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Azzorre: viaggio incontaminato tra delfini e terre vulcaniche

Nuotare a largo della costa, in aperto oceano atlantico, non è di certo una delle esperienze più confortanti della vita. Non solo hai sempre la netta sensazione di far mulinare le braccia a vuoto, ma la prima cosa su cui ti si fissa lo sguardo sono i raggi solari che man mano si perdono nel blu. Il tutto è accompagnato dall’unico suono che riesci a percepire: l’inquietante rumore del tuo respiro nel boccaglio.

Ma poi, quasi all’improvviso – perché in realtà erano lì già da un po’ a osservarti – senti suoni simili a numerose “i”, che si alzano e si abbassano di intensità, e mentre cerchi di individuarne l’origine scorgi sette e più delfini che dal basso, rallentando la nuotata, sbirciano all’insù con il corpo di traverso, combattuti fra la diffidenza e la curiosità. Ed è proprio in quel momento che, cercando di non bere, cominci a sorridere dietro il boccaglio.

Azzorre, Settembre 2012. Primo viaggio in solitaria.

Ho sempre avuto il pallino di voler nuotare coi delfini, chiaramente abbindolata da film e telefilm Flipper, che guardavo a bocca aperta. Così l’anno scorso, messi da parte un po’ di soldi, decisi che era giunto il momento di realizzare il mio sogno: cominciai a cercare posti ed eventuali compagni di viaggio. Non solo scoprii che fosse illegale nuotare coi delfini in cattività, ma pure di non avere né amici né conoscenti  abbastanza squilibrati da seguirmi. Partii da sola, verso le Azzorre.

Le Azzorre sono un arcipelago di nove isole vulcaniche distanti da 1600 a 2000 km dalla costa portoghese, e dal 1976 costituiscono una Regione autonoma del Portogallo. Di queste isole non esistono guide turistiche soddisfacenti, quindi conviene appoggiarsi a Internet. La mia ricerca cadde sull’isola di Pico, la seconda territorialmente più estesa dell’arcipelago, dove, per l’appunto grazie alla rete, riuscii a scovare un gruppo di biologi marini specializzati nel whale watching e dolphin swimmers (sito: Pico Sport). Le isole sono sempre state famose per la presenza di cetacei nelle loro acque, tanto che la caccia alle balene fu la fonte economica principale dell’arcipelago, in particolare nel XIX secolo, quando le loro acque venivano solcate da baleniere provenienti da Stati Uniti, Norvegia, Gran Bretagna e Russia. Oggi, invece, dopo la moratoria a livello mondiale, la caccia alle balene è vietata in tutte le isole dalla metà degli anni Ottanta. Di conseguenza, l’unica soluzione fu di sfruttare la presenza dei cetacei ribaltando il punto di vista: non più caccia, ma osservazione e protezione.

Common dolphins e atlantic spotted dolphins

Le uscite in mare coi delfini sono organizzate con un gommone da sei persone, massimo otto, che porta in mare aperto, abbastanza lontano dalla costa se il tempo lo permette, verso i tratti di oceano dove gli animali sono soliti andare a cibarsi. Una volta usciti dal porto del villaggio Madalena parte la gara a chi avvista il primo delfino e può trionfalmente urlare «Dolphins!»; a quel punto ci si accosta al gruppo e, al momento opportuno, la guida fa scendere in mare due persone alla volta, in modo da non spaventare gli animali.

Durante la mia prima uscita mi ero ripromessa di non restare delusa nel caso non avessi visto nulla, pensare che avrei avuto altre occasioni nei giorni seguenti. Invece pare proprio che alle Azzorre i delfini siano numerosissimi: soltanto una mattina è successo che si mantenessero a distanza, lasciandosi avvistare per poi sparire fra le onde. Si trattava di  un gruppo di delfini misto, composto da più di 50 esemplari di Stenelle (Striped dolphins) e di Delfini comuni (Common dolphins), che giocando e scappando con le scie dei gommoni, hanno cominciato a saltare a gran velocità sulla superficie dell’acqua. I Delfini comuni sono stati la prima specie di delfino che ho potuto ammirare da vicino, nuotando con loro. Nelle successive uscite, l’oceano è stato generoso, permettendoci di incontrare una varietà di specie: dagli  enormi e veloci Grampi (Grampus grisou), per inseguire i quali ho quasi perso di vista il gommone; ai Tursiopi (Spotted Dolphins), che scendono in profondità e inseguendoli si rischia di rompersi i timpani.

Tursiopi
Di quest’ultima specie fa parte il nostro Flipper; nella mia esperienza, sono stati davvero subdoli, sperando di fare un complimento alla loro intelligenza. Si lasciavano avvicinare tranquillamente con l’imbarcazione e una volta che scivolavi nella gelida acqua oceanica, a poco a poco si inabissavano, fermandosi a tratti a osservarti, e il loro sguardo comunicava solo una cosa: «Dai forza, vediamo se riesci ad arrivare fin qui». Tradotto in inglese dalla mia compagna austriaca: «Fuck off, stupid humans!».

La padrona incontrastata di queste terre è senza dubbio la natura: sia in terra che per mare, sia col sole che con la pioggia, il ritmo della vita è dominato dalle bizze dell’ambiente. Un’armonia ciclica pervade gli abitanti rendendoli attivi d’estate e riflessivi d’inverno. Di tutte le piacevoli e disponibili persone che ho incontrato lungo la strada, senza dubbio Jousua, Rogers e Nilton sono coloro che ricordo con più affetto.

Vulcano Pico (2351 m)

Rogers è una guida turistica del Parco protetto del Pico, il vulcano che dà nome all’omonima isola. Lavora al Centro situato a 1200 metri  sul vulcano, prima della grande salita verso la punta.

Nilton, , invece, è la guida di montagna che Rogers mi ha suggerito per organizzare la risalita notturna del vulcano e ammirare l’alba sull’oceano. Teoricamente molto bello, ma in pratica pioveva troppo e il programma è saltato.

Jousua è, invece,  un amico d’autostop; o meglio, lui mi ha caricato sul suo furgoncino rosso. Signore di mezza età, subito mi ha preso in simpatia e ha cominciato a chiedermi nomi e posti italiani, rivendicando la sua conoscenza di Roma, che dopo incomprensioni e risate, scopro ridursi a due ore di attesa del bagaglio all’aeroporto di Fiumicino. Accetta di portarmi a Santo Amaro, villaggio sulla costa settentrionale dell’isola, dove spero di ritrovare una signora tedesca conosciuta il primo giorno di viaggio, ma a una sola condizione: Joshua deve assolutamente portare una botte di vino a un amico; così gli assicuro che le deviazioni non sono per me un problema. Innamorato profondamente della sua terra, il portoghese brizzolato mi mostra terre vulcaniche “appena” formate, numerosi vigneti e sue proprietà, con tanto di degustazione di vini e liquori prodotti da lui.

Vigneti tra le rocce vulcaniche dell’isola

Ci salutiamo con simpatia all’entrata del negozio d’artigianato tessile a Santo Amaro, in cui avrei trovato la figlia della mia amica tedesca, Christa. Entro a chiedere informazioni: tutti la conoscono, effettivamente, ma di certo né lei né qualcuno della sua famiglia lavora lì. Scopro, dunque, che non solo la mia capacità di comprendere l’inglese è pessima, ma che Christa aveva semplicemente usato il primo biglietto trovato in borsa per scrivermi il suo nome. Dopo altri passaggi arrivo a casa sua e mi godo una meritata tazza di caffè portoghese.

La visita si rivela di fatto più utile del previsto: è Christa a suggerirmi alcune mete irrinunciabili, come il Vulcano Campelinhos, circondato da un paesaggio lunare che si specchia direttamente nell’acqua cristallina, e la Caldeira del Vulcano di Faial, dal diametro di 2 km, da cui è nata l’omonima isola che fronteggia quella di Pico.

Vulcano Capelinhos (501 m; ultima eruzione: 1958)
Caldeira Grande di Faial

Per alcuni tratti, il mio viaggio in solitaria si riempie di compagni; eppure nel momento in cui riprendi il tuo tragitto e ti avvolgi nelle tue riflessioni,  scopri limiti ed eccessi del tuo carattere e le emozioni possono intensificarsi a dismisura, senza che la presenza di nessuno le tenga a freno. Occasione, offerta dalla solitudine, di conoscere l’essenza di luoghi di un angolo del Pianeta, ma anche di un angolo chiuso dentro il proprio sé.

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Francesca Gabbiadini

Nata in valle bergamasca nell’inverno del 1989, sin da piccola mi piace frugare nei cassetti. Laureata presso la Facoltà di Lettere della Statale di Milano, capisco dopo numerosi tentavi professionali, tra i quali spicca per importanza l’esperienza all’Ufficio Stampa della Longanesi, come la mia curiosità si traduca in scrittura giornalistica, strada che mi consente di comprendere il mondo, sviscerarlo attraverso indagini e ricomporlo tramite articolo all’insegna di un giornalismo pulito, libero e dedito alla verità come ai suoi lettori. Così nasce l’indipendente Pequod, il 21 maggio del 2013, e da allora non ho altra vita sociale. Nella rivista, oltre ad essere fondatrice e direttrice, mi occupo di inchieste, reportage di viaggio e fotoreportage, contribuendo inoltre alla sezione Internazionale. Dopo una tesi in giornalismo sulla Romania di Ceauşescu, continuo a non poter distogliere lo sguardo da questo Paese e dal suo ignorato popolo latino.

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