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Non solo fortuna: la mia vita nel poker

Se ne parla per il suo fascino pericoloso, spesso anche a sproposito: in Italia parlare di poker come di un qualsiasi gioco è ancora un tabù difficile a morire, perché associato a giochi d’azzardo in cui le sorti del giocatore sono nelle mani della fortuna. Nell’opinione comune è diffusa l’immagine di una bisca clandestina riunita intorno a tavolo da gioco circondato da una nebbia fumosa, tra sigari e bicchieri di whisky, nel sottoscala di un locale di seconda categoria. Eppure chi gioca a poker con costanza parla di conoscenza approfondita delle regole del gioco e abilità nel giostrarsi tra queste, di metodo analitico, di studio, di mindset. E ci apre una nuova prospettiva su un gioco di logica e abilità. Ne abbiamo parlato con Luca (nome di fantasia), giocatore di 29 anni della provincia di Bergamo, che ha scoperto nel poker un’attività estremamente affascinante per abilità tecniche e skills mentali, ma anche una fonte di guadagno consistente, che arriva a coprire la metà delle entrate mensili.

 

Il gioco del poker è un gioco complesso, spesso circondato anche da un’aura di mistero. Cosa ti affascina di questo gioco di carte?
«Credo che il punto di forza del poker risieda nella sua natura poliedrica. Chiunque vi si approcci, probabilmente troverà almeno un aspetto che lo catturi: che si tratti della sua componente aleatoria, matematica, emotiva o socializzante.
Personalmente ho sempre apprezzato il fatto che, nonostante la sua semplicità a livello di regolamento, dia la possibilità ai giocatori di compiere una vasta gamma di scelte all’interno della partita. Poi non posso non citare una meccanica unica nel suo genere che adoro: sua maestà “il bluff”. In quale altro altro contesto si è premiati, pur rimanendo con la coscienza intatta, per aver mentito in modo convincente? E cosa si prova ogni volta che si buttano le chips in mezzo al piatto sapendo di non avere niente in mano?
ll mix di tutti questi fattori mi ha fatto innamorare del gioco, tuttavia le caratteristiche che mi affascinarono inizialmente non sono le stesse che continuano a farlo tuttora. Queste ultime sono prevalentemente legate alla matematica e al lato più tecnico /teorico alla base del gioco e alle strategie che ne derivano. Un altro aspetto del poker che ho imparato ad amare col tempo è il suo essere incredibilmente meritocratico nel lungo periodo, quanto apparentemente “ingiusto” nel breve».

Quando e come ti sei avvicinato al gioco del poker?
«Ho sempre amato il mondo delle carte da gioco fin dalle classiche partite con le carte bergamasche fra nonno e nipote. All’età di 13 anni anni ho scoperto prima Yu-gi-oh e poco dopo Magic the Gathering, a cui peraltro gioco ancora di tanto in tanto. Da lì ho praticamente perso interesse verso tutti gli altri giochi di carte, data la loro scarsa complessità, fino ad una noiosa serata estiva del 2008. Mi trovavo al bar vicino casa col mio gruppetto di amici e decidemmo di sperimentare il poker Texas Hold’em, quel gioco che si vedeva spesso in TV in tarda serata costellato di strani personaggi dal carisma invidiabile e dal look stravagante.
Allora giocavamo senza scommettere un centesimo, ma ci abbiamo messo poco a capire che non poteva essere la stessa cosa senza soldi in ballo, così cominciammo a puntare piccole cifre per dare pepe alle partite. Nei mesi successivi entrai in contatto con alcuni circoli di giocatori, addirittura il proprietario di una piccola sala da gioco mi lasciò le chiavi del locale. Potendo gestire la stanza a mio piacimento, il sabato e la domenica pomeriggio diventarono appuntamenti fissi del pokerino fra amici, altre volte si organizzavano partite casalinghe. Lo ricordo come un bel periodo, avevo coinvolto un bel gruppo di persone e ci divertivamo per ore facendo tornei a 5€ di iscrizione. Nel giro di due anni purtroppo la sala fu chiusa anche perché la regolamentazione si fece più rigida, e pian piano smettemmo di organizzare. Nel frattempo cominciai a provare il poker online: non era la stessa cosa, non c’erano più le risate in compagnia, la sensazione del velluto del tavolo sotto i polpastrelli, il rumore dei trick fatti con le fiches… d’altro canto si potevano giocare più mani in meno tempo, con persone sparse per tutta Italia e partecipare a più tornei contemporaneamente…».

 

Che tipo di abilità sono necessarie nel poker per essere vincenti?
«Preparazione tecnica e assetto mentale. Il tutto si riassume in questi due aspetti imprescindibili, di conseguenza mi sento di dire che qualunque predisposizione caratteriale che possa aiutare nello sviluppo e miglioramento costante di queste capacità, se applicata, porterà qualunque giocatore a vincere nel lungo periodo. Una persona perspicace e dall’intuito acceso che non abbia mai studiato il gioco tramite articoli, video, confronto con altri giocatori e software, avrà meno successo di qualcuno meno brillante ma che faccia le suddette cose. Nel poker infatti l’esperienza fatta al tavolo ha poca rilevanza rispetto a ciò che si apprende studiando, per questo è un gioco così complesso. Perché ad una giusta mossa non sempre corrisponde un output positivo e viceversa. Parlando di mindset, invece, credo che ci siano alcune caratteristiche innate che possano dare un vantaggio al giocatore: razionalità, umiltà, resilienza e distacco emotivo. Si tratta di comprendere le proprie emozioni, accettarle, e far sì che non influiscano sulle scelte che si ritengono corrette.
Nel 2017 è andata in mondovisione una sfida che ha tolto ogni dubbio a riguardo: 4 giocatori professionisti contro Libratus, un’intelligenza artificiale in grado di apprendere ed automigliorarsi studiando strategie ottimali. Superfluo dire che la macchina ha avuto largamente la meglio sulle quattro menti umane».

Come ti sei reso conto del fatto che a un certo punto il poker stava diventando per te una fonte di entrate economiche non irrisorie? 
«Nel 2010 depositai 10€ su una piattaforma di poker online e giocando tornei su tornei, nel giro di poco tempo applicando con disciplina le strategie che avevo appreso tramite letture e video costruii il bankroll, ovvero il capitale dedito al poker. Nonostante fossi un giocatore mediocre il livello medio degli avversari era molto basso, così da subito ho pensato che potessi farne un lavoro in futuro ma in quel periodo non avevo abbastanza tempo da dedicarvi, e lo consideravo una sorta di lavoro part-time.
Nel luglio 2011 venne legalizzato il cashgame, la modalità di gioco in cui ti siedi e alzi dal tavolo con i tuoi soldi quando vuoi (nei tornei, al contrario, si paga una quota d’iscrizione, ogni giocatore riceve lo stesso importo nominale di chips e ci si alza solo quando esse finiscono, o quando tutti gli altri giocatori sono stati eliminati). Il cashgame portò nuova linfa a tutto il movimento, e io stesso mi spostai immediatamente su questa nuova disciplina ottenendo discreti risultati fino al 2013, quando terminati gli studi scolastici, decisi di cimentarmi quasi full time nel poker. Quell’anno, incentivato dalle promozioni offerte da pokerstars.it, mi ero posto un obiettivo economico e di volume di gioco che non fui in grado di gestire, sia perché in quel momento giocavo a livelli più competitivi sia per carenza di mindset. Infatti fra aprile e giugno di quell’anno persi circa 12.000 €, quasi metà del capitale, e nonostante al netto del 2013 fossi in profitto di circa 10.000€ presi una scottatura non indifferente, tant’è che abbandonai immediatamente il progetto per l’anno in corso. Solo dopo realizzai che la sfortuna c’entrava poco con la disfatta di quell’anno.
Al giorno d’oggi il mercato del cashgame in Italia è in netto calo, infatti quelle famose promozioni che mi avevano spinto a giocare tutte quelle ore di fila ormai non esistono più, e il livello dei giocatori è molto aumentato. Il rovescio della medaglia è che chi vuole approcciarsi professionalmente al gioco deve concentrarsi più sulla qualità che sul volume. Circa 3 anni fa ho ripreso seriamente col gioco e ho cominciato a studiarlo più a fondo. Negli ultimi 18 mesi in particolare l’analisi del gioco è diventata parte integrante della mia giornata, specialmente grazie all’incontro fatto con altri due giocatori nel ruolo di coach, che mi hanno indirizzato verso un metodo di studio che mi permette di migliorare di mese in mese, basato sull’assiduo utilizzo di software specifici. Uno su tutti è Pio solver, un programma che, se utilizzato correttamente, aiuta a capire le dinamiche del gioco. Per questo motivo sono sicuro di poter incrementare i miei guadagni che al momento si attestano intorno ai 15-20€ orari, che per un semiprofessionista non sono obiettivamente un granché, ma visti i tempi che corrono non ci si lamenta».

Sembra che tu stia parlando di un vero e proprio lavoro, sia per guadagni che per impegno e costanza…
«Ricordiamoci comunque che il poker è un gioco a somma zero, anzi per dirla tutta anche meno visto che ad ogni giocata si pagano le tasse, quindi il giocatore medio a lungo andare perde per forza di cose. Questo per dire che la via del professionismo non è per tutti, e non ci si può improvvisare. Per intraprenderla, una volta costruita la base tecnica e di mindset, bisogna programmare un piano giornaliero e mensile sensato, che per quanto flessibile sarà simile a quello di un lavoro più convenzionale. Bisogna inoltre mettere in conto che le ore che vi si dedicano potranno portare casomai soddisfazione oltre che guadagni, meno facilmente puro divertimento.
Ti posso raccontare anche la mia giornata lavorativa tipo in questo momento: 2 ore di studio e 3/5 ore di gioco, suddivise in 3 sessioni nell’arco della giornata, intervallate da attività fra cui non può mancare lo sport, visto lo stress generato dalle tante ore davanti al pc».

Certo sentiamo spesso parlare di persone che hanno più lavori per mantenersi, meno spesso si sente dire che alcuni affiancano a un altro lavoro le vincite dal gioco di carte. Come vivi questa situazione? Le persone intorno a te lo sanno? Cosa ne pensano?
La figura del giocatore di poker in Italia è ancora un tabù, e non è nemmeno riconosciuta come professione. Per i miei genitori non è stato facile accettare la mia scelta, ma sono stati rassicurati nel momento in cui videro che la mia passione per il gioco portava anche ad un profitto economico, e capirono che quel che facevo era ben diverso dal gioco d’azzardo. Quasi tutti i miei conoscenti più stretti sanno, e non ne parlo più di quanto non facciano loro con i rispettivi impieghi. Tuttavia con le persone che non conosco a fondo cerco di evitare l’argomento, e siccome svolgo anche un’altra attività part-time, spesso lascio intendere che sia quella la mia principale fonte di reddito. Questo perché so quanta confusione generale ci sia intorno al poker, specialmente tra i meno giovani. Molti non sanno che si tratta di uno skill game e lo considerano alla stregua dei giochi da casinò, o ancora peggio confondono poker online con videopoker (simile alle slot machines).
Spesso poi mi si chiede se non mi sentirei meglio con un cosiddetto “lavoro sicuro”, ma credo che in questo specifico periodo storico tale concetto sia da ritenere quasi obsoleto».

Qualcuno ti ha mai posto delle domande di tipo etico?
«Non così spesso come puoi pensare, forse per non mettermi a disagio. La verità è che ci ho pensato più volte per conto mio. Sono cosciente del fatto che di base il poker è fine a se stesso non essendo in nessun modo costruttivo, e che i guadagni derivino da perdite altrui, ma la cosa non mi disturba. Forse lo farebbe se vivessimo in un mondo utopistico, ma nel mondo reale credo che ognuno cerchi il proprio spazio fra una miriade di possibili impieghi, molti dei quali superflui quanto il poker. Sul fatto che i giocatori migliori vincano e viceversa invece proprio non riesco a farmi problemi, io stesso nel tempo ho regalato un sacco di soldi a chi sapeva come togliermeli, e non ci trovo nulla di sbagliato in questo. Oltretutto quante persone svolgono un lavoro che odiano solo per portare a casa lo stipendio? Ecco, non è il mio caso: finché il gioco continuerà ad appassionarmi e sarò in grado di svolgerlo con profitto non vedo perché dovrei privarmi di questa fortuna».

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Alice Laspina

Nata nella bergamasca da famiglia siciliana, scopro che il teatro, lo studio e la scrittura non sono che piacevoli “artifici” per scoprire e raccontare qualcosa di più “vero” sulla vita e la società, sugli altri e se stessi. Dopo il liceo artistico mi laureo in Scienze e Tecnologie delle Arti e dello Spettacolo e sempre girovagando tra nord e sud Italia, tra spettacoli e laboratori teatrali, mi sono laureata in Lettere Moderne con una tesi di analisi linguistica sul reportage di guerra odierno. Mi unisco alla ciurma di Pequod nel 2013 e attualmente sono responsabile della sezione Cultura, non senza qualche incursione tra temi di attualità e politica.

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