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Universo Università

Dati inquietanti che si aggirano sul web sostengono che i laureati italiani sono quelli che hanno in percentuale minori probabilità di impiego tra tutti i colleghi europei. La notizia non è certo sconvolgente, basta guardarsi attorno per capire che è davvero così: molti laureati se ne stanno a casa senza riuscire a trovare non solo un lavoro adeguato al proprio titolo di studio, ma neppure un qualunque altro tipo di lavoro. Alla faccia del ministro che sosteneva che i giovani italiani sono “choosy”, capita molto spesso che un laureato, qualora si presenti, mettiamo il caso, per un posto di cassiere al supermercato, si senta dire che avrebbe avuto più possibilità di impiego se si fosse presentato con il diploma o addirittura la licenza media!

Secondo la fonte che ha pubblicato il sondaggio sull’impiego post lauream, il divario esistente tra la situazione dei laureati italiani rispetto agli altri europei sta nel fatto che l’università negli altri paesi d’Europa come ad esempio Francia, Germania e Inghilterra, includa obbligatoriamente dei percorsi di tirocinio o di alternanza studio-lavoro che consentono allo studente di immettersi nella realtà lavorativa del settore che ha scelto prima ancora di aver terminato gli studi e di poter così vantare nel proprio curriculum questa esperienza.

Purtroppo la realtà universitaria nostrana non incentiva questo tipo di percorsi: forse ciò deriva da un pregiudizio che considera a teoria superiore alla pratica, il sapere fine a se stesso preferibile rispetto a quello applicato. Se questo è un discorso che può essere corretto per le scuole superiori, che, infatti, sono tra le più quotate in Europa e nel mondo, nonostante la condizione di svilimento economico e sociale a cui è sottoposta la classe docente da politiche di tagli indiscriminati alla scuola, per la formazione universitaria risulta controproducente. «La pratica senza teoria e cieca, come è cieca la teoria senza la pratica» afferma un aforisma di Protagora. La cultura classica è certamente importante e basilare per la formazione del cittadino, ma, come dimostra questo aforisma, è altrettanto necessario trasporne in pratica gli insegnamenti.

La mia esperienza personale, presso una facoltà umanistica come quella di Lettere della Statale di Milano, mi ha mostrato un mondo asfittico, sterile. Ciò che maggiormente mi ha deluso è stato proprio l’abisso che si è voluto scavare tra la realtà universitaria, il mondo della letteratura, e la società odierna con le sue dinamiche e le inevitabili questioni che ci pone di fronte. Purtroppo molto spesso l’università diventa l’arena in cui i docenti si mettono in competizione fra loro, il palcoscenico in cui fanno mostra di se, non il luogo principe della formazione delle nuove generazioni. E ancor di più mancano adeguati spazi in cui gli studenti possano mettere in pratica le nozioni acquisite, mettendo alla prova se stessi in percorsi extrauniversitari lavorativi o di apprendistato. L’università, per di più, non solo non incoraggia tali esperienze, ma anzi, sembra addirittura ostacolare quegli studenti che, al di fuori dell’ambito universitario, decidono di lavorare, ponendo sul loro cammino continui ostacoli che vanno dalla difficoltà di ottenere colloqui con i docenti al di fuori dei consueti orari di ricevimento (sia inteso, ci sono anche docenti molto disponibili in questo senso che fanno di tutto per venire incontro alle esigenze, ma, purtroppo, non sono la maggioranza), alla penalizzazione che spesso emerge in sede d’esame degli studenti non frequentanti.

La congiuntura economica attuale e l’elevata disoccupazione giovanile mette in primo piano la necessità di una riforma strutturale del sistema universitario che deve maggiormente aprirsi al mondo del lavoro: rischia di produrre schiere di disoccupati senza futuro se dovesse restare ripiegato su se stesso, nel proprio piccolo universo, appunto l’universo università.

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