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Sui diritti dei lavoratori ai tempi di Amazon

Più di 9 milioni di euro, 5.529.380 sterline di preciso: questo è quanto Amazon ha perso nel periodo natalizio per la campagna di boicottaggio lanciata da Amazon Anonymous, per sollecitare l’azienda americana a intervenire sulle condizioni dei suoi lavoratori e sensibilizzare i clienti alla realtà nascosta dietro un click. Dal 2011, infatti, è stato svelato il lato oscuro del colosso dell’e-commerce: contratti precari e stipendi inadeguati, turni massacranti e monitoraggio a distanza. In origine fu l’inchiesta del quotidiano The Morning call, che dalla Pennsylvania denunciava ad esempio i provvedimenti disciplinari contro coloro che, stremati dal caldo, svenivano sul posto di lavoro . Ma dal 2013 l’azienda di Jeff Bezos è sotto il fuoco incrociato dei media europei: dall’inchiesta della Bbc sulla salute psico-fisica dei lavoratori nel Regno Unito al libro En Amazonie. Un infiltrato “nel migliore dei mondi” del freelance Jean Baptiste Malet, assunto in un magazzino francese nel Natale 2012, alla videoinchiesta della tv tedesca Ard che raccontò in prima serata le intimidazioni che gli operai immigrati dovevano subire da vigilantes vicini ad ambienti neonazisti.

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Jeff Bezos, fondatore di Amazon, già person of the year del Time nel 1999, eletto business man del 2012 dalla rivista Fortune.

Fuori i sindacati: il paradosso degli “imprenditori dipendenti”

Proprio in Germania, nel 2013, fu organizzato il primo sciopero contro l’azienda statunitense e lo scorso 12 dicembre hanno incrociato le braccia circa 2.300 dipendenti tedeschi. Il sindacato VerDi reclama stipendi più alti e nuove forme contrattuali, che equiparino l’addetto alla logistica al venditore al dettaglio, nonché una regolamentazione su orari e pause. Sempre senza successo: in Amazon i sindacati non sono previsti perché, stando a un articolo girato nella intranet aziendale, «promuovono attivamente la diffidenza verso le autorità di vigilanza e creano anche un atteggiamento poco collaborativo tra gli associati». Detto altrimenti, Amazon “invita” i dipendenti a dichiararsi «imprenditori indipendenti» per evitare la loro sindacalizzazione.

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Dal quotidiano locale di Piacenza La Libertà (18 dicembre 2013): Filcams-Cgil e Fisascat Cisl denunciano l’ostruzionismo di Amazon rispetto alla presenza dei sindacati nello stabilimento di Castel San Giovanni.

 

I nuovi maratoneti di Piacenza

Assenti le sigle sindacali anche nel nuovo stabilimento della multinazionale a Castel San Giovanni (PC). Se l’apertura del primo capannone, nel 2011, era stata accolta come un progetto avveniristico, l’inaugurazione del 2013 rinnova l’entusiasmo: 75 mila metri quadrati e 1000 posti di lavoro, da raddoppiarsi entro il 2016. Per il sindaco Carlo Capelli «Amazon ha rappresentato un’opportunità per dare lavoro a tante persone, soprattutto giovani». Molti dei questi trentenni assunti tramite agenzia interinale si dicono soddisfatti del nuovo lavoro, come Andrea, prima avvocato. «Non mi mantenevo più e così ho scelto Amazon. Ti assicuro che sto meglio – dichiara al Corriere della Sera –. Ho il mio stipendio, i buoni pasto, la palestra, la piscina». E un contratto di 1.050 € al mese, 8 ore di lavoro al giorno per cinque giorni a settimana. Altri però sottolineano che il passaggio al tempo indeterminato comporta uno stipendio inferiore e un rapporto “confidenziale” con i manager che spesso non giova agli operai, ora coccolati con feste e tornei di ping pong, ora indotti ad accettare più facilmente le richieste di lavoro straordinario. Non mancano, poi, le conferme su fatti noti: i 20 minuti di pausa e di briefing mattutino non pagati; i 10-20 km al giorno percorsi nel supermagazzino; il controllo dell’efficienza con i messaggi sul display della pistola scanner, che incitano ad essere più veloci. «Siamo completamente disorientati lì dentro rivela un anonimo lavoratore nessuno di noi sa come comportarsi». C’è chi parla di sfruttamento e chi accoglie qualsiasi occasione in tempi di crisi. Quel che è certo è che nel nostro paese è facile trovare situazioni simili per gli alti standard di produttività, l’assenza di rappresentanze sindacali e la deregolamentazione del lavoro. Come testimoniano le numerose rivendicazioni del settore logistico, che in Italia ha trovato una forma organizzativa di riferimento nella cooperativa.

Il circolo vizioso delle false cooperative, ovvero lo sfruttamento made in Italy

Non è necessario, quindi, guardare oltreoceano per individuare un modello di gestione del personale lavorativo che porta all’indebolimento dei suoi diritti: il fenomeno delle cooperative “spurie” risponde pienamente ai requisiti. Si tratta di false cooperative: non c’è traccia di tratti distintivi come la mutualità e lo svolgimento di assemblee regolari, dato che molte non hanno consigli di amministrazione ma amministratori unici. Gli pseudo-committenti ottengono gli appalti sbaragliando la sana concorrenza di aziende rispettose delle leggi con la riduzione del costo del lavoro. Un gioco al ribasso vinto sulla pelle dei lavoratori, soprattutto degli immigrati vincolati al permesso di soggiorno, e muovendosi su più fronti (dell’illegalità): dall’evasione fiscale e contributiva, con l’applicazione di contratti pirata cui “sfuggono” delle ore di lavoro e permettono di pagarne alcune con indennità di trasferta (esentasse), al ciclo di nascita-morte-resurrezione delle aziende in poco più di un anno, il tempo necessario a riciclare il capitale sporco dei traffici illeciti. Due delle vertenze maggiori del settore hanno coinvolto proprio la città di Piacenza: sono i casi di TNT (2011), in cui il lavoro in nero era la normalità, e di IKEA (2012-2013), dove la cooperativa San Martino sospese 33 facchini, tutti aderenti al sindacato SiCobas.

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Immagini dei picchetti e degli scontri fuori dallo stabilimento Ikea a Piacenza (2013).

 

Il lavoro invisibile dell’e-commerce

Dal 2008 ad oggi, le irregolarità nel campo della logistica si sono diffuse ampiamente nei poli strategici del Nord Italia e in Emilia Romagna. A Bologna, i lavoratori dell’Interporto  sono riusciti a far rispettare le norme previste dal contratto nazionale attraverso una forma di boicottaggio molto concreta, il blocco delle merci, che crea danni notevoli nel settore che riguarda la mobilità delle stesse.
L’operazione promossa da Amazon Anonymous è stato un tentativo di connettere le lotte avvenute nella produzione materiale con l’attivismo in rete. Che abbiate o meno sfruttato i super-sconti sulla vastissima offerta online per i vostri regali natalizi, gli scandali legati ad Amazon ci ricordano che il sistema apparentemente più equo dell’e-commerce è il risultato ultimo di una serie di operazioni, tra stoccaggio, smistamento, imballaggio e spedizione della merce, che coinvolge persone i cui diritti non sempre sono rispettati, immerse in dinamiche economiche non sempre trasparenti.


Alice Laspina

Nata nella bergamasca da famiglia siciliana, scopro che il teatro, lo studio e la scrittura non sono che piacevoli “artifici” per scoprire e raccontare qualcosa di più “vero” sulla vita e la società, sugli altri e se stessi. Dopo il liceo artistico mi laureo in Scienze e Tecnologie delle Arti e dello Spettacolo e sempre girovagando tra nord e sud Italia, tra spettacoli e laboratori teatrali, mi sono laureata in Lettere Moderne con una tesi di analisi linguistica sul reportage di guerra odierno. Mi unisco alla ciurma di Pequod nel 2013 e attualmente sono responsabile della sezione Cultura, non senza qualche incursione tra temi di attualità e politica.