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Casa e co-abitazione: la Edinburgh Student Housing Co-Op

Quando sei studente in una città straniera, la casa si può rivelare un grosso problema. È difficile trovarne una in una posizione comoda per l’università, è difficile trovare buoni coinquilini e bisogna stare attenti a non superare un certo budget.

Adriano ha quasi 25 anni, vive a Edimburgo da un anno e mezzo, ed è riuscito a trovare tutte queste cose in un posto unico nel suo genere: La Edinburgh Student Housing Co-Op. «Quando cercavo casa ad Edimburgo, su Google la co-op è stata una delle prime opzioni che ho trovato, ho curiosato sul sito e mi è sembrato subito un posto molto interessante» mi racconta Adriano, che sta finendo un Master in Traduzione dal cinese all’inglese nella città scozzese. Nella co-op vivono 106 studenti, in diversi appartamenti che possono ospitare dalle tre alle cinque persone. Ci sono molti inglesi, scozzesi, spagnoli, polacchi: la demografia della città di Edimburgo è ben rappresentata nei vari appartamenti. L’affitto è molto basso e diverse volte l’anno si può fare richiesta per entrare a far parte della co-op, venendo scelti dai membri che già ci abitano.

Non ci sono padroni di casa, funziona tutto in autogestione: gli studenti sono divisi in diversi gruppi che si occupano di ogni aspetto della vita in comune. Puoi unirti al gruppo che preferisci a seconda delle tue inclinazioni e su base volontaria. Il gruppo Places, per esempio, si occupa di tutti i lavori di manutenzione di tutti gli appartamenti: pitturare i muri, riparare elettrodomestici rotti e persino comprare scorte di carta igienica o di sapone. Ogni cosa che deve essere comprata, viene comprate in blocco per tutti.

«Per me, la cosa più importante della co-op è la partecipazione, e se tutti collaborassero sarebbe la situazione perfetta» mi spiega Adriano «Il problema è che spesso ad importanti riunioni decisionali ci troviamo in 30-35 persone, quindi la partecipazione non è alta come vorrei. E non essendoci una gerarchia, spesso il processo è molto macchinoso». Gli chiedo qual è la cosa che ama di più di questa sua casa, in cui ormai abita da un anno e mezzo: «Ti ritrovi a condividere una soluzione abitativa con una comunità vibrante di persone, di diverse nazionalità e in un ambiente dal quale puoi imparare moltissimo. Nella co-op abitano studenti di tutti i tipi, ma tutti con una passione o una battaglia a cui tengono particolarmente: c’è chi si batte per i diritti LGBT, chi è un convinto vegano, chi è molto attivo in politica o nel quartiere, quindi ogni discussione è utile per imparare qualcosa di nuovo».

Certo, a volte questa cosa può diventare un problema, mi spiega, perchè vivendo insieme così tante persone con idee così radicali, spesso tra i membri della co-op si creano discussioni molto accese non sempre di facile risoluzione.
Il ruolo di Adriano è anche quello del facilitatore in questo tipo di conflitti, facendo parte del gruppo Welfare, che si occupa del benessere fisico e mentale dei membri della co-op.
«Sono un Welfare coordinator», mi racconta, «ogni persona, se ha bisogno, può richiedere assistenza su diversi problemi. Crediamo molto nell’integrazione, qui, e nella co-op ci sono anche persone con problemi psicologici piuttosto seri, come disturbo dell’attenzione o bipolarismo. Per noi è importante che tutti i membri si sentano protetti e al sicuro, ed entriamo in gioco ogni volta che un conflitto non facilmente risolvibile si verifica nei diversi gruppi di lavoro».

Un altro gruppo di lavoro si occupa anche di organizzare feste, eventi, gite, condivisione di cibo e ogni aspetto più sociale. Lo spreco di cibo è bandito: alcuni membri del gruppo si occupano di cercare nei cassonetti cibo perfettamente integro ma magari scaduto il giorno stesso. Adriano stesso, che lavora in un negozio, porta a casa cibo scaduto non più vendibile e lo condivide con i membri del gruppo. È una vera atmosfera di collaborazione, in cui tutti pensano al benessere dalla co-op.
Adriano mi spiega inoltre che i vari appartamenti sono divisi a seconda delle esigenze dei membri: esistono appartamenti che fanno feste scatenate tutte le sere,  appartamenti più tranquilli, appartamenti LGBT. Quando entri a far parte della co-op, ti viene anche chiesto in che tipo di appartamento vorresti stare, a seconda dello stile di vita che conduci. «È capitato che i vicini si lamentassero quando c’è troppo casino. La co-op non è sempre vista di buon occhio dal quartiere. Cerchiamo di rispettare la libertà di tutti ma allo stesso tempo fare in modo che le persone attorno a noi possano vivere civilmente».

Gli chiedo come è vista questa scelta dalle persone intorno a lui, e Adriano mi presenta diversi punti di vista. Per la comunità giovane, alternative e underground di Edimburgo è vista come un sogno: condividere un appartamento e una missione comune con tanti studenti giovani come te, pagando un affitto basso, è l’obiettivo di molti. Altre persone la vedono come una scelta non condivisibile, perché l’immagine più comune è quella degli squat, di situazioni di degrado e sporcizia.
Adriano è felice di vivere in un posto che gli da così tanti stimoli, pur riconoscendo i limiti dati dalla co-abitazione di persone molto giovani e spesso poco organizzate: «La co-op è una bellissima utopia, che è molto vicina ed essere perfetta».

Diritto al tetto: solidarietà attiva di Unione Inquilini

A Castelli Calepio, fedeli a un principio, stavamo barricati in un appartamento al secondo piano, difesi da un armadio trascinato a impedire l’ingresso. Tutt’attorno l’assedio: quattro volanti in strada, Carabinieri e Digos come fanteria dall’altra parte della porta; in prima linea il fabbro e i suoi arnesi, sotto esortazione d’un ufficiale giudiziario, fungevano da ariete d’espugnazione. Lo stridere del flessibile sul corpo del serramento annunciava il caos, i pianti, la disfatta imminente. Questa volta stavano andando fino in fondo.

Qualche minuto prima eravamo un presidio solidale di venti persone, scudo contrapposto ad un’ordinanza di sfratto ai danni d’una giovane famiglia di origine tunisina. Tre bambini e un lavoro perduto qualche tempo prima gravavano sulla coppia, che, da mesi, si trovava nell’impossibilità di continuare a saldare affitto e spese.

Da una parte loro, umili e onesti, con la fatica di ricostruirsi una vita in terra straniera, dall’altra il proprietario dell’immobile: un signore del paese sui 70 anni, che aveva acquistato il bilocale per destinarlo ai figli qualora ne avessero avuto necessità. Nel frattempo, affittarlo pareva essere la soluzione per reintegrare la spesa. Senza la riscossione delle mensilità, però, si è ritrovato a dover pagare di tasca propria acqua, luce, gas e altre spese per svariati mesi, sino alla decisione per sfinimento di ricorrere allo sgombero. Che gli si può rimproverare? Con la pensione giusto giusto ci campa.

E qui scocca il dardo infame che scatena la lotta tra poveri: il problema risulta essere lo sventurato che non paga l’affitto e non l’incapacità dello Stato di far fronte con efficacia a una crisi del lavoro e alle sue dirette conseguenze.

L’esempio sopra citato, in cui “l’extracomunitario” se la vede con un possidente privato, è solamente una tra le svariate tipologie di panorami quotidiani in cui ci si imbatte; drasticamente numerosi sono i casi di sfratto di cittadini di ogni colore ed etnia da alloggi popolari. Un fenomeno imbarazzante in un paese civile come dovrebbe essere il nostro.

Il logo di Unione Inquilini.

I protagonisti dell’episodio descritto sono in gran numero attivisti del sindacato Unione Inquilini, un’associazione che da quasi 50 anni si batte per il diritto all’abitazione in molte province italiane. Di fronte a questo scenario le istituzioni come rispondono? Dove finiscono un uomo, una famiglia, se privati del tetto? Quale assistenza è riservata loro?  A queste domande, Unione Inquilini replicherebbe con una risposta concisa e diretta: «Madri e minori vengono solitamente indirizzati in case famiglia, per tutti gli altri il consiglio è di rivolgersi ai centri d’accoglienza (come Caritas e simili), ovvero di arrangiarsi. In questo modo la problematica viene debolmente tamponata e maldestramente celata, mentre nel suo fulcro il cancro continua a crescere, producendo disperati e senzatetto».

Unione Inquilini si costituisce nel ’68, a Milano, per iniziativa di comitati di base delle case popolari che si battono per il risanamento dei quartieri e per l’affitto ridotto; negli anni ’70 diventa il movimento che occupa case e fabbricati sfitti a viso aperto, alla luce del sole e addirittura in diretta TV. Lotte dure, le prime, contro la privatizzazione e i saccheggi del patrimonio residenziale pubblico, in difesa del canone sociale. Negli anni assume la forma di organismo di rappresentanza e organizzazione degli inquilini, con lo scopo di costruire un movimento unitario per l’attuazione del diritto d’ogni uomo ad un’abitazione idonea e dignitosa; diritto che per altro è sancito anche dall’art. 25 della dichiarazione universale dei diritti umani.

Quella di Unione Inquilini è una solidarietà sociale attiva che ha l’obiettivo di marcare, agli occhi di popolazione e istituzioni, l’esistenza e la persistenza di regolamentazioni del tutto inappropriate per la gestione della questione abitativa. Ne abbiamo parlato con Fabio Cochis, segretario dell’Unione Inquilini Bergamo: «Oggi, in piena crisi del lavoro, in un momento in cui il fenomeno della morosità incolpevole si propaga enormemente, la presenza del sindacato è più necessaria che mai: sono centinaia, quotidianamente, i nuclei familiari che si rivolgono a noi per una risposta effettiva e pratica. Nelle sedi (più di 50 sul territorio nazionale) i volontari sono attivi su più fronti: si indica come leggere bollette e altri documenti, si insegna a calcolare correttamente l’ISEE, si accompagnano i richiedenti nel percorso di assegnazione di una casa popolare, si fornisce assistenza legale e si organizzano seminari informativi e manifestazioni. Solo in una piccola provincia come quella bergamasca gli sportelli di consulenza sono 4 e perennemente affollati».

Un gruppo di attivisti e inquilini in un presidio anti-sfratto in provincia di Bergamo.

Oltre all’indefessa attività d’ufficio, tuttavia, il tratto distintivo di Unione Inquilini è l’azione sul campo sotto forma di picchetti anti-sfratto e occupazioniLa forte rete di affittuari, attivisti e sindacalisti che si è creata permette la formazione, in caso di necessità, dei sopra menzionati scudi umani a salvaguardia degli sfrattati di turno. Ce lo spiega meglio Fabio Cochis: «La formula è quella del presidio permanente; impedire “fisicamente” l’esecuzione dell’atto giudiziario se necessario, richiamando possibilmente l’evento all’attenzione dei giornali; quest’ultimi potranno così riconoscere la gravità della situazione abitativa e informarne la comunità. Io aiuto te e tu aiuti me. Così tutti aiutano tutti, dando voce risonante ad un disagio reale».

Tuttavia, le conseguenze di questo modus operandi possono essere spiacevoli: «I picchetti ci espongono quotidianamente al rischio di denunce per interruzione di pubblico servizio e, nei casi peggiori, allo sgombero prepotente da parte delle forze dell’ordine. Ciononostante, crediamo nella battaglia che portiamo avanti e di fronte al rischio ci facciamo forti dei nostri ideali di giustizia sociale».

Il picchetto, ad ogni modo, è un atto strategico eclatante che, per essere componente efficace di lotta, necessita dell’accompagnamento di un assiduo lavoro sul fronte politico e di trattativa con le istituzioni. Solo così sarà possibile raggiungere gli obiettivi di Unione Inquilini, che si possono riassumere in questo motto: basta case senza persone, basta persone senza casa!

Le precarie condizioni in cui versano alcune case popolari.

In copertina: un gruppo di attivisti e inquilini in un presidio anti-sfratto in provincia di Bergamo.

Tutte le foto sono di proprietà di Unione Inquilini / Tutti i diritti riservati.

Ricordi di case d’Europa

La prima volta che mi è capitato di essere ospitata in una casa straniera avevo diciassette anni. La mia classe al liceo partecipava ad uno scambio culturale con una scuola superiore di Bayonne, città a sud-ovest della Francia, al confine coi Paesi Baschi. La mia gentilissima ospite si chiamava Stephanie ed abitava in una sorta di fattoria un po’ fuori mano. Da brava italiana avevo pensato di portare in dono ai padroni di casa una moka e un pacco di caffè. Non sto neanche a spiegare quanto mi sono sentita imbarazzata quando ho scoperto che le loro cucine erano già provviste di caffettiera! A casa di Stephanie la cucina era il fulcro della casa: al grande tavolo di legno sedeva tutta la famiglia e ad ogni pasto non mancavano mai fragranti baguette su cui spalmare del gustoso foie gras. Di sera, quando noi ragazze rincasavamo dopo un’intensa giornata, spesso trovavamo lo zio di Stephanie seduto in poltrona intento a degustare un bicchiere di pastis, il tipico liquore francese all’anice. Aroma di baguette e profumo di pastis – sono queste le sensazioni che ricollego ai miei giorni francesi.

Un bicchiere di pastis

Qualche anno dopo, passati i primi tre anni di università, realizzo il sogno di vivere per qualche mese nella mia amata Russia e mi trasferisco a Belgorod, in un dormitorio studentesco. Se è vero che gli studentati si assomigliano un po’ in tutto il mondo, gli appartamenti del miei amici russi, dove spesso venivo invitata per cena, li associo ad un’accoglienza e un calore difficili da trovare altrove. Le case in cui sono stata non erano ricche di mobili o suppellettili; in effetti non c’era molto più di una scrivania, un letto, un piccolo armadio e una cucina. Due cose però non mancavano mai negli appartamenti in cui sono stata ospitata: un bollitore per il tè, per offrire qualcosa di caldo agli ospiti infreddoliti appena varcata la soglia, e un piccolo divano-letto. L’ospitalità infatti per il popolo russo non è soltanto un valore fondamentale, ma spesso anche una necessità: la mia amica Katja, studentessa di lingue, ospitava un paio di volte all’anno la madre che veniva a trovarla dalla lontana città russa di Magadan, al confine con l’Alaska. In un Paese grande come la Russia, avere un posto per i parenti venuti da lontano è fondamentale, anche in un piccolo appartamento per studenti.

A casa del mio amico Gosha, mentre ci insegnava a preparare i ravioli russi (Belgorod, 2012)

Tre anni fa in estate mi è capitato di andare a trovare la mia amica Ali a Madrid, dove vive con i genitori e la sorella. Io e Ali ci siamo conosciute in Polonia e l’ultima volta che ci eravamo viste era febbraio e a Lublino, città polacca dove entrambe abbiamo fatto l’Erasmus, la temperatura era di -18 gradi. Quando sono andata a casa di Ali nella capitale spagnola invece era luglio e di gradi ce n’erano quasi 40. Appena arriviamo a casa Ali apre il frigorifero ed estrae quello che all’inizio credo essere del succo di frutta ma che si rivela essere del freschissimo gazpacho, la zuppa fredda di pomodoro tipica della Spagna. Mi spiega che nella loro dispensa non manca mai, anche se preferisce quello preparato da sua madre, la regina del gazpacho. In quei giorni fa davvero troppo caldo per uscire prima del tardo pomeriggio, perciò quando il sole è alto rimaniamo in casa a chiacchierare in salotto, la stanza che mi ha colpito di più. La libreria è colma di libri, molti sono del padre, insegnante di filosofia; Ali mi mostra delle vecchie fotografie di suo papà con gli amici negli anni Settanta, quando ancora c’era Franco e i giovani intellettuali erano spesso considerati dei dissidenti… Mi sembra strano, ma effettivamente spesso dimentichiamo che in Spagna il regime è durato più a lungo di quanto si possa credere. Storia, politica, ma anche tradizioni: nel salotto di Ali ci sono colorati souvenir dalla Costa Brava, fotografie della casa natale della madre, nella verde Galizia e, mio oggetto preferito in assoluto, una piccola statuina dorata raffigurante l’eroe di Cervantes, Don Chisciotte, con il suo fidato Ronzinante e accanto, neanche a dirlo, un mulino a vento.

Don Chisciotte, Ronzinante e un mulino a vento (Madrid, 2014)

Meno calda ma anch’essa ospitale, sebbene in modo diverso, è la casa del mio amico Matteo, italiano espatriato a Berna da qualche anno. Quando quest’estate sono andata a trovarlo era la prima volta che visitavo davvero una città svizzera, essendomi limitata fino a quel momento a transitare per il Paese per raggiungere altre parti d’Europa. L’idea che mi ero fatta degli abitanti e delle loro abitazioni era una sorta di miscuglio fra l’ordine e la precisione tedesca farciti da un pizzico di snobismo alla francese. Inutile dire che la facilità con cui mi ero lasciata andare ai pregiudizi non ha fatto altro che raddoppiare l’effetto sorpresa che mi ha colpita quando sono arrivata da Matteo. “Questo è l’indirizzo, io sono al lavoro, se arrivate prima di me entrate pure, la porta è aperta”. Questo è l’sms che mi ha mandato il mio amico prima che arrivassi fuori dal suo palazzo, in centro città, nell’elegante quartiere dove si trovano consolati e ambasciate. Gi svizzeri, mi spiega, sono molto rilassati e capita spesso che lascino aperti i portoni o che non leghino le biciclette nei cortili. Le case in cui abitano i giovani poi sono l’emblema di questo atteggiamento aperto e senza preoccupazioni: non è raro che si organizzino feste in cui gli inquilini aprono la porta delle loro case a chiunque voglia ascoltare della musica e bere birra. A casa del mio amico Matteo queste serate hanno spesso dei risvolti artistici che a volte lasciano anche il segno, come testimonia l’opera d’arte apparsa dopo una festa sul muro della sua cucina…

La cucina di Matteo (Berna, 2016)

In copertina ph.congerdesigner (cc0)

I giovani italiani senza casa e senza soldi

Secondo i dati Istat del 2016, i giovani tra i 18 e i 34 anni che abitano ancora con i genitori in Italia sono il 62,5%, quasi sette milioni. Questi risultati non sono certo una novità e confermano una tendenza ormai storica: i giovani italiani lasciano il tetto di mamma e papà molto più tardi rispetto a molti dei loro coetanei stranieri. Ciò ha valso loro diversi appellativi da parte del mondo degli adulti, dal classico “mammoni” al più recente “bamboccioni”, immaturi a cui risulta più comodo starsene a casa piuttosto che farsi una propria vita autonoma assumendosi le proprie responsabilità.

Ma, andando oltre questi giudizi tanto assoluti quanto superficiali,  cosa pensano davvero i giovani di questa situazione? Ne abbiamo parlato con Alessandra, Giulia, Laura e Stefania, quattro ragazze poco meno che trentenni, tutte con uno o più lavori (per lo più saltuari), di cui solo una, Giulia, vive fuori casa. Al sentire la parola “bamboccioni”, le reazioni sono diverse. Stefania ammette di vedere «una grande mancanza di coraggio» nella sua generazione, che, «intimorita da un futuro che sembra non dare prospettive, non rischia». Tuttavia, non vede come responsabili i suoi coetanei, ma piuttosto «una società che non offre possibilità, che costringe a lavori schiavisti, a spese insostenibili, a perenni insicurezze». I giovani si trovano quindi a dover fronteggiare questa realtà, che non era quella che si aspettavano: «siamo stati cresciuti con l’illusione di nascere in una società in cui alcuni fondamentali diritti (famiglia, casa e lavoro) dovrebbero essere garantiti, quando invece non c’è alcuna certezza in merito”. Giulia, si oppone con forza all’etichetta di “bamboccioni”: «questa è una definizione che veicola la politica italiana, che non brilla certo per investimenti in formazione e opportunità lavorative per giovani. Fuori dai palazzi del potere, però, il pensiero è decisamente diverso: i giovani italiani sono come tutti i giovani del mondo, vogliono spiccare il volo e cercare la loro indipendenza». Vista la situazione, tuttavia, non tutti sono pronti a farlo e Giulia non li biasima: «Tanti preferiscono aspettare “il momento giusto”, che tradotto significa il raggiungimento di una cifra rassicurante sul conto corrente, o una qualche apparente forma di stabilità che, se non trovata in ambito lavorativo, si concretizzi nelle relazioni d’amore».

Foto di Francesca Gabbiadini – Pequod Rivista

Ma questo “aspettare il momento giusto” e continuare nel frattempo a vivere con i genitori significa anche allontanare il momento del proprio ingresso nell’età adulta, con tutte le responsabilità e preoccupazioni che ne derivano? Le ragazze su questa risposta sono concordi: no. «Mi sembra molto triste che si consideri l’uscita dal nucleo familiare quale unica forma di attestazione della propria autonomia, come se diventare adulti significasse soltanto non dipendere economicamente dai propri genitori», afferma Stefania, che crede invece «che una persona dovrebbe essere capace di sviluppare la propria indipendenza proprio all’interno del contesto familiare, prima ancora di uscirne». Anche Laura è dello stesso parere: «[uscire dall’età adulta] è una fase naturale della crescita impossibile da non sentire dentro se stessi. E’ una scelta personale ed è un momento che avviene a prescindere dalla variante di avere una casa propria o vivere ancora con i genitori».

Se per i figli è dura lasciare la casa di famiglia, però, anche per i genitori il momento del distacco non è per niente facile, non per niente si parla della “sindrome del nido vuoto”. Laura lo sa bene e conferma: «Quest’anno mi trovo nella fase cruciale del “cerco casa” e recentemente accennavo a mia madre il fatto che forse ho trovato una casa in cui stare. La risposta è stata il mutismo, seguito dalla frase “Io non sono contenta che te ne vai”. Questo in realtà mi ha spiazzato abbastanza, perché non è un argomento “nuovo”, ma che ultimamente affrontiamo spesso». Anche Alessandra ha riscontrato questa difficoltà da parte dei suoi genitori in passato: «Essendo figlia unica, vedo quanto soffrono appena lascio casa. A mia madre si è fermato il cuore quando ha scoperto che partivo per sei mesi in Erasmus». Tuttavia, i genitori l’hanno sostenuta e continuano a farlo: «i miei non mi hanno mai imposto dei paletti per quanto riguarda la mia sete di viaggio, di sperimentare posti nuovi e approcciarmi a culture differenti».

Foto di Francesca Gabbiadini – Pequod Rivista

Stefania, che era uscita di casa diversi anni fa per poi essere spinta da eventi personali a farvi ritorno, racconta: «Nella mia famiglia c’è un solo genitore, mia madre, quindi sicuramente per lei non è stato facile lasciare uscire di casa i suoi figli e ritrovarsi sola; nondimeno, ci ha sostenuti entrambi il giorno che siamo usciti di casa, sia moralmente sia economicamente». Più che la sindrome del nido vuoto, quello che secondo lei spaventa i genitori oggi sono le difficoltà economiche dei figli e l’assenza di certezze per il loro futuro. «Non è facile vedere i propri figli arrancare per saldare in tempo tutte le bollette o saltare qualche pasto per poter pagare l’affitto», commenta amaramente. Anche Giulia, che vive fuori casa nonostante la precarietà della sua situazione lavorativa, è dello stesso parere: «Come me, tanti preferiscono non raccontare le quotidiane difficoltà, e allora ai genitori dici che va tutto bene, che comunque le tue spese non sono eccessive. Poi però scopri che, guarda caso, tua madre ha comprato una bottiglia di olio in più (“era in offerta!”) o un maglioncino (“l’ho preso per me ma mi sta stretto”) e tuo padre ti fa trovare il pieno in auto (“così non devi uscire di casa apposta”)». Giulia sorride con affetto nel parlare di queste attenzioni e conclude: «[I genitori], se vogliono il meglio per te, sanno che il momento del distacco arriverà e il loro compito, che nell’infanzia era quello di darti tutto quello che potevano per farti crescere sano e felice, ora dovrà ridimensionarsi. E’ in questi piccoli gesti che i miei mi ricordano che continuano a preoccuparsi per me e che posso contare su di loro».

Nessuna delle ragazze con cui abbiamo parlato ha, né ha mai avuto in passato, un posto fisso a tempo indeterminato e, per molte di loro, nemmeno uno a tempo determinato, ma solo contratti a chiamata o lavori saltuari pagati con voucher o addirittura in nero. Tuttavia, ognuna di loro, se non ha già lasciato la casa della propria famiglia in passato, ha a breve progetto di farlo, pur senza garanzia di un lavoro duraturo, né un mercato lavorativo che induce ottimismo. Se vi sembra un comportamento da “bamboccioni” questo…

 

In copertina: Blu, Un tetto per tutti, dipinto in via Monte Grigna, Bergamo.

La casa è il vostro corpo più grande

La casa è il vostro corpo più grande. Vive nel sole e si addormenta nella quiete della notte; e non è senza sogni.

Kahlil Gibran

Accade, entrando in casa d’altri, di sentirsi partecipi di sfumature della personalità del nostro ospite mai incontrate prima; così come accade, aprendo la porta della propria casa, di accogliere l’altro in ambiti di noi stessi prima celati, i più personali e fragili. Gli ambienti in cui viviamo diventano spesso tele su cui dipingere il proprio autoritratto e in cui riconoscersi, su cui autoproclamare noi stessi.
Ma quando l’immagine di noi stessi è un riflesso incerto, cosa succede ai nostri muri, alle nostre stanze?
Entrando nelle case di chi ha votato la propria vita a una sostanza esterna a sé, vittime di dipendenze cui dedicano tutti i propri sforzi, si è investiti da una sensazione forte di contraddizione: accumulo e vuoto. Ammassi di soprammobili, riviste, indumenti, dischi, documenti, immondizia, stoviglie, libri sullo sfondo di muri che si sgretolano mangiati dalla muffa, armadi che crollano e si svuotano, porte che si scardinano. Uguali i loro occhi: pieni di vita, passato, ricordi; pieni soprattutto di vuoti, mancanze, perdite.

Alla ricerca di una casa a Beijing

Che siate lavoratori o studenti fuorisede (e fuori continente) a Beijing, prima o poi dovrete imbarcarvi nell’impresa di cercare casa nella capitale cinese e adeguarsi alle consuetudini locali riguardo la gestione della propria abitazione.
Una volta deciso di vivere a Beijing occorrerà prendere con le pinze la tanto (ab)usata affermazione che “in Cina costa tutto poco”, soprattutto per quanto riguarda il costo dell’affitto delle abitazioni.
I cinesi stessi sanno bene che gli affitti pechinesi sono oltremodo alti rispetto alla media nazionale.
Ad esempio, i giovani lavoratori e studenti originari delle regioni meridionali e centrali della Cina, giunti nella capitale decidono spesso di vivere nella estrema periferia, in stanze condivise con più persone. Conseguentemente, utilizzare quotidianamente la metropolitana per recarsi sul posto di lavoro diventa un obbligo e, allo stesso tempo, una tortura.

Una normale giornata nella metropolitana di Beijing durante l'ora di punta.
Una normale giornata nella metropolitana di Beijing durante l’ora di punta.

Fortunatamente, questo tipo di esperienza non interessa gli stranieri che intendono stabilirsi nella capitale per motivi di studio: il tasso di cambio tra le valute straniere e il RMB cinese (o Yuan) consente di rendere certamente più sostenibile il costo di una casa o di una stanza nei quartieri più centrali di Beijing. È nel quartiere di Wudaokou ad esempio, che si concentrano la maggior parte delle università che propongono corsi di lingua per stranieri, ed è qui che cercheremo una abitazione comoda e funzionale alla vita da studente fuorisede a Beijing.

E il campus universitario?
Perché dedicarsi alla ricerca di una casa e non usufruire di una stanza nel campus della propria università? Ogni università propone infatti agli studenti stranieri una sistemazione all’interno del proprio campus, di diverso tipo: si va dal posto letto in stanza doppia con bagno in comune, fino all’appartamento condiviso, da una soluzione quindi più economica a una più costosa. Ciascuna università ha una propria politica dei prezzi riguardo alla sistemazione in-campus, ma tendenzialmente il costo di un posto letto in stanza doppia con bagno in comune si aggira intorno ai 150-200 euro, mentre per una più comoda stanza singola o per un appartamento condiviso la cifra lievita verso i 300-350 euro.
La sistemazione in-campus non va certamente scartata a priori, soprattutto se si risiede a Beijing per un corso di studi a breve termine e si ha già un/a probabile compagno/a di stanza con cui condividere una stanza doppia, la scelta più economicamente vantaggiosa tra quelle proposte. Tuttavia, gli standard di qualità e di comfort presenti nei dormitori delle università cinesi lasciano spesso a desiderare, soprattutto per le condizioni di servizi fondamentali, come il bagno o la cucina.
Va considerato che il costo della sistemazione in una stanza singola o in un appartamento condiviso in-campus non è troppo differente da quello di una stanza in affitto all’interno di  un appartamento a Wudaokou: la scelta di una sistemazione off-campus è quindi altamente consigliata nel caso di periodi di studio a lungo termine o qualora si arrivi in Cina con il desiderio di condividere l’abitazione con un gruppo di persone di propria conoscenza. D’altro canto, la cifra di 300-350 euro per una stanza singola all’interno di un appartamento a Wudaokou è comunque vantaggiosa se equiparata al costo delle abitazioni all’interno dei quartieri universitari di città italiane come Roma o Milano, dove il costo della vita è molto alto.
Il vantaggio di una vita off-campus,  in un appartamento scelto con cura e secondo le proprie esigenze risiede principalmente nella comodità e nella autonomia che questa scelta comporta: sarà più facile usufruire di una casa dotata di servizi e comfort sicuramente più vicini agli standard occidentali, gestire autonomamente la propria quotidianità e avere maggiore indipendenza.

Cercare casa a Beijing: le agenzie immobiliari
Il quartiere di Wudaokou pullula di agenzie immobiliari che non vedono l’ora di aiutare gli stranieri nella ricerca di una casa. Basterà comunicare all’agente il proprio budget e il numero delle stanze che si desiderano all’interno dell’appartamento per poi valutare gli appartamenti proposti.
Occorre prestare attenzione alla tendenza degli agenti immobiliari nel proporre in prima istanza  le case sfitte da molto tempo ( e dalle condizioni peggiori) : rimanere fermi nelle proprie intenzioni e nei propri standard diventa vitale per trovare la casa più adatta alle proprie esigenze.

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L’agente immobiliare richiederà per i suoi servizi l’equivalente di una mensilità dell’appartamento che si sceglierà di affittare ma, come la stragrande maggioranza delle compravendite in suolo cinese, la commissione dell’agente immobiliare è assolutamente negoziabile: il risparmio finale dipenderà quindi dalle proprie capacità di contrattazione, raggiungendo anche uno sconto del 30-40% sulla cifra di partenza.

Cercare casa a Beijing: gli annunci immobiliari online
Affidarsi a un agente immobiliare per la ricerca della propria casa a Beijing non è l’unica strada percorribile e senza dubbio non è la più economica.
Tra i vari siti di annunci utili a cercare una casa nella capitale cinese, il più conosciuto e il più utilizzato è TheBeijinger , dedicato all’informazione e alla promozione di eventi a Beijing, ma dotato di una vivace sezione di annunci immobiliari.

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Nella sezione Classifieds si trovano infatti migliaia di annunci immobiliari, divisi per quartiere, prezzo e numero di stanze all’interno dell’appartamento proposto. Allo stesso modo, è possibile anche inserire un annuncio nel quale andranno indicate le caratteristiche dell’appartamento che si desidera, il proprio budget e il periodo nel quale si intende occupare l’appartamento. Basterà poi aspettare di essere contattati dal proprietario stesso per organizzare un appuntamento: si tratta in questo caso di  una trattativa diretta e senza intermediari, con la possibilità di richiedere tutte le informazioni che si desiderano. È consigliabile tuttavia, iniziare la ricerca online almeno un mese prima del proprio arrivo a Beijing per organizzare gli appuntamenti per le visite delle case di proprio interesse con maggiore calma e cura.

Casa trovata! E adesso?
Una volta trovato l’appartamento più adatto alle proprie esigenze non rimane che espletare le procedure burocratiche del caso, ovvero firma del contratto di locazione e registrazione della residenza temporanea presso la stazione di polizia.
Il tipico contratto di locazione cinese contiene al suo interno tutte le clausole che regolano i rapporti tra proprietario e i suoi affittuari,  compreso l’ammontare della caparra e delle mensilità,  il periodo di locazione e i dati del proprietario e dei suoi affittuari. Di norma, i contratti di locazione cinesi si rinnovano di tre mesi in tre mesi e il pagamento delle mensilità avviene in una forma unica, al momento della firma.
La consuetudine di pagare in anticipo una prestazione o servizio regolato da un contratto è molto diffusa in Cina e interessa le normali pratiche di manutenzione della casa, come il pagamento delle spese di internet, luce, acqua e gas. Questo vuol dire che non si riceveranno a domicilio le bollette con l’importo da pagare in base a quanto si è effettivamente consumato, ma occorrerà in primo luogo acquistare una certa quantità di kilowatt di energia elettrica o di metri cubi di gas, per poi usufruirne fino all’esaurimento del proprio “credito”. L’acquisto si effettua in una qualunque banca, utilizzando una apposita carta prepagata ricaricabile, che verrà poi inserita nel contatore della propria abitazione per attivare il consumo. Per quanto riguarda internet invece, al momento dell’allacciamento alla rete in seguito all’arrivo di un tecnico a domicilio, si provvederà al pagamento della totalità delle mensilità richieste direttamente al tecnico dell’azienda telefonica. Una volta firmato il contratto di locazione, sarà premura del proprietario accompagnare i suoi nuovi affittuari presso la più vicina stazione di polizia, per effettuare la registrazione di residenza temporanea. Questa pratica è  necessaria ai fini del mantenimento del proprio visto (occorrerà infatti comunicare alla università ospitante la nuova residenza) o per richiedere un eventuale permesso di soggiorno, nel caso di corsi di studio superiori a un semestre.

Espletata questa ennesima pratica burocratica e con le chiavi di quella che sarà la propria abitazione cinese, non rimane altro che iniziare la vita da stranieri a Beijing, una avventura ricca di stimoli e opportunità, caratteristica certamente comune a tutte le esperienze lontane da casa, ma le peculiarità del mondo e del popolo cinese fanno davvero la differenza.
La quotidianità dello studente residente all’estero, o liuxuesheng

留学生 sta bussando alla vostra porta della vostra nuova casa cinese!

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