città solo perché non esiste un decreto che regoli i flussi migratori. Quando vedi persone che tentano l’attraversamento e tornano sconfitti con i morsi dei cani che la polizia gli ha lanciato contro, indignarsi contro questa mancanza di provvedimenti effettivi è inevitabile».

Ventimiglia è una terra di frontiera difficile, triste, disperata e allo stesso tempo piena di speranza. È l’emblema del fallimento di un sistema in cui le dinamiche economiche fra i paesi europei impediscono di trovare una soluzione alla crisi umanitaria dei nostri giorni. È la vetrina delle contraddizioni tutte italiane della solidarietà fuorilegge e del populismo alla Salvini, che denuncia lo scandalo dei migranti nullafacenti, forse dimenticando che però i migranti un permesso di lavoro non ce l’hanno. Michele è triste e arrabbiato, ma non rassegnato; a Ventimiglia ci tornerà ancora, perché una volta che ci vai non te lo dimentichi più.

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Margherita Ravelli

Nata nel 1989 ad ovest della cortina di ferro, dalla mia cameretta della provincia di Bergamo ho sempre guardato con curiosità verso est, terra dei gloriosi popoli slavi. Dopo aver vagabondato fra Russia, Ucraina e Polonia ho conseguito la laurea magistrale in lingua e letteratura russa, con una tesi sul multilinguismo e sulla multiculturalità nella repubblica russa del Tatarstan. Sono responsabile della sezione Internazionale di Pequod, oltre che redattrice occasionale per attualità, cultura e viaggi.

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