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Le maschere del Duce

«Mussolini crea un grande scenario, dove l’entusiasmo si trasmette attraverso la sapiente energia di una mobilitazione continua che culmina poi con l’apparizione del Duce dal balcone e molti quando vedono apparire Mussolini scrivono, anche i ragazzi nei diari o nei compiti di scuola: “E’ come se apparisse Dio”».

[Emilio Gentile, E fu subito regime, 2012]

«Quando prende a parlare, dagli occhi si sprigionano faville e dalla bocca escono frasi concitate e rotte nella piena della passione e della foga oratoria […] È grande, è bello di quella bellezza che la superiorità dello spirito plasma nei visi degli apostoli e degli eroi».

[Luigi Vicentini, Mussolini veduto all’estero, 1924, Barion editore]

Questi gli sguardi di chi osservava il Duce. Eppure Benito Mussolini era alto 1,67 m per un peso di 70 kg circa.
Com’è possibile una tale discrepanza tra le misure del Duce, non certo colossali, e il modo in cui veniva percepita la sua immagine, la sua fisicità?
Qual è il vero volto di Mussolini?

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Parlare dell’immagine del Duce vuol dire riflettere su come una tale personalità abbia voluto mostrarsi, attraverso volti diversi, per ottenere un ampio consenso. Piuttosto che cercare un’unica sembianza e fisionomia del gerarca fascista, sarà quindi opportuno parlare delle maschere e dei costumi che indossava. Mussolini fa della sua estetica e dei suoi tratti i contorni del fascismo stesso: la mascella serrata, metallica e imponente, il passo deciso e determinato, l’occhio folle e visionario, il petto e le spalle larghi, corazzati, fieri. Il Duce è il primo dei fascisti, il modello cui rifarsi, il corpo-corpus studiato nelle scuole.

A ben vedere, lui non è il soggetto osservato, bensì colui che mette in mostra se stesso perché l’importante è esserci, sempre. Esserci per mostrarsi. Mostrarsi per essere osservati. Essere osservati per essere ammirati, emulati, seguiti.

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Mussolini si mostra innanzitutto membro del popolo che guida, anche attraverso la propria immagine. Con l’obiettivo di radicare il potere della sua dittatura su tutta la nazione, intraprende una serie di viaggi assieme a una troupe fotografica da lui stesso preparata, nelle diverse regioni della penisola, fino a raggiungere i suoi conterranei nelle aree di maggior migrazione.

Ecco allora la figura del giovane maestro di scuola romagnolo emigrato in Svizzera, povero e malmesso, che riesce a salire nella società altoborghese e aristocratica per rompere gli equilibri. Il Duce contadino con le sue quarantaquattro ferite della prima guerra mondiale esibite in parte a busto nudo sotto il sole cocente, che grida promettendo il pane al popolo. Il Mussolini sportivo e praticante delle piste da sci, sprezzante delle basse temperature. Vicino ai minatori piemontesi nella visita alle cave di Cogne nel Maggio del 1939, con un’insolita veste, che sembra calzare con disagio e inadeguatezza. Ma anche, una figura bohèmien che passeggia sul lungomare di Osta nel 1928 o un aitante borghese che con sguardo sfrontato esprime tutto l’arrogante spirito del “me ne frego” fascista.

Anche nel rapportarsi ai popoli dell’Africa imperale, Mussolini volle dimostrare di saper parlare il medesimo linguaggio culturale, indossando abiti folkloristici e integrando i costumi fascisti alle culture delle colonie.

 

 

Mussolini non è solo la voce della borghesia e le braccia del popolo; era osservato anche da occhi stranieri. Nel 1932 il giornalista americano Lowell Thomas realizzò il film Mussolini speaks per la Columbia e definì il Duce “il moderno Cesare”, apprezzando l’iconografia che era riuscito a realizzare.

Un uomo che è diventato immagine, tanto attraverso l’espressività facciale quanto attraverso l’abbigliamento, facendo della sua figura strumento di divulgazione e comunicazione verso ognuno, plasmandosi secondo l’appartenenza di ceto, della nazionalità, della cultura dei suoi interlocutori.

Un uomo divenuto emblema, mascherato da personaggio e finito vittima di quest’ultimo.

Quasi per un’amara legge del contrappasso alla fine la maschera è stata distrutta brutalmente da una morte violenta; l’immagine si è capovolta e il volto chiaro, netto che non lasciava spazio al dubbio e all’incertezza ha ceduto il passo alla carneficina e al misterioso senso di una vendetta, di una morte che ha fatto tacere ogni personaggio, ogni costume, ogni volto di Benito Mussolini.

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In copertina: Busto di Mussolini di Adolfo Wildt, copia di quello posto a ornamento della Casa del Fascio di Milano e distrutto a picconate nel 1945; Profilo Continuo di Renato Bertelli, creato la prima volta nel 1933 e poi riprodotto per sedi del Partito Nazionale Fascista, Gruppi Regionali, Case del Fascio e abitazioni private; Dux di Thayaht (Ernesto Michahelles), donato nel 1929 dall’artista a Mussolini.

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Andrea Turchi

Mi chiamo Andrea Turchi ed ho 25 anni. Provengo da Firenze, dove mi sono laureato in Lettere Moderne ed attualmente studio Editoria presso l’Università Statale di Milano. Pequod per me è non solo un’occasione di crescita ma qualcosa di più: Pequod è una lente per osservare il mondo, un mezzo per suggerirvi una prospettiva diversa, una famiglia della quale faccio parte da più di 1 anno. Mi occupo soprattutto di attualità e cultura e spero che apprezzerete i miei articoli.

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