Skip to main content

Intervista a Timothy Small – tra giornalismo e cultura digitale

Dopo averlo incontrato all’evento targato Culturit Statale, Pequod Rivista ha l’occasione di fare un’altra chiacchierata con una delle personalità più promettenti del giornalismo digitale. Appassionato di scrittura sin da bambino e dopo una laurea in Storia e Filosofia, Timothy Small abbandona il mondo accademico per avvicinarsi nel 2004 allo stile più ironico e dissacrante della redazione inglese di “VICE”. L’anno successivo rientra nel Bel Paese a seguito dell’apertura di “VICE Italia”, di cui resterà direttore per 7 anni.

A luglio 2013 fonda, assieme a Daniele Manusia, la rivista online “L’Ultimo Uomo”, specializzata nella pubblicazione di articoli lunghi di sport e cultura pop. Dalla costola di questa rivista, nasce “Prismo”, altro webmagazine questa volta completamente dedicato a una «cultura più o meno pop», fondato nell’aprile di quest’anno, del quale Tim è oggi direttore. Nell’autunno del 2014 Timothy è inoltre stato nominato Head of Content di Alkemy Digital_enabler, dove si occupa del Digital Content Lab, dipartimento legato alla creazione di contenuti digitali.

Ciao Tim, partiamo dalla definizione di giornalismo digitale: che cosa è per te il giornalismo digitale e come la professione del giornalista si evolverà grazie alla tecnologia?
Pensa che quando ero da “VICE”, all’inizio, non c’era il sito, c’era solo il cartaceo. Poi abbiamo aperto quello che chiamavano “il blog”. Pian piano abbiamo cominciato a pubblicare qualcosa solo online, ed è cresciuto, sino al momento attuale, in cui il giornale è un accessorio e il sito è diventato il vero centro di “VICE”. Da quando me ne sono andato, invece, sono cambiate ulteriormente le cose, e i nuovi progetti editoriali nascono nativamente digitali, ovvero pensati in partenza per il digitale. Questo significa che, già in partenza, per natura stessa della cosa, stai facendo qualcosa di sperimentale.

Ovvero?

Ovvero che, a meno che tu non studi a tavolino di fare progetti che sfruttano il peggio di internet, per rimanere aggiornato, devi fare un progetto mai pensato prima, oppure fare qualcosa che è stato fatto poco fa, ma in modo radicalmente diverso. Internet è un mezzo nuovo, le esperienze sul digitale sono costantemente nuove e bisogna costantemente adattarsi. Quelli che credo essere requisiti indispensabili del giornalismo digitale sono adattabilità e flessibilità, perché il mezzo cambia velocemente. E non cambia solo il mezzo, ma anche le esigenze di mercato in cui inserisci il tuo prodotto editoriale.

immagine1

Cambiano le abitudini e i supporti. Magari, domani, uscirà un nuovo smartphone dallo schermo circolare, e non dimentichiamoci che oggi gli smartphone occupano il 50% del traffico digitale. Come se i giornali tutto ad un tratto uscissero con un’impaginatura completamente diversa. È assurdo pensare che ci sia un solo modo di fare il digitale, soprattutto per quanto riguarda i contenuti. È un mondo in costante evoluzione. Pensa alle foto quadrate di Instagram o ai video in formato verticale, una cosa mai vista prima.

immagine 2

Possiamo parlare di una maggiore multimedialità all’interno degli articoli digitali? Accostare i loro contenuti a un videogioco sarebbe deleterio?

Penso che la distinzione fra una cosa e l’altra sia sempre meno importante. Ad esempio, su L’Ultimo Uomo, in collaborazione con Adidas, abbiamo realizzato un articolo long-form multimediale chiamato “Venuto dal futuro” su Gareth Bale, un pezzo molto interattivo, con all’interno dei giochini animati, disegnati da un’illustratrice, animati da un programmatore e poi concepiti e animati da me e dal designer. E tutto questo era in supporto all’articolo. Ripetere la stessa esperienza del foglio di carta, ovvero riproporre un articolo sull’online senza usufruire della multimedialità, è ridicolo. È come riproporre un programma radiofonico in tv senza avvalersi delle immagini.

All’interno di questo panorama in continua trasformazione, che fine faranno le grandi testate, cartacee e online?

Il grosso cambiamento, a mio avviso, è che tutto sarà sempre più segmentato. È finita l’era del “lettore medio”. Se tu sei appassionato di golf, vai a leggere le informazioni solo su un sito di golf, non vuoi leggere tutte quelle notizie che circondano il golf, come ad esempio può avvenire sul “Corriere della Sera”. Oppure sul “Corriere della Sera” c’è quel giornalista esperto di golf che ti piace tantissimo, e tu segui lui, ma non “il quotidiano”. Sulla rete la segmentazione è intrinseca nello strumento. Alla fine la rete stessa nasce come rifugio di interessi.

Qualche esempio?

“Apartamento”, che non è solo una rivista di design, ma un nuovo modo di parlare di design che in Italia mancava, e loro lo fanno benissimo. Oppure altri esempi, “Alla carta”, rivista di moda e food, “Undici”, che riguarda il calcio, oppure “Studio”, una specie di “New York” magazine italiano.

Sembra dunque che il giornalismo, principalmente quello culturale, si stia dirigendo sempre di più verso un giornalismo di nicchia, lontano dal “grande pubblico”.

Non sto dicendo che non esisteranno più i grandi media, ma i grandi siti che sapranno parlare a tante persone saranno pochi. Alla fine viviamo in un mondo in cui le notizie del “New York Times” riprese da “BuzzFeed”, hanno più visualizzazioni su quest’ultimo che sul “New York Times”.

Bisogna, difatti, capire quali sono le strutture economiche che permettono a un certo tipo di cultura di espandersi in una direzione piuttosto che un’altra. Quindi la domanda centrale è per me “qual è il modello di sostenibilità?”. E sulla rete stiamo ancora cercando di capire quali sono questi sistemi, molto diversi sino a pochi anni fa, quando Facebook e Google non erano poi così diffusi.

immagine 3

Velocità, adattabilità e flessibilità sembrano dunque essere le parole chiave del nuovo tipo di giornalismo culturale. Di certo però, anche l’attualità non potrà essere immune a questo tipo di cambiamento e le forme di giornalismo continueranno a essere sempre più ibride fra loro, avvicinandosi sempre di più all’interazione tra testo scritto e multimedialità. Una rivoluzione all’interno della fruibilità dell’articolo, da parte del lettore, e una sfida per il giornalista che oltre al testo, da oggi dovrà iniziare a pensare anche alle varie interazioni multimediali del suo pezzo.

Alkemy Digital_enabler, Daniele Manusia, featured, giornalismo, giornalismo digitale, L'UltimoUomo, Prismo, Timothy Small, Vice, ViceIta


Francesca Gabbiadini

Nata in valle bergamasca nell’inverno del 1989, sin da piccola mi piace frugare nei cassetti. Laureata presso la Facoltà di Lettere della Statale di Milano, capisco dopo numerosi tentavi professionali, tra i quali spicca per importanza l’esperienza all’Ufficio Stampa della Longanesi, come la mia curiosità si traduca in scrittura giornalistica, strada che mi consente di comprendere il mondo, sviscerarlo attraverso indagini e ricomporlo tramite articolo all’insegna di un giornalismo pulito, libero e dedito alla verità come ai suoi lettori. Così nasce l’indipendente Pequod, il 21 maggio del 2013, e da allora non ho altra vita sociale. Nella rivista, oltre ad essere fondatrice e direttrice, mi occupo di inchieste, reportage di viaggio e fotoreportage, contribuendo inoltre alla sezione Internazionale. Dopo una tesi in giornalismo sulla Romania di Ceauşescu, continuo a non poter distogliere lo sguardo da questo Paese e dal suo ignorato popolo latino.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.