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Anno nuovo, mete nuove!

L’anno nuovo porta con sé sempre quella voglia di migliorarsi e di realizzare i propri sogni, e un viaggio cos’è se non un sogno che si realizza?

Ci sono però un sacco di posti meravigliosi da visitare, e decidere dove andare è una scelta difficile. Perciò, dove andiamo nel 2018? L’abbiamo chiesto a Tiziana Mascarello, editor dei titoli fotografici di Lonely Planet.

Ci racconta qualcosa sul suo lavoro?

Lavoro in Edt nell’area Lonely Planet e, oltre che dell’area marketing, mi occupo di selezionare i titoli fotografici che pubblichiamo durante tutto l’anno. Questi libri in genere sono tematici e contengono informazioni e foto di suggestione, che sviluppano da punti di vista diversi per aiutare il lettore a decidere quale meta scegliere. Meta che poi si potrà scoprire durante il viaggio che ne seguirà, sebbene queste pubblicazioni permettano di viaggiare anche rimanendo comodamente seduti in poltrona con il libro in mano.

Lisbona, Portogallo

Qual è stata la meta di maggiore tendenza del 2017 e perché?

Ogni anno a ottobre pubblichiamo Best in Travel, che contiene informazioni riguardanti le mete che Lonely Planet consiglia perché in quel determinato anno accade qualcosa in particolare. Al suo interno vi sono classifiche di destinazioni come i top 10 Paesi, città e regioni, le tendenze di viaggio per il relativo anno e le destinazioni più convenienti.

Nel 2017 le tra le destinazioni top c’era il Canada, perché festeggiava il centocinquantesimo anniversario della nascita del Paese, sancita dal Constitution Act che ne determinò l’autonomia. La meta è piaciuta molto ai nostri viaggiatori, come gli Stati Uniti, consigliati per il centenario dei parchi nazionali: c’erano infatti tariffe particolari, e sono state aperte zone in genere non accessibili al pubblico.

Tra le mete più gettonate negli ultimi anni c’è anche il Portogallo, con un occhio di riguardo per Lisbona che è la destinazione favorita dai viaggiatori all’interno del Paese. Inoltre, tra il 2016 e il 2017 hanno suscitato grande interesse Cuba e l’Islanda, per il fatto di essere entrambe isole molto particolari che incuriosiscono i viaggiatori.

L’Avana, Cuba

Quali saranno le mete da non perdere nel 2018?

Nel Best in Travel 2018 troviamo, per quanto riguarda l’Italia, Matera. La città diventerà Capitale della cultura nel 2019, ma è già pronta a ospitare i visitatori, poiché ha intensificato le attività culturali e, non essendo ancora troppo turistica, è meglio visitabile. Inoltre, a fine dicembre è uscita la prima guida delle Dolomiti, meravigliosa destinazione Patrimonio dell’Unesco, e tra pochi giorni verrà pubblicata la prima guida Piemonte, regione che sebbene poco conosciuta offre un connubio perfetto tra storia, arte e natura tutto da scoprire.

Il viaggiatore Lonely Planet è molto curioso e vuole visitare anche luoghi meno consueti: nel 2018 il Best in Travel consiglia la Georgia, che un secolo fa aveva avuto un breve periodo di indipendenza e festeggia quest’anniversario. Il Paese è ubicato in una regione che ha mantenuto uno spirito tradizionale molto forte, quindi c’è molto da scoprire all’interno di essa.

Per quanto riguarda l’Europa, l’Andalusia è una di quelle regioni che hanno una combinazione vincente tra clima meraviglioso, gente meravigliosa, arte e cultura. Siviglia si sta trasformando in una città sempre più vivibile ed ecologica, e dato che nel 2018 cade l’anniversario della nascita del pittore Murillo, ci saranno diverse mostre dedicate a lui stesso e all’arte barocca.

Un’altra città europea da visitare nel 2018 è Anversa, che quest’anno offre un mix di arte barocca, ospitando un’importante rassegna di pittura a cui prenderanno parte anche artisti fiamminghi. Inoltre, si stanno riqualificando gli spazi più periferici con opere d’arte e architetture particolari e interessanti: la città vuole allargarsi tramite iniziative culturali anche al di fuori del tracciato turistico classico relativo al centro storico.

Anversa, Belgio

Fuori dal continente europeo, la destinazione top del 2018 è il Cile, che festeggia l’importante anniversario dei 200 anni di indipendenza: per l’occasione, è aumentata la quantità di voli che raggiungono il Paese. Il luogo che il viaggiatore indipendente e avventuroso preferisce all’interno del territorio cileno è Valparaiso, città d’arte costiera, dove si respira un’atmosfera suggestiva tra il romantico e il bohémien.

I flussi turistici negli ultimi anni hanno subito anche il fascino del Giappone. Lonely Planet consiglia di visitarne i luoghi meno noti, specialmente la Penisola di Kii che ora è più accessibile e ancora poco turistica.

Ci sono mete che non passano mai di moda?

Una delle destinazioni top di sempre tra le città continua ad essere New York, la cui guida è in cima alle classifiche di vendita da moltissimi anni. In Italia invece è indiscutibilmente la Sicilia, che piace sempre ai viaggiatori.

New York, USA

Ci sono invece destinazioni che hanno riscosso interesse per tempi molto brevi?

La città di Stoccolma ha meno successo rispetto agli anni scorsi per l’emergere di altre destinazioni, e la stessa cosa succede in America latina per la Bolivia, ora meno visitata perché offuscata dal successo turistico di Cile ed Argentina.

Una delle guide meno vendute negli anni è stata quella di Seoul, ma era stata pubblicata anni fa, quando i tempi non erano ancora maturi. Anche la Tunisia era una destinazione molto amata dai visitatori, e oggi Lonely Planet non ha guide su di essa in catalogo.

Viaggi e sicurezza: c’è davvero paura?

La sicurezza inevitabilmente influisce sui flussi turistici, ma alcune destinazioni, come ad esempio Parigi e Barcellona, subiscono un contraccolpo nell’immediato e in seguito si riassestano. Da quello che vediamo e che i nostri viaggiatori ci comunicano attraverso i social e le mail, percepiamo che si continua a viaggiare, per fortuna. Il viaggio è sempre un elemento forte, va oltre alla paura.

Siviglia, Andalusia, Spagna

Cosa cerca oggi il turista?

I viaggiatori di Lonely Planet cercano luoghi particolari e viaggi in cui fare cose, vivere esperienze. È per questo che pubblichiamo anche libri tematici che danno indicazioni su come viaggiare alla scoperta di nuovi luoghi on the road, a piedi o in bicicletta. Si cercano viaggi d’esperienza, che permettano di conoscere un luogo non solo attraverso una visita di passaggio, ma anche tramite attività, per vedere tutto più da vicino. Il viaggiatore è consapevole, si informa e conosce i posti, li vive in modo più approfondito anche attraverso il contatto con i locali e la loro cucina.

Lei dove andrà nel 2018?

A Berlino, che non ho mai visto in estate, e in Asia Centrale, probabilmente nelle zone dell’Iran, ma il viaggio è ancora tutto da costruire.

La Biblioteca Umana Migrante: un esperimento di inclusione sociale

Immaginate di essere seduti di fronte a un perfetto sconosciuto e che questo vi racconti una storia di vita, la sua. Immaginate che questo sconosciuto vi racconti di un viaggio che qualche tempo fa intraprese in aereo, a piedi, in treno, in barca per raggiungere una nuova terra e una nuova vita. Immaginate di entrare in contatto con le paure, le speranze e le aspettative di chi parte con la consapevolezza di diventare un migrante. È questo semplice meccanismo ad essere alla base di una grande esperienza d’incontro con l’altro: la Biblioteca Umana Migrante. Questa emozionante esperienza di condivisione e conoscenza è stata realizzata a Talca, la capitale della Regione del Maule, situata a 259 chilometri a sud di Santiago del Cile. A renderla possibile è stato il Colectivo MIGRA, nato nel 2014 con l’obiettivo di sostenere il processo di integrazione e convivenza positiva tra la comunità locale e la comunità migrante.

Foto di Claudia Pérez Gallardo e Sebastián Quezada

MIGRA lavora per il rispetto dei diritti umani in una società che negli ultimi due anni ha sperimentato un forte aumento del flusso migratorio. L’idea di realizzare un incontro con I racconti migranti nasce dall’esigenza di creare spazi dove si possa costruire una memoria collettiva e rompere gli stereotipi con il fine di costruire una società più inclusiva e interculturale. Il concetto di Biblioteca Umana non è nuovo: nasce in Danimarca negli anni 2000 grazie all’ONG Stop the Violence, quando un gruppo di giovani decise di agire per lottare contro tutte le forme di discriminazione, violenza e pregiudizio nel proprio Paese. Successivamente, l’esperienza si è replicata in più di 70 stati in tutto il mondo. Grazie al Colectivo MIGRA la Biblioteca Umana arriva per la prima volta in Cile, focalizzandosi sulla tematica della migrazione e con il desiderio che esperienze come questa possano replicarsi e prendere vita in diversi contesti sociali.

Realizzare una Biblioteca Umana non è difficile. È necessario occupare uno spazio pubblico, decorarlo con una scenografia semplice dove i libri umani aspetteranno i suoi lettori – o meglio, ascoltatori – che sceglieranno la storia da ascoltare grazie all’aiuto dei bibliotecari. L’esperienza dura 20 minuti, durante i quali il migrante condivide con il lettore la sua esperienza e chi ascolta può manifestare i propri dubbi o curiosità. Tutto ciò che si fa è prendersi qualche minuto di tempo per sedersi a conversare, con l’obiettivo di conoscersi, capirsi e, di conseguenza, imparare a convivere nello stesso territorio. L’importanza di iniziative semplici come questa riflette l’esigenza di generare più spazi di condivisione tra diverse culture, soprattutto in quelle città che stanno sperimentando un cambiamento nella loro identità tradizionale.

Foto di copertina di Claudia Pérez Gallardo e Sebastián Quezada

Aconcagua ’98: una spedizione alla conquista della sentinella di pietra

Partiva il 3 gennaio 1998 la spedizione alpinistica guidata da Marcello Cominetti alla conquista dell’Aconcagua, nella cordigliera andina. Mino Alberti è il nostro protagonista e narratore: nel suo diario ha raccolto le sensazioni provate in quella scalata di 7012 m, intrapresa dal versante nord-ovest, al confine tra Cile e Argentina. L’attenzione per gli orari, il cibo, le ore di sonno e lo stato psicofisico sono gli elementi dominanti del diario, che contribuiscono a rendere l’idea dello sforzo fisico in una spedizione a così alta quota, al di là della volontà personale.

Attraversata la frontiera a Mendoza, «per non farci aprire tutti i borsoni, paghiamo 50 dollari alla dogana e arriviamo a Puente del Inca: si vede l’Aconcagua. Alloggiamo a l’Hosteria dove preparo il materiale da portare e decido cosa resta». Una situazione di tensione in cui Mino si dice entusiasta e al contempo preoccupato: al rifugio arrivano due alpinisti sud coreani con la pelle bruciata dal sole, stremati dalla vetta e terrorizzati dal fatto che da tre giorni non vedono il loro compagno di spedizione.

HosteriaDeMendoza
Hosteria De Mendoza

Il quarto giorno si parte a piedi, zaino in spalla verso la località Confluencia a 3500 m di quota, con un dislivello di 750 m da affrontare in un solo giorno: il gruppo inizia a sgretolarsi. «Mi viene mal di testa, montiamo le tende e peggiora. Arriva l’ora di cena e provo a mangiare riso con carne e finalmente scompare. La compagnia ritorna compatta e incontriamo un altro italiano che ci racconta di due suoi compagni ricoverati a Mendoza: uno con le dita congelate e l’altro con il viso sfregiato dal vento! Buona notte».

L’obbiettivo successivo è Plaza de Mulas a 4230 m, il campo base: una tappa molto lunga, di circa 28 km, in cui più volte si deve attraversare il Rio Honcomes. Dopo un dislivello di circa 700 m, gli alpinisti montano le tende e riprendono fiato. «Adesso, steso, ricomincia il mal di testa, un incubo. La testa mi scoppia, mi muovo a carponi; mi sforzo e bevo un tè, mangio del pane. Arrivo a fatica alla tenda, riesco a dormire giusto un’ora: sono rinato».

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Paza De Mulas – 4230 m

Dopo un paio di giorni di acclimatamento, si parte per Nido de Condores a 5385 m. «Si sale lentamente e dopo due ore comincio a perdere le forze, dopo dieci passi mi devo sempre fermare. Sono l’ultimo. Arrivo a fatica a Plaza de Canada a 4900m, Renzo mi è venuto incontro e mi ha portato lo zaino. Sistemiamo il materiale e scendiamo al campo: sono distrutto e demoralizzato. Dov’è tutto il mio allenamento? Con grande sforzo vado a lavarmi (bidè tra i ghiacci!) e per tornare alla tenda devo fare una sosta». Nel frattempo arriva al campo la squadra dei soccorsi con il corpo del sud coreano disperso; ci sono i suoi compagni e lo lasciano disteso sulla neve per i rituali tradizionali.

La mattina, nonostante tutto, Mino è di buon umore: si preparano per partire verso Cambio de Pendente, dove han lasciato il materiale il giorno prima. Una volta arrivati vengono distribuiti i carichi e si fa un ultimo sforzo per arrivare a Nido de Condores. C’è tanta neve e tanto vento: occorre rinforzare di più le tende costruendo dei muretti di pietra. C’è entusiasmo anche se si inizia a soffrire l’altitudine. Dal diario di Mino: «Ora ho mal di testa sempre, anche di giorno. La nostra tenda fa anche da cucina: ci ho messo due ore per far bollire dell’acqua per il tè».

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Mino Alberti, secondo da sinistra con gli amici esploratori a Cambio De Pendente – 5300 m

La mattina del decimo giorno si parte per il rifugio Berlin a 5930 m, ultima tappa prima di raggiungere la vetta. «C’è sempre più vento. Avanzo a fatica, non sento più le mani e mi chiedo chi me l’ha fatto fare. Ci sono dei colori stupendi ma scattare qualche foto è impossibile. Vediamo il tratto finale della vetta. Marcello torna verso di noi e ci dice che non è il caso di continuare: c’è troppo vento e siamo a rischio di caduta e di congelamento. Si torna indietro». Smontano a fatica le tende; durante la noiosa e penosa discesa, Mino è affranto, triste e arrabbiato. A Plaza de Mulas ritrova gli amici alpinisti, telefona a casa e finalmente riesce a dormire.

Lavati, sbarbati e curati ripartono per Mendoza e da lì verso casa: «Ogni tanto penso all’Acongagua, la sentinella di pietra: sono tra l’arrabbiato e il soddisfatto».

Festival Internacional de Cine de Talca: voler essere liberi di fare cultura

Una delle forme di libertà d’espressione maggiormente d’impatto è senza dubbio quella artistica e culturale. Ma quanto questa è realmente garantita, valorizzata e libera di esprimersi? Ne parliamo con Marco Díaz, 40 anni, produttore artistico, cileno di nascita e formazione. Per molto tempo, Marco ha lavorato a Santiago nel mondo artistico e audiovisuale, ma negli anni ha coltivato un sogno parallelo: importare l’arte e la cultura cinematografica nella sua regione, il Maule. Ed è così che da dodici anni, ogni anno, presenta il Festival del Cinema Internazionale di Talca, che nasce dall’esigenza di «rompere con l’egemonia imposta dal governo centrale, attraverso la creazione di processi, circoli ed eventi culturali ed artistici nelle province».

La grande sfida del Festival è quella di decentralizzare la cultura e aprire nelle regioni «uno spazio di condivisione, riflessione e dibattito sulle realtà cinematografiche emergenti dentro e fuori il nostro Paese». In uno stato altamente centralizzato come il Cile, l’accesso al diritto alla cultura non è sempre garantito o protetto: i grandi eventi artistici e culturali restano a Santiago, e le province si trasformano in isole lontane dai riflettori della capitale.

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Prima giornata di presentazione del Festival

«Dal suo inizio, il festival, ha mostrato alla città e alla regione più di 800 cortometraggi, 400 lungometraggi, documentari, film; abbiamo organizzato  workshop e laboratori audiovisuali, dibattiti ed incontri con cineasti nazionali e internazionali», ci racconta Marco. Il Festival ha aperto una finestra di esibizione, riflessione e dialogo sulla nuova estetica e narrativa del cinema cileno, latino americano e internazionale e, soprattutto, è diventato «un polo di sviluppo del linguaggio audiovisuale regionale, in cui gli artisti locali possono esibire le proprie opere».

Ma le difficoltà d’esprimersi in un linguaggio cinematografico e artistico non sono poche: «sebbene in Cile esista la libertà di espressione culturale,  non è ancora prevista una piattaforma in cui questa libertà possa manifestarsi in maniera egualitaria in tutto il Paese». La mancanza di politiche pubbliche orientate alle attività artistiche e culturali e l’inesistenza di fondi stabili per finanziare eventi di questo tipo, precarizzano ancor di più esperienze come quella di Talca. «Oltre alla difficoltà di trovare ogni anno dei finanziatori, si aggiunge quella di trovare spazi sufficientemente aperti per sviluppare nel migliore dei modi un’attività cinematografica di qualità».

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Proiezioni per le scuole di Talca

Nonostante le difficoltà per organizzare questo tipo di eventi, anche quest’anno il Festival Internacional de Cine de Talca si è realizzato con non pochi sforzi, ma con gran successo:  dal 12 al 16 aprile si sono proiettati più di 40 film, cortometraggi e documentari; per la prima volta si è aperto il programma ai più piccoli, con la partecipazione di diverse scuole della città; le sale di proiezione hanno visto la partecipazione di più di mille persone e il generarsi di dibattiti intensi e interessanti.

Tutto ciò dimostra quanto sia necessario creare spazi culturali alternativi, soprattutto in città in cui la presenza del cinema è per lo più commerciale e poco riflessiva. Produrre cultura dal basso è difficile, ma diventa possibile quando si uniscono le energie, i desideri e l’impegno di chi pensa ancora che la cultura sia sinonimo di sviluppo. L’appello di Marco, come quello di molti suoi colleghi è semplice: sognano uno stato in cui «le diverse entità culturali, pubbliche e private, possano lavorare insieme per promuovere e sviluppare circuiti culturali che permettano agli artisti locali e nazionali di avere uno spazio dove esprimersi e far conoscere la propria arte».

 

 

In copertina, organizzatori e partecipanti nella cerimonia di chiusura.

Fotografie di Caca Bernardes

La ruta del Desierto: i colori di Atacama

Percorrere la Ruta del Desierto è un’esperienza che regala paesaggi mozzafiato. E’ la strada che collega le estremità dell’immenso Deserto di Atacama.

Si passa dalla desolazione dei luoghi più remoti alla caotica frenesia delle città. Queste ultime sembrano isole lontane e scomunicate tra loro. Nei centri abitati la vista è quasi surreale, si scorgono contrasti cromatici molto forti: il giallo secco e arido della sabbia, l’azzurro intenso del cielo, il profondo blu dell’oceano, sfumato dalla spuma bianca delle onde che si rompono su se stesse senza sosta, il grigiore di case tutte uguali da dove spuntano, di tanto in tanto, edifici altissimi.

Penetrando nella distesa di sabbia, la presenza dell’uomo si fa più rara e lascia spazio ai disegni della natura. Il paesaggio è riarso, assetato, il sole impera e si rispecchia nelle macchie di sale e acqua che si incontrano ad alta quota. In primavera il deserto rinasce e ci fa scoprire l’incanto della fioritura che irrompe con forza nel panorama brullo.  La vivacità del lilla, verde e dell’azzurro  dipinge il deserto con giochi di luci, colori e aromi inusuali e meravigliosi.

 

Luchamos para crear, creamos para vencer

Ci troviamo nel Sud-Ovest dell’America Latina, nel lembo di terra che si estende dal 17° parallelo fino alle terre antartiche. Ci troviamo in Cile, un paese complesso, ricco di storia dura e di bellezze. Un paese che fino ai recenti anni Novanta ha vissuto il peso di una delle dittature più violente e assassine. Dopo il golpe al governo socialista Allende, venne trasformato da Pinochet nell’esperimento neoliberale dell’America Latina. Un Paese, nelle cui vene scorre ancora il sangue dei morti, dei desaparecidos e degli esiliati.
In Cile l’eredità del governo militare si vive, è presente nella Costituzione degli anni ’80, modificata negli anni ma mai abrogata. È presente in quei diritti sociali non pienamente garantiti, ma lasciati alla feroce logica della democrazia di mercato.FOTO2

Il diritto allo studio è uno di questi. Studiare nelle università statali in Cile significa indebitarsi. Una carriera quinquennale, equivalente al nostro diploma di laurea, può costare dai 10.000 euro ai 32.500; cifre, queste, che variano a seconda della città e del tipo di facoltà e percorso di studio. Il sistema di borse di studio vigente lascia fuori la stragrande maggioranza di studenti, pertanto l’unica scelta della gioventù cilena per accedere all’educazione universitaria è quella di contrarre debiti. La “questione studentesca” è un tema molto delicato e discusso, il movimiento estudiantil resta attivo nelle lotte e, quest’anno, ha invaso le università con domande di democratizzazione e gratuità dell’istruzione. Da Arica a Punta Arenas, più di 26 università hanno sperimentato lo sciopero generale e l’occupazione come forme di lotta per riaprire ed accelerare il dialogo con le rettorie.
Ci troviamo a Iquique, nel Norte Grande. Le spinte centraliste il più delle volte mettono sotto riflettori ciò che accade nella Regione Metropolitana di Santiago, oscurando tutte le altre zone del Paese. Iquique ha una forte coscienza studentesca: nel 2006, anno del movimento dei pingüinos, gli studenti medi che riempirono le piazza e le strade ottennero, oltre alla riduzione delle tasse d’iscrizione, la creazione di un Consiglio per la qualità dell’educazione; nel 2011, anno che rappresentò una vera e propria sfida per il movimento studentesco, le università iquiquegne restarono in “toma” per ben otto mesi, lottando contro un sistema educativo statale finanziato soltanto al 25% dalle casse dello Stato e per il restante 75% dagli studenti. Iquique visse da città protagonista entrambi i movimenti e anche quest’anno gli studenti sono tornati a manifestare per un reale diritto allo studio. Qui, sono due le università statali che hanno resisistito in “toma” per diversi mesi.

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In prima linea i ragazzi dell’Arturo Prat, organizzati nel Bloque Social, nato nel 2011 nelle facoltà di Trabajo Social, Psicologia e Sociologia e riformatosi quest’anno con un’adesione trasversale. La nuova ondata di protesta segue due filoni di lotta paralleli: da un lato la democratizzazione delle università a livello nazionale, dall’altro una serie di proposte per migliorare il sistema educativo a livello locale. Il primo ha a che vedere con una più egualitaria partecipazione degli studenti nel dibattito per costruire la riforma per una istruzione pubblica (Reforma de la Educación Pública). Si chiede che l’abrogazione del decreto DFL 2, retaggio della dittatura militare e avvenuta soltanto lo scorso anno, diventi effettiva e che consenta, così, agli studenti e ai funzionari amministrativi di partecipare alla votazione delle istituzioni universitarie secondo il metodo della triestamentalidad. Nel concreto, si esige l’istituzione di un tavolo di discussione in cui siano presenti al 33,33% professori, studenti e personale amministrativo in egual misura. La funzione di tale organo è discutere e informare sul regolamento interno, sugli organi di rappresentanza e sul finanziamento dell’università.
Dall’altro lato, durante l’ occupazione, si è redatta una petizione per migliorare l’insegnamento e le condizioni di vita studentesca dell’università Arturo Prat. Ci racconta Diego, 21 anni al terzo anno di Farmacia, di come l’occupazione sia nata da un’esigenza degli studenti di contrastare le misure della riforma riguardanti la carriera docente. “Il progetto di legge del governo prevede che ogni corso universitario cileno possa tenere un solo esame che abiliti gli studenti all’insegnamento”, spiega Diego, “ svalutando del tutto la Facoltà di Pedagogia, atta alla preparazione di professori qualificati, creando così una nuova classe di professori impreparati e non formati adeguatamente. Abbiamo bisgono di professori preparati e che vegano formati in una facoltà specifica”. Dall’urgenza di queste istanze, iniziano le prime mobilitazioni tra aprile e maggio. La prima facoltà a scegliere la via dell’occupazione fu Scienze Umane. Da qui iniziarono le prime trattative con il rettore e delle vere e proprie simulazioni di votazioni degli organi interni alla facoltà secondo il metodo della triestamentalidad, proposto a livello nazionale. Sulla scia della facoltà di Scienze Umane, si mossero nelle settimane successive gli altri studenti che, a fine maggio, dopo due giorni di sciopero generale, decisero di riappropriarsi degli spazi dell’università. Tutto questo per aprire opportunità di informazione, dialogo e discussione con gli altri studenti.

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Nei mesi di toma si organizzano workshop, incontri, proiezioni, giornate di autoformazione in cui partecipano studenti e professori vicini al movimiento. La vita in toma ha un sapore speciale, si fanno turni per cucinare, per pulire gli spazi e organizzare le attività. Si vivono giornate intense, di interesse partecipato e condiviso. Alcuni studenti partecipano alle riunioni con la Rettoria una volta a settimana. Si scrivono su carta le proposte nate dalla condivisione di idee e si preparano tre temi di negoziazione: la democratizzazione dei processi interni, la gratuità dell’istruzione a livello nazionale (così com’era garantita nel governo Allende) e la petizione interna. La motivazione degli studenti é forte e ció li porta a continuare la lotta fino ad ottenere ció che chiedono a voce alta. “Crediamo che l’istruzione non sia un bene individuale, bensí collettivo”, continua Diego “Quando uno stato ha una buona educazione pubblica e gratuita, la societá ottiene un valore aggiunto che va a beneficio di tutti. É cosí che piú persone possono contribuire, con la loro conoscenza, allo sviluppo del Paese. É per questo che continueremo a lottare per garantirci un futuro”.
Dopo quattro mesi di occupazione, ottenute gran parte delle condizioni richieste nella petizione interna, gli studenti decidono di tornare a lezione. Dai mesi di lotta si ottengono, tra le varie cose, più pasti gratuiti, asili nido gratuiti per i figli degli studenti dell’ateneo, un sistema di connessione a internet efficiente, un progetto per finanziare il trasporto degli studenti residenti nelle città limitrofe e l’apertura di un tavolo di discussione in cui parteciperanno i rappresentanti del movimiento estudiantil. Si festeggia, gli studenti si dicono vittoriosi ed entusiasti della lotta. Ma consapevoli che nel secondo semestre li aspetterà un compito ancora più difficile: mantenere vivo il dialogo democratico e la partecipazione nei processi decisionali.

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Norte del Chile. Iquique

Poco meno di 230.000 abitanti. Risulta agli occhi di un viaggiatore esterno una sorta di Dubai spersa sulle coste scozzesi. Il bizzarro paragone si spiega girando la testa di circa 180° gradi per accorgersi di questo strano spettacolo. Alla costa rocciosa, costellata da case di legno di piccole dimensioni sormontate da fitti nuvoloni grigi, si affiancano infatti alti grattacieli che vanno a creare una barriera tra il mare e le dune di sabbia, le quali, imponenti, indicano la fine della città e l’inizio del deserto cileno.

E per quanto la città risulti gradevole con punte di delizia, l’idea di solitudine non ti abbandona mai, assediato come sei dall’immensità dell’oceano a est e dalle sterminate dune sabbiose del deserto a ovest. Questo senso di solitudine è confermata dalle chiacchiere con gli Iquiqueñi che nascono, crescono e vivono tutta la vita a Iquique. Niente di più facile, le città più vicine sono rispettivamente Arica (4 ore di pullman) e Antofagasta (8 ore di pullman).

Solitudine che non ti abbandona nemmeno quando raggiungi Tarapacà, pueblito a due ore dalla città completamente sperso nel mezzo del deserto. Strade lunghe e dritte che finiscono nel nulla, nella bocca dell’orizzonte. 35 gradi sotto il sole del pomeriggio che passano ai 10 scarsi della notte, stellata e stupenda, quella di S. Lorenzo. Canti, danze, folklore indigeno e religiosità importata si mischiano a fiumi di liquori, chancho (maiale) e birra sino a tarda notte.

Sabbia, freddo, alcol, danze, folklore e cieli carichi di stelle, il massimo che il deserto sudamericano ti possa offrire in una singola notte.

Deserti cileni
Carretera costera Arica, Iquique
Speculazioni costiere
Il colorato porto di Iquique
Per le strade di Iquique
El lobo dancante. Fiesta de San Lorenzo de Tarapacà.
La dama. Fiesta de San Lorenzo de Tarapacà
Danze folkloristiche. Fiesta de San Lorenzo de Tarapacà
El lobo. Fiesta de San Lorenzo de Tarapacà
Una dei numerosi colectivos arrivati dalla città
El viejo. Fiesta de San Lorenzo de Tarapacà
Hasta la noche! Le celebrazioni per San Lorenzo continuano sino a tarda notte
Se sigue! Le celebrazioni si raccolgono intorno ai fuochi
Nunca parar! Fiesta de San Lorenzo de Tarapacà
Campeggi in mezzo al deserto. Non si improvvisa nulla, di notte il freddo colpirebbe duro Fiesta de San Lorenzo de Tarapacà

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