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Passa al lato bio: adotta un albero con Biorfarm

Se siete amanti della frutta e in particolare di quella bio, è arrivato il momento di prendere in considerazione un’innovativa start-up: Biorfarm. Nata nel 2015 dalla mente di Osvaldo de Falco e Giuseppe Cannavale, Biorfarm è diventata un’azienda agricola digitale che consente di adottare un albero da frutto a distanza e riceverne i prodotti comodamente a casa. L’idea alla base sarebbe quella di proporsi come alternativa eco sostenibile alla filiera tradizionale, andando a sostenere, da una parte, gli agricoltori e i loro prodotti, mentre dall’altra, creando una rete che connetta consumatore e produttore.

«Il progetto Biorfarm nasce nel 2015, quando stufo del mio lavoro da consulente finanziario per una multinazionale di Milano, ho deciso di tornare in Calabria e impiegare le mie esperienze nell’azienda agricola di famiglia che in quel momento stava affrontando alcune difficoltà», ci spiega Osvaldo, il co-fondatore di Biorfarm. Da un’esigenza totalmente personale, ecco però arrivare l’idea definitiva: «Col passare del tempo il progetto ha interessato diverse aziende agricole e ciò ha permesso a Biorfarm di espandersi. Oggi abbiamo cinque agricoltori presenti sul sito ma sono ben 150 quelli in attesa di entrare nella nostra famiglia», continua il suo fondatore. Il fine ultimo che l’azienda persegue è uno soltanto: creare la più grande azienda agricola condivisa del mondo, in cui consumatore e produttore sono fortemente connessi.

È un progetto ambizioso, certo. Tuttavia non è sbagliato affermare che le premesse ci sono, e sono molto solide. Da questo punto di vista, l’aspetto che contraddistingue maggiormente Biorfarm è il poter seguire l’intero processo produttivo dell’albero che abbiamo adottato. Una volta registrato un account personale sul sito dell’azienda, infatti, tramite la condivisione di foto e video da parte dell’agricoltore, avremo modo di vedere in tempo reale i progressi della nostra pianta. Il consumatore pertanto «ha la possibilità non solo di sapere l’origine dei frutti che gli arrivano a casa ma ha anche la possibilità di venire a conoscenza dei vari trattamenti e lavori che hanno portato al prodotto finito», spiega Osvaldo.

Ma perché bisognerebbe fidarsi di un sistema come Biorfarm? «Da un lato i nostri sono tutti prodotti locali, di qualità superiore rispetto a quelli che si trovano nei supermercati, e dall’altro la consegna è sempre gratuita e prevista entro 24-48 ore dopo aver effettuato l’ordine, senza passare tramite intermediari secondari», racconta sempre Osvaldo. Tutto ciò quindi, ha dei vantaggi a livello di qualità della merce: i prodotti di Biorfarm tendono a conservare una propria freschezza e pregevolezza. Senza contare che i costi sono fortemente abbattuti non dovendo dipendere dalla complessa rete della filiera tradizionale.

Altra caratteristica da sottolineare è il fatto che, come mi illustra sempre Osvaldo, «nel momento in cui l’utente adotta un albero, decide lui stesso quanta frutta ricevere in base alle proprie esigenze. Durante il periodo della raccolta, inoltre, è sempre possibile chiedere all’agricoltore di aumentare o diminuire il quantitativo». Un aspetto molto interessante è che la start up ha in programma di avviare un programma di condivisione di frutti, a tal proposito spiega Osvaldo: «Stiamo pensando di poter dare la possibilità di mettere in comune il proprio albero adottato così che le eccedenze non vadano sprecate. Se, ad esempio, l’albero che ho personalmente adottato produce 100 frutti ma io ne consumo solo 40, con il sistema che stiamo elaborando, i 60 in più potrebbero essere condivisi con altre persone».

Tuttavia, potrebbe manifestarsi anche il caso opposto, ovvero che per svariati motivi (i più comuni sono quelli ambientali) l’albero non produca frutti: «Se la pianta che si adotta non produce frutti, l’azienda ti chiede se può raccogliere i frutti da un’altra pianta nello stesso campo in cui c’è quella che hai adottato. Se però, per cause ambientali, la pianta subisce dei problemi vengono proposte due alternative: la prima è quella di avere un rimborso totale dell’adozione per la mancata produzione di frutti, mentre la seconda è quella di posticipare la consegna ad una nuova raccolta» mi spiega Osvaldo. Nella storia dell’azienda, questo tipo di problema si è manifestato solo una volta e gli interessati hanno optato per attendere una nuova raccolta.

Si capisce, quindi, come la scommessa sia stata, e continui ad essere, vincente: «Io mi sono stupito dell’entusiasmo che ci hanno messo le persone nello sposare questo progetto. I riscontri continuano, infatti, ad essere sempre molto positivi, sia in termini di fiducia ma soprattutto sia per quanto riguarda l’apprezzamento della merce. Malgrado qualche piccola difficoltà la gente è felice dei nostri prodotti, e questo per noi è sicuramente molto importante», conclude Osvaldo prima di salutarci.

Tracciabilità dei prodotti, bio e km 0: non solo marketing

“Tutto naturale”, “senza sostanze chimiche”, “qualità e freschezza” sono forse le scritte più accattivanti per il consumatore che, tra gli affollati reparti di un supermercato, vuole essere rassicurato sulla bontà e la genuinità dei prodotti da portare a tavola. Ci sono però indicazioni più precise che ci permettono di fare la spesa in modo più consapevole, slogan pubblicitari a parte, sia per la propria salute che per il rispetto dell’ambiente.
Ne abbiamo parlato con Eva Oliveri, tecnico della prevenzione negli ambienti e nei luoghi di lavoro presso l’ufficio di Sanità Pubblica del Dipartimento di Igiene e Prevenzione sanitaria dell’ATS di Bergamo. «Il mio lavoro consiste nell’attività di vigilanza presso esercizi di ristorazione pubblica e collettiva, esercizi di vendita al dettaglio e grande distribuzione, aziende di produzione di prodotti alimentari e laboratori artigianali e nella vigilanza presso strutture acquedottistiche, compresa l’attività di campionamento di acqua potabile di rete e prodotti alimentari vari».

Partiamo dai fondamentali: qual è la differenza tra prodotti “biologici” e prodotti “naturali”?

«I prodotti biologici sono prodotti coltivati nel rispetto di norme stabilite dal Parlamento europeo, quindi a livello comunitario, e dagli enti certificatori del settore, quelli che ogni consumatore può identificare leggendo l’etichetta dei prodotti. I prodotti naturali sono prodotti coltivati secondo le regole dell’agricoltura tradizionale o naturale, come la chiamano in tanti.
La differenza tra produzione biologica e la coltivazione tradizionale, è che nella prima vengono utilizzati gli antiparassitari e concimi non dannosi per l’uomo e per l’ambiente, quindi vengono usati composti di origine naturale e non vengono utilizzati OGM (Organismi Geneticamente Modificati); nella seconda questi prodotti possono derivare da sostanze chimiche, talvolta nocive per l’uomo.
La cosa positiva del biologico non è tanto la differenza di sostanza, nutrizionale o di gusto, rispetto al prodotto che non lo è, ma nel metodo di produzione, che ha meno impatto sull’ambiente e quindi sulla salute dell’uomo».

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E i prodotti a km 0?

«Sono i prodotti che vengono reperiti nella zona di produzione o a pochi chilometri e acquistati direttamente dal produttore, senza intermediari tra questi e il consumatore. Sono prodotti locali, quindi, venduti nella stessa zona in cui vengono coltivati. La garanzia di freschezza è massima quando si parla di filiera corta, perché non ci sono lunghi trasporti né passaggi intermedi, non ci sono camion che fanno i chilometri per portare i prodotti al confezionamento e alla distribuzione, perdendo di qualità e aumentando i loro prezzi finali».

Ora che abbiamo capito il significato di denominazioni tanto comuni ma spesso usate in modo improprio, facciamoci qualche conto in tasca. In tutta onestà, possiamo dire che i prezzi di questi prodotti sono spesso un po’ alti: motivazioni ragionevoli o questione di marketing?

«Il problema del prezzo è che il raccolto della coltivazione biologica ha una resa inferiore rispetto a quella tradizionale, dovuto proprio a metodi e mezzi di coltivazione, perché utilizza strumenti che magari hanno meno efficacia e richiede più tempo per annientare i parassiti nella pianta coltivata, di conseguenza i prodotti costano un po’ di più.
Ne vale la pena, ma relativamente: a mio parere, bisogna stare attenti a certe strategie di marketing aggressive, che spingono sull’influenza psicologica sul consumatore. Non sempre “biologico” significa “più buono” e quindi “più caro”. Personalmente preferisco comprare a km 0 in un’azienda della mia zona, dove magari conosco la ditta e so come lavora, per avere più garanzie su genuinità e freschezza di quello che compro».

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Le etichette ci aiutano a capire qualcosa in più del prodotto che stiamo per comprare?

«Alla luce del nuovo Reg. CIE 1169/2011, recentemente entrato in vigore, sull’etichettatura dei prodotti alimentari, l’etichetta diventa più chiara, trasparente e completa fornendo anche una serie di indicazioni nutrizionali disciplinate a loro volta dal Reg. CIE 1924/2006, relativo alle indicazioni nutrizionali e alla salute fornite sui prodotti alimentari. Quindi sì, le etichette sono trasparenti, perché per esempio se indicano “oli e grassi vegetali” tra gli ingredienti, deve essere indicata la natura specifica degli oli e dei grassi impiegati (olio di palma, olio di colza, olio di cocco…). Con il nuovo regolamento è diventata obbligatoria anche l’indicazione di origine per le carni suine, ovine, caprine e pollame, che prima non c’era, il che è importante, in quanto nei vari Stati ci sono metodi di allevamento differenti.
Si tratta di un sistema normativo in evoluzione, quello delle etichettature; ad esempio si è diffusa da poco la notizia a proposito dell’indicazione obbligatoria per l’origine del latte. In generale, è tutto più chiaro da anni».

Ci sono dei punti critici, dei nodi irrisolti in questi ultimi testi normativi?

«La criticità dell’ultima normativa è che non è estesa a una più ampia gamma di prodotti per l’indicazione dell’origine degli stessi. Tutti gli ingredienti dei prodotti dovrebbero essere “tracciabili”: se compro un pacco di pasta e leggo “farina di grano duro”, preferirei sapere da dove arriva il grano utilizzato, perché magari preferisco portare a tavola prodotti del mio territorio d’origine, per questione etica o altro».

Cosa può fare l’ATS per incentivare il consumo di prodotti bio e a km 0?

«Veramente l’ASL da parecchi anni è attiva nelle campagne di informazione sulla nutrizione e, come posso verificare durante le mie ispezioni, la maggior parte delle aziende di ristorazione scolastica ha accettato l’invito ad utilizzare prodotti biologici e di provenienza locale, il che è già un buon risultato».

Un consiglio personale a tutti i consumatori per riempire il carrello in modo più consapevole?

«Leggere bene le etichette e scegliere possibilmente prodotti locali, sempre; l’ideale, poi, sarebbe raccogliere informazioni in merito alla localizzazione dell’azienda, per capire se occupa e coltiva in terreni situati in zone poco salubri (ad esempio, vicino ad autostrade o in zone industriali)».

Geneva International Motor Show

Era il 1905, quando a Ginevra apriva i battenti il primo Salone dell’automobile, tenuto presso il Palais du Conseil Général, cui aderivano 59 espositori. Nel corso di un secolo ha consolidato la propria posizione di prestigio nel panorama automobilistico, fino a diventare uno dei principali eventi del settore a livello mondiale, l’unico nel vecchio continente ad essere sopravvissuto, senza chiusure o rinvii, al cataclisma che ha colpito il mercato negli anni passati.Dal 1982 la manifestazione si tiene al funzionale PALAEXPO, che nei giorni del Salon è raggiungibile comodamente in autobus, grazie ad una linea dedicata nell’intensissimo traffico della città del lago Lemano, partendo dalla centrale Gare Cornavin.

Se sulla presenza di auto da sogno non ci sono mai stati dubbi, più sorprendente è stata la massiccia esposizione di automobili che percorrano la strada dell’ecosostenibilità. Naturalmente, visti i tempi, anche questa è un’ottima vetrina pubblicitaria, in cui le case volentieri mettono in mostra la propria tecnologia. Si va dall’ibrido “classico” mostrato da moltissime case, come ad esempio Toyota (che abbinava anche istruttivi pannelli interattivi) o Volkswagen. Dall’ibrido si passa all’elettrico puro, con la presenza del costruttore americano Tesla, il primo a produrre in larga scala vetture di alta gamma alimentate unicamente da batterie. Notevole anche l’esemplare di monoposto Renault-Dams, partecipante al campionato mondiale di Formula-E, dedicato ad auto a propulsione elettrica.

Per quanto riguarda i carburanti alternativi, molto osservato il distributore di biogas e l’automobile adeguata a tale alimentazione. In mostra anche il motore a bassi consumi EcoBoost di Ford, che da 3 anni viene premiato come motore dell’anno dagli addetti ai lavori.

Da citare i fantascientifici pneumatici BHO3 di Goodyear, in grado di recuperare energia cinetica in fase di frenata per ricaricare le batterie di un’auto elettrica, oltre a fungere da fonte di raccolta di energia solare ad auto ferma.

Una rassegna patinatissima, quindi, che ogni anno registra almeno 700.000 petrolheads che hanno la possibilità di vedere con i propri occhi oggetti che  fanno battere il cuore, missione che le auto green, al momento, sono ancora ben lungi dal poter compiere.[metaslider id=4479]

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