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Mafia, i racconti “civili” e i miti da sfatare

Erano gli anni Settanta quando la saga di Vito Corleone sbarcava sul grande schermo, diventando l’illustre precedente di molte storie di mafia. Oggi sono innumerevoli le serie tv che raccontano di giudici retti e poliziotti eroici, persino di mafiosi dall’animo fragile e dilaniato (forse troppo: come non pensare a Rosy Abate di Squadra Antimafia, donna della malavita e madre di un figlio avuto da un poliziotto e poi travolta da un nuovo amore per un altro uomo in divisa?).
E allora, perché andare a teatro per sentirsi raccontare storie di mafia e storie contro la mafia? Nell’epoca dei giornalisti prestati al teatro e degli attori prestati al giornalismo, tutto sembra confondersi. Ma i motivi sono tanti e si raccontano da sé.

La (Quinta) mafia esiste: non solo il Sud
«Qualcuno confonde il giornalismo con la scrittura letteraria e pensa che un attore debba salire in scena con un’inchiesta invece che con uno spettacolo. Questo sarebbe il lavoro dell’attore?». Partiamo dalla domanda provocatoria di Ascanio Celestini per parlare di uno spettacolo che nasce dal romanzo-inchiesta di Giuseppe Catozzella, Alveare, e alterna come protagonisti minacciosi uomini in completo scuro, ragazzi di periferia e simpatici vecchietti-mafiosi che si lamentano degli acciacchi e rimpiangono i metodi violenti delle cosche di una volta. Quinta mafia di compagnia b a b y g a n g racconta la ‘ndrangheta al Nord, invisibile o solo taciuta, attraverso quadri comici o tragici, anche sfruttando un’improbabile storia d’amore tra un giovane mafioso e una giornalista de La Repubblica che indaga sulla mafia.

I protagonisti: non solo “giornate della memoria”
A teatro, quindi, per sfatare i luoghi comuni, come quello della “memoria rinfrescata” dalle giornate commemorative di stragi e vittime che sembriamo dimenticare per il resto dell’anno. Una sorte che tocca spesso a personaggi che si sono distinti per una resistenza pacifica ma tenace al malaffare, come quella di don Pino Puglisi. È l’uomo che il mainstream ricorda, serioso, nel giorno della sua morte (15 settembre 1993); è l’«amante amatore innamorato dell’amore» che Ficarra e Picone raccontano in uno sketch famoso che non esclude le risate; è U parrinu nel monologo che intreccia storia e ricordi personali di Christian Di Domenico: il parroco che sorrideva, nel quartiere Brancaccio di Palermo, per accogliere bambini abbandonati a se stessi e vincere l’ostilità con l’ironia.

Padroni delle nostre vite: non solo storie di morte
Nell’Italia del degrado accettato o subìto c’è un’Italia che resiste, anche contro uno Stato incapace di difendere chi non vuole soccombere ai ricatti della malavita. Così inizia la lotta dell’imprenditore calabrese Pino Masciari, costretto a lasciare la sua terra per aver denunciato gli ‘ndranghetisti. La sua lotta continua, oggi, anche grazie al sostegno di Comuni di tutta la penisola e di uno spettacolo come Padroni delle nostre vite di SciaraProgetti, in cui l’interpretazione misurata e coinvolgente di Ture Magro si confronta con 10 attori “virtuali”, registrati e proiettati su 3 maxischermi, che appaiono e scompaiono incalzandolo, in uno spazio che lascia aperta solo la quarta parete, quella verso il pubblico.

Sono diverse le forme assunte dagli spettacoli che rappresentano l’impegno politico, la denuncia, la memoria di fatti passati o recenti. C’è chi parla di “teatro civile”, pensando sia necessario incasellare in una nicchia produzioni tanto differenti per strumenti e resa finale. Forse ha ragione il buon Ascanio Celestini: forse non esiste un “teatro civile”, «se no dovrebbe esistere anche un teatro incivile, maleducato, selvaggio, screanzato. E in una ipotetica divisione in squadre, mi piacerebbe far parte dei selvaggi più che dei civili».

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Alice Laspina

Nata nella bergamasca da famiglia siciliana, scopro che il teatro, lo studio e la scrittura non sono che piacevoli “artifici” per scoprire e raccontare qualcosa di più “vero” sulla vita e la società, sugli altri e se stessi. Dopo il liceo artistico mi laureo in Scienze e Tecnologie delle Arti e dello Spettacolo e sempre girovagando tra nord e sud Italia, tra spettacoli e laboratori teatrali, mi sono laureata in Lettere Moderne con una tesi di analisi linguistica sul reportage di guerra odierno. Mi unisco alla ciurma di Pequod nel 2013 e attualmente sono responsabile della sezione Cultura, non senza qualche incursione tra temi di attualità e politica.

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