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Dai videogames alla realtà: Escape Room ti mette alla prova!

Una stanza chiusa. Una squadra di giocatori chiusi nella stanza, un tempo limitato per uscirne e vincere il gioco. Escape Room è la nuova frontiera dei giochi di squadra e arriva direttamente dagli Stati Uniti. Un nuovo tipo di divertimento per cui ciò che prima veniva pensato per un videogames, ora è realtà.

Una modalità simile era già presente nel mondo dei videogiochi online: il giocatore ha una visuale in prima persona e si trova rinchiuso in una stanza che di solito rimanda ad un’atmosfera inquietante, come la cella di un carcere, l’interno di una vecchia casa, un ospedale abbandonato, ecc… L’obbiettivo è, appunto, quello di riuscire a scappare dalla stanza (in questo caso puntando il click del mouse su specifici oggetti nascosti, indispensabili per proseguire nella fuga e trovare la chiave). Uno dei primi videogiochi di questo genere venne creato nel 2001: MOTAS (Mystery Of Time And Space).

Nella realtà non virtuale, quella delle Escape Room,  a un gruppo di persone (di solito vanno da un minimo di due a un massimo di dieci) viene esposto il punto di partenza, una trama iniziale, per poi essere rinchiuso all’interno della stanza. Da qui i giocatori hanno 60 minuti per trovare la chiave seguendo e cercando gli indizi nascosti per poi finalmente liberarsi.

Per capirne di più, ho chiesto all’amica Roberta Dondoni di parlarmi della sua “fuga”. «Sono andata in una delle tante Escape Room di Milano, la Get Me Out. Lo scopo è uguale a tutte le altre attrazioni: cercare di uscire tutti quanti in meno di 60 minuti». Continua Roberta «la stanza in cui mi trovavo io si chiamava ‘’la stanza misteriosa’’  ed era allestita come un hotel in stile anni ’80. Una volta entrati parte il timer ed inizia la caccia agli indizi per cercare di uscire». Il gioco in sé è molto originale perché premia l’intelligenza e le capacità intuitive individuali.

A Get Me Out, tutte le stanze sono dotate di microfoni e telecamere per consentire al moderatore di inviare suggerimenti ed indizi garantendo così una migliore esperienza di gioco. «Alcuni piccoli enigmi che bisogna risolvere sono abbastanza semplici, altri invece sono veramente ingegnosi: alla versione a cui ho partecipato una delle tante sfide, ad esempio, consisteva nel cercare il titolo di una canzone in un libro e poi selezionarla su un jukebox solo dopo aver trovato l’apposita monetina per farlo funzionare» mi spiega Roberta.

Sicuramente un modo alternativo per giocare in compagnia: «l’esperienza è stata molto bella perché ci si immerge completamente nel gioco e soprattutto si è costretti a collaborare con i propri amici per trovare una via d’uscita. È un modo per passare una serata diversa e divertente anche perché le risate sono garantite». Un’esperienza che Roberta consiglia vivamente di provare. Questa nuova frontiera del divertimento mette alla prova l’intraprendenza, l’ingegno e soprattutto il gioco di squadra. È questa la ricetta per sperare nella vittoria!

È facile capire come l’idea alla base del gioco sia creativa ed individuale. Abituati a giocare a videogames in cui, tramite precisi comandi, facciamo compiere determinate azioni ad un avatar su uno schermo, con l’invenzione delle Escape Room, tutto ciò a cui eravamo abituati si capovolge. Gli avatar siamo noi, l’avventura è creata per noi e siamo essenziali per determinare lo svolgersi del gioco. In tutto questo contemporaneo trambusto di realtà aumentata, Escape Room potrebbe esserne una piccola e pratica anticipazione.

 

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Matteo Fornasari

Cremonese di nascita, classe 1995, riesco ad oltrepassare l’ostacolo della maturità nel luglio del 2014 e a conseguire un sudatissimo diploma in lingue straniere. A settembre dello stesso anno la passione per la storia mi porta ad iscrivermi all’Università degli Studi di Milano dove quasi casualmente trovo Pequod, ed è qui che ha inizio la mia avventura.

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