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Annalisa, comunicarsi nel disegno

Il disegno e l’arte come espressione di sé e raffigurazione del mondo. Chissà se nel nostro tempo, sia ancora data la possibilità di esprimersi secondo modalità di comunicazione che nulla hanno a che fare con il web e con i social media. Oppure se, in una società fondata sull’economicismo, sulla monetizzazione di qualsiasi cosa, ci sia ancora spazio per fogli e carboncino.

Abbiamo incontrato Annalisa Zungri, che studia lettere alla Normale di Pisa e nel tempo libero dipinge, anche se ci tiene a sottolineare che il suo non è semplicemente un hobby: «Disegnare è qualcosa senza il quale non sarei in grado di riconoscermi, una parte decisiva della mia personalità» ci dice.

Oggi ve la presentiamo perché in questo momento storico, in cui sono in molti ad accantonare aspirazioni e passioni soltanto perché poco spendibili a livello puramente economico, vale la pena raccontare storie che hanno al centro “l’utilità dell’inutile”. Imprimere sul foglio le emozioni proprie e donarle agli altri conservandole nel codice collettivamente segreto dell’arte.

Annalisa fa del suo lavoro uno “specchio dell’anima”. Ne fa un modo di comunicare. Le sue linee e i chiaroscuri il suo canale primario.

annalisa
L’artista Annalisa Zungri

L’idea è chiara e si esprime senza alcuna titubanza nel desiderio di perfezionamento, di modelli da seguire e reinterpretare. «Quello che detesto del mio modo di disegnare – racconta lei – è che ho un’innata tendenza ad estetizzare, per cui anche quando provo a disegnare qualcosa di brutto risulta sempre come sospeso in un’atmosfera, che tende a valorizzarne una qualche bellezza».

E vale veramente la pena perdersi  nelle linee della sua matita. Nei ritratti di figure umane, negli elementi che costituiscono il suo modo di disegnare. «Spesso mi chiedo se ci siano delle attinenze tra il modo in cui disegno, il modo in cui vedo il mondo, e il modo in cui penso: alcune volte mi sembra di cogliere queste “corrispondenze” in una passione sconsiderata per il dettaglio».

Tra i suoi riferimenti troviamo i grandi disegnatori italiani, da Manara a Schiele, da Pazienza a Dix. Ma nel dolce naufragare del foglio bianco non mancano le grandi bussole dell’arte contemporanea: Frida Khalo, Beardsley, Grunewald, Khnopff.

Dicevamo non essere un hobby questo, ma un elemento innato, una passione che cerca di rinnovare se stessa, stimolata dalle letture e dalle esperienze umane anche distanti tra loro, non per questo meno affascinanti. «Al liceo lessi, in una biografia di Schiele, che questi usava disegnare senza gomma, fissando sul foglio le figure e strappando, stralciando, gettando via tutto, nell’eventualità di un solo “errore”, e questo è un modello di determinazione a cui da allora ho sempre mirato. C’è poi  una perla di saggezza di mio padre, che anni fa mi spiegò che non ha senso definire ogni dettaglio, ogni linea, altrimenti si priva lo spettatore del piacere dell’immaginazione, del vagheggiare oltre le forme fissate sulla carta».

Il disegno come forma d’arte, espressione di sé. E se è vero che il sonno della ragione produce mostri, specie in questo rinnovato clima di smarrimento sociale, soltanto il risveglio dei sensi potrà salvarci dall’incubo del disorientamento.

Kumiko
“Kumiko”

“In quale oceano in quale notte
la sto perdendo
chiesi al delfino

Disse il delfino:
nell’acqua nera
dove quello che unisce separa
dove il silenzio è un boato
dove sei perso anche tu”

Michele Mari

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