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Stage, ingegneri e “letterati” a confronto: la formazione fa la differenza

Due mondi paralleli?

Giorgio ha 22 anni e una grande passione per auto e motori, perciò studia Ingegneria meccanica. Quello stesso trasporto Laura, 27 anni, lo provava per i libri e «tutto ciò che è complesso e bello», così ha conseguito una laurea magistrale binazionale in Filologia moderna.

Sara ha appena concluso all’estero i suoi studi di Ingegneria tessile, un percorso tanto settoriale quanto affascinante; Alessandra si è laureata da due anni e sfrutta le sue competenze letterarie nel campo del giornalismo.

Raccontate così, le storie di Giorgio, Laura, Sara e Alessandra non sembrano tanto diverse tra loro, se non per la scelta della Facoltà, che fa la differenza nel mondo del lavoro (e che differenza!): il rapporto 2016 del Consorzio Interuniversitario sulla condizione occupazionale dei laureati ci ricorda che tra chi ha seguito Ingegneria gli assunti sono il 65%, mentre i laureati in ambito letterario spiccano per una disoccupazione pari al 30% nonostante i continui corsi di formazione.

Il mercato del lavoro, si sa, segue le leggi del profitto e il nostro è uno dei pochi Paesi in cui è ancora diffusissimo il pensiero secondo cui “la cultura (almeno quella umanistica) non dà da mangiare”. Ma questa dicotomia tra ingegneri e umanisti sembra appianarsi un poco nel limbo che tutti (o quasi) accoglie, quello dello stage.

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Dal rapporto 2016 del Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea.

Great expectations

Laura mi parla di amici iscritti ad Ingegneria che hanno svolto stage gratificanti con ottime possibilità di assunzione. L’esperienza di Sara, in effetti, non la smentisce: nei suoi tre stage curricolari presso aziende tessili si è occupata di marketing e analisi di processo, proprio come desiderava. «Sono pienamente soddisfatta dell’esperienza acquisita, è un ottimo modo per applicare le conoscenze in modo concreto e per approcciarsi alla realtà aziendale».

Sara è stata affiancata durante tutto il periodo delle attività, sviluppando progetti molto interessanti. Così è stato anche per Alessandra, che al terzo anno di Lettere ha scoperto il lavoro dell’ufficio stampa in una grande casa editrice: «Mi occupavo autonomamente della rassegna stampa mattutina: se non finivo io, nessuno poteva iniziare a lavorare in ufficio. Mi piaceva molto perché sentivo di contribuire all’ingranaggio editoriale e tutti erano pronti ad aiutarmi».

Per la tesi magistrale, Giorgio sta pensando a un progetto accompagnato da stage in azienda. «Avrei solo un contributo spese, ma essendo un progetto per la tesi non mi lamento. Semmai, non trovo corretto lo stesso contributo spese per stage di 6-7 mesi, in cui alcuni miei colleghi sono partecipi dell’attività dell’azienda 8 ore al giorno per 5 giorni a settimana…». E così, tanti vanno all’estero oppure stanno a casa «cercando un’offerta migliore dei “300 euro al mese più mensa aziendale”».

Insomma, non per tutti finisce bene, e non solo tra i “letterati”. «Io sono stata fortunata», ammette Sara.

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diversamenteoccupati.it

Il ruolo dell’università

Abbiamo già parlato degli scarsi investimenti degli atenei italiani per la formazione dei suoi studenti, che in merito agli stage deludono una volta di più non tanto perché non assicurano la certezza di rimborsi spese adeguati, ma perché spesso non forniscono opportunità adeguate ai loro desideri e alle loro esigenze. Come dire, la formazione è importante, ma “si può dare di più”. E questa è una percezione trasversale, anche tra chi segue studi così differenti.

«Anche per gli ingegneri ci sono stage sfruttati dall’azienda per ottenere le prestazioni desiderate a minor prezzo e senza vincoli. Vecchio e sempre attuale discorso», osserva Sara. Alessandra parla per esperienza diretta: «Nei tre mesi di stage ho ricevuto solo 3 crediti formativi, nessun rimborso spese. Per lo stesso periodo hanno cercato due stagiste con le stesse funzioni: a che scopo? Allora, penso, lo stage era solo una formalità per coprire dei “buchi”».

Per Laura l’iter è stato più macchinoso. Voleva lavorare nell’editoria, ma già al primo stage curricolare ha dovuto adeguarsi. «Dopo molte ricerche e nessuna collaborazione da parte dell’Università (la stessa “casa editrice universitaria” non ha voluto accettare stagisti), ho accettato la proposta della conservatrice di Italianistica che mi conosceva». Una collaborazione con l’archivio dell’università di Grenoble è cosa prestigiosa, ma non era quello che desiderava. «Nessuno dei miei colleghi ha svolto attività adeguate alle proprie aspettative e scelto stage meno formativi ma più accessibili, in librerie o simili. In ogni caso tutti gli stage sono stati individuati dagli studenti, non dall’Università, che si limita a certificare i tre crediti più o meno per qualsiasi cosa».

La stessa storia si ripete quando, neolaureata, sceglie di svolgere uno stage postlaurea come insegnante di italiano e francese a Meru, in Kenya: Laura trova lo stage, convince segretarie e infine riesce a certificare la sua esperienza. «Il progetto prevedeva una relazione finale ma, ovviamente, l’Università non se ne è mai interessata».

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Stage: una formalità o una questione di qualità

Giorgio è il più giovane tra le persone che ho intervistato, ma ha le idee chiare su cosa potrebbe aiutare il nostro Paese a sciogliere il binomio stage-precarietà: «Posso capire che i neolaureati non sappiano fare in pratica ciò che nel mondo del lavoro si richiede. Gli studi accademici offrono poche occasioni di fare lavori pratici, per quanto riguarda Ingegneria. Io aggiungerei dei crediti formativi di laboratorio per iniziare a prendere confidenza con le attrezzature tecniche. Ma è importante dare un incentivo all’impegno e una motivazione ai fini di assunzione».

Le sue osservazioni non si discostano così tanto da quelle di Laura, che oggi è un’insegnante. «Gli stage sono esperienze utilissime perché quando si esce dall’ambiente universitario si è davvero inesperti. Credo sia giusto inserirle già all’interno della formazione scolastica e che debbano accompagnare i giovani fino ai sei mesi dopo la laurea. Dopodiché, l’attività non si chiama più “stage” ma “lavoro”, e dovrebbe essere retribuita dignitosamente».

Una preoccupazione diffusa tra studenti ed ex studenti, siano essi ingegneri o “letterati”, è che la definizione di stage si allarghi fino a comprendere attività di qualsiasi tipo, a patto che siano poco retribuite e si rimbalzino giovani sempre più qualificati ma sempre più precari. «È un dato di fatto – constata Laura – Il punto è: come risolvere? Siamo in ritardo per questo “appuntamento” con i nostri diritti?».

In copertna ph. Cade Martin, Dawn Arlotta, USCDCP (CC0 by Pixnio).

featured, Filologia, formazione, giovani, Ingegneria, Lettere, precarietà, stage, stage1, università


Alice Laspina

Nata nella bergamasca da famiglia siciliana, scopro che il teatro, lo studio e la scrittura non sono che piacevoli “artifici” per scoprire e raccontare qualcosa di più “vero” sulla vita e la società, sugli altri e se stessi. Dopo il liceo artistico mi laureo in Scienze e Tecnologie delle Arti e dello Spettacolo e sempre girovagando tra nord e sud Italia, tra spettacoli e laboratori teatrali, mi sono laureata in Lettere Moderne con una tesi di analisi linguistica sul reportage di guerra odierno. Mi unisco alla ciurma di Pequod nel 2013 e attualmente sono responsabile della sezione Cultura, non senza qualche incursione tra temi di attualità e politica.

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