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Una Vita di Collezioni. I 25 anni di viaggio di Luciano e Anna Pocar

Quando si entra nella casa di Luciano e Anna Pocar, in un vicolo nascosto di Bergamo Alta, non si sa dove guardare; in ogni angolo ci sono oggetti: lance ancora acuminate, statuette di animali e figure umane, enormi vasi africani, uova di struzzo, strumenti musicali.
I signori Pocar hanno passato 25 anni della loro vita a viaggiare. Ora hanno ottant’anni, non hanno mai posseduto una tv e parlano delle avventure che hanno vissuto con una lucidità e un entusiasmo contagioso.

Luciano è stato professore di matematica alla Statale di Milano; Anna alle scuole superiori. Per molti anni, prima di andare in pensione, si sono mossi in camper alla scoperta dell’Europa. Mi raccontano di quanto fosse bello viaggiare prima del turismo di massa e di quanto i cambiamenti nei luoghi che visitavano fossero rapidi; tra gli esempi, un villaggio di pescatori in Portogallo, con uomini e donne vestiti con costumi tradizionali in cui si erano imbattuti per caso a inizio anni ‘70, tre anni dopo aveva già perso tutta la sua autenticità.

«Il fatto che persone che prima non potevano viaggiare per mancanza di mezzi possano invece ora farlo, è davvero bello – mi dice Luciano – ma mi intristisce molto la perdita di tradizioni e costumi di popolazioni che le hanno conservate per così tanto tempo».

Nel 1984 prendono una decisione che cambierà radicalmente il loro modo di viaggiare: trascorrono, infatti, due settimane in Rwanda, durante il periodo natalizio, per collaborare con un progetto di volontariato. Anna scopre di questo progetto parlando casualmente con un’amica per strada, che suggerisce che c’è sempre bisogno di volontari. In due settimane nel paese non riescono a fare molto, ma decidono che partire per più tempo per fare veramente la differenza è quello di cui hanno bisogno.

Nel 1985 la scelta di recarsi a Riobamba, in Ecuador, dove trascorreranno 5 anni a insegnare matematica a una comunità montana nell’area, situata quasi a 5000 metri di altitudine. «All’inizio era molto difficoltoso capire gli allievi, perché parlavamo poco spagnolo, – raccontano – ma piano piano siamo riusciti a formare più di 80 bambini». Anna ci dice con orgoglio che uno dei loro primi alunni è ora rettore all’università che hanno con pazienza aiutato a creare. Mentre erano lì, hanno viaggiato in lungo e in largo.

Hanno inizio in questo periodo due delle collezioni più rappresentative dei loro viaggi: quella di presepi e statuine votive tradizionali e quella dei ponchos, che Anna ha raccolto in ogni stato del Sudamerica in cui sono stati, nelle pause dall’insegnamento.

Un’altra collezione molto interessante è quella delle fruste tradizionali. Luciano ci racconta che le fruste non venivano effettivamente usate per picchiare qualcuno, ma come status sociale: più erano elaborate e di materiale prezioso, più la persona che la portava è importante.

Una volta tornati dall’Ecuador, Anna e Luciano non hanno alcun desiderio di rimanere a casa. Decidono quindi di intraprendere l’avventura più difficile di tutte: il volontariato in Rwanda, un posto in cui si erano sempre ripromessi di tornare a fare più di quello che avevano fatto; qui. rimarranno per 4 anni.
Il Rwanda è nel pieno di una guerra civile sanguinosa ed è estremamente difficile portare gli aiuti necessari. Il 6 aprile del 1994, quando inizia il genocidio dei Tutsi da parte degli Hutu, Anna e Luciano si trovano ancora nel paese e sono costretti a scappare, vedendo la morte di persone a loro care e rischiando di rimanere uccisi a loro volta. La scuola che stavano costruendo verrà distrutta; scapperanno e non torneranno in Rwanda mai più. «È stata un’esperienza davvero traumatica, – ci racconta Anna – ma questo non ha fermato il nostro desiderio di continuare a viaggiare».

Torneranno in Sudamerica, andranno in Somalia, vivranno in Madagascar.
Di ogni posto in cui sono stati, hanno aneddoti divertenti, storie toccanti e mille oggetti che descrivono il luogo in cui sono stati meglio di qualsiasi racconto. Gli oggetti più numerosi provengono dall’Africa; di questi, quelli che più mi incuriosiscono sono le mille statuette intagliate in un’impressionante quantità di legni diversi.

Mi raccontano che negli anni novanta, quando tornavano dai loro viaggi e cercavano di raccogliere soldi da donare e impiegare nei loro progetti, era molto più facile trovare persone disposte ad aiutare, anche con cifre sostanziose. Ci dicono che adesso la diffidenza nei confronti delle organizzazioni umanitarie e la crisi economica hanno reso molto difficile trovare persone che si fidino ad affidare dei soldi. «È un peccato, ma capiamo anche che i tempi sono molto cambiati».

Oltre ai viaggi, Luciano è felice di raccontarci di più della sua vita. Suo padre è stato uno dei più grandi germanisti italiani, traducendo per primo le opere di Hesse e Kafka in Italia, per cui Luciano parla perfettamente tedesco sin da bambino. È cresciuto in una casa di studiosi dove la cultura era molto importante. Ha imparato l’arabo, il francese, il cinese, l’inglese e lo spagnolo.
In casa ci sono molti quadri con scritte in arabo e citazioni dal Corano, che mi traduce con entusiasmo.

Oltre alla grande conoscenza teorica, il signor Pocar ha anche una grande manualità e interesse per gli oggetti. Negli ultimi anni la sua più grande passione è costruire meridiane partendo da carta e cartoni, basandosi su teorie diverse circa il calcolo del tempo.

«Ogni volta che passiamo vicino alla famosa meridiana di Città Alta, sotto i portici di Piazza Vecchia, si mette a raccontare alla gente che passa come funziona, e rimaniamo lì per delle ore! – ci dice Anna divertita – Le guide turistiche sono contente quando lo vedono e a volte lasciano a lui l’intera spiegazione».

Uno altro grande hobby di Luciano sono le scienze naturali. Quando arriviamo nel suo laboratorio, totalmente separato dal resto della casa per garantirgli tranquillità e privacy, capiamo quanto tempo abbia passato a studiare e catalogare: animali impagliati, teschi di grandi e piccoli mammiferi trovati qua e là o donati da amici che sanno della sua passione, insetti europei, asiatici e americani, tutti catalogati minuziosamente.

C’è anche una sezione con vari animali in formaldeide: piccoli serpenti, pipistrelli e topi, che tratta una volta trovati già morti.

Con lui scherzo del fatto dovrebbero fare pagare un biglietto d’ingresso: la stanza è talmente ricca di reperti, che non si sa effettivamente più dove guardare.

Passare un pomeriggio con due persone come Luciano e Anna è un toccasana: fa capire che la passione per la cultura e l’impegno per gli altri sono probabilmente ciò che serve per mantenersi giovani, anche a ottant’anni.

Pequod: Boarding Pass

Siete tornati dalle vacanze e avete ripreso la solita routine?

Pequod Rivista vi offre l’occasione di partire ancora per una sera!
Nella suggestiva location dell’Ex Carcere di Sant’Agata di Bergamo PEQUOD : BOARDING PASS festeggia la nuova stagione con un sacco di drink, cibo, musica, chiacchiere e un’inedita performance teatrale… preparate la vostra boarding pass e salite a bordo della nave!

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Dietro le sbarre di Sant’Agata: come ti cambio il carcere

Il paesaggio urbano di ogni città è ricco di monumenti, edifici e, in generale, di luoghi con una propria importanza e funzione: da quella politica a quella sociale, senza dimenticare quella culturale. Nessuno di essi però vivrebbe senza una cittadinanza attiva che giorno dopo giorno contribuisce a far muovere la propria comunità. Ne consegue che l’importanza della complementarietà cittadino-edificio è basilare: senza uno di loro ogni centro abitato che si rispetti, che sia esso un piccolo paesino di provincia o una metropoli imponente, non sarebbe più tale. Cosa succede allora quando uno o più edifici iniziano a cadere in disuso? Ma soprattutto, in cosa possono potenzialmente trasformarsi, se si trasformano?

Per rispondere a questi quesiti credo sia fondamentale analizzare un caso particolare: quello che fa per noi è sicuramente la storia e l’esempio dell’ex carcere Sant’Agata di Bergamo. Prima di diventare un carcere, il complesso era un monastero risalente al XIV secolo e dotato di una propria chiesa. È solo a partire dal XVII secolo il complesso ospitò l’ordine monastico dei padri Teatini, nato antecedentemente al concilio di Trento con lo scopo di rinnovare la Chiesa cattolica recuperando le sue radici primitive. Tuttavia, con l’inizio dell’occupazione napoleonica del 1797, il luogo di culto viene sconsacrato per poi venire riabilitato nel 1799 innalzandolo a parrocchia del Carmine la cui chiesa verrà chiamata Sant’Agata del Carmine, in onore dei padri carmelitani, dove ancora oggi è possibile ammirare i bellissimi affreschi seicenteschi.

Storia diversa rispetto alla chiesa ebbe il monastero vero e proprio. Nei primi anni del XIX secolo venne adibito a carcere per opera dell’architetto italiano di origini viennesi Leopold Pollack, allievo del celebre Giuseppe Piermarini. Così, per più di 150 anni l’ex monastero da luogo di preghiera e spiritualità passò a luogo di reclusione ed oppressione. Successivamente, seguendo questa linea, negli anni Settanta del secolo scorso la struttura venne definitivamente chiusa anche sulla spinta dell’Ordine degli Avvocati che già dagli anni Cinquanta definiva quella struttura come: “il carcere indegno per la città di Bergamo’’. In aggiunta al malcontento, gli avvenimenti del 7 giugno 1972,  quando un gruppo di detenuti riuscì a raggiungere il tetto della struttura e lanciò diverse tegole alla polizia concentratasi nell’area.

Quindi, per ricollegarci alle nostre domande iniziali, è giusto chiedersi ora: che fine ha fatto l’ormai Ex carcere S. Agata? A questa ulteriore questione ci risponde Pietro, vicepresidente dell’associazione Maite di Bergamo, nata nel 2010 e dotata di un proprio circolo Arci, che attualmente ha in gestione l’edificio. «Circa un anno e mezzo fa essendo noi “vicini di casa” dell’ex carcere abbiamo deciso di confrontarci con il comune per poter riutilizzare lo spazio. Nasce così il progetto “Ora d’Aria” che dal 2015 permette la riapertura delle porte della struttura». Spiega Pietro: «abbiamo avuto modo di utilizzare ogni area dell’ex carcere per organizzare molteplici eventi che hanno riscosso molto successo tra i cittadini». Nello specifico però, questi eventi consistevano nel «riproporre ciò che l’associazione realizza normalmente durante l’anno, concentrando gli eventi in due o tre giorni di festival. Si spazia da concerti, mostre, teatro a iniziative culturali, quali interviste e conferenze, rivolgendo l’attenzione anche “al sociale” inteso come cittadinanza attiva che partecipa al riutilizzo di un bene comune», racconta Pietro.

A proposito dell’aspetto sociale, l’associazione Maite è molto attiva su questo fronte: la sfida è quella di trasformare un luogo di detenzione e prigionia, quale è il carcere, in un polo culturale significativo per la città: «immagina cosa volesse dire avere un carcere all’interno della città e cosa voglia dire, oggi, fare sfoggio di un centro culturale per l’ intera comunità» afferma Pietro. Comunità che, sempre secondo gli intenti dell’associazione, si spererebbe di coinvolgere su più livelli: partendo, per esempio, dai richiedenti asilo (come gli ospiti attuali del circolo Il Castagneto stanno già facendo, partecipando e collaborando proficuamente con il circolo Maite), arrivando fino alle fasce più anziane e attempate della comunità.

Credits: Ph. Federico Buscarino

 

In conclusione possiamo dire che, l’esempio di questo ex carcere è una sorta di modello di riutilizzo di edifici dismessi, nonché un degno modo per ridare la vita ad una parte di città. Ma come scritto all’inizio di quest’articolo, ciò non sarebbe possibile senza una buona dose di partecipazione da parte dei cittadini, e credo che il lavoro dell’associazione Maite possa dimostrarlo ampiamente.

BgIS Free Walking Tour – un nuovo modo di esplorare Bergamo

Fotografie di Francesca Gabbiadini

Crearsi un’alternativa attraverso l’esperienza? Ecco cosa serve in una realtà divisa da una crisi che sembra infinita.

E allora… BgIS! Ovvero Bergamo, meta nuova e immune da ogni inflazione turistica, narrata dalla prospettiva inedita del turismo “non tradizionale” e dalle leve della giovane imprenditoria italiana.

BgIS è un’associazione culturale nata per offrire tour della città lombarda nuovi e creativi, in linea con i dettami di una formula turistica nuova ma già molto diffusa in diversi paesi europei. Si tratta del free walking tour: una visita guidata gratuita e senza bisogno di prenotazione, che parte da un punto di ritrovo fisso, solitamente nei pressi del centro cittadino, e che conduce i suoi partecipanti nel cuore della città grazie alla preziosa esperienza di guide giovani, poliglotte e desiderose di far conoscere la propria città dal punto di vista di chi la città la vive quotidianamente.

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Come si fa a partecipare ad un free walking tour di Bergamo? Basta visitare il sito dell’associazione (qui), o seguire BgIS sulle piattaforme social turistiche più diffuse, come Tripadvisor e Yelp, ma anche visitando la pagina facebook (qui), instagram (qui) e presentarsi presso Porta San Giacomo – all’ingresso di Città Alta, il centro storico di Bergamo, ndr – all’ora dell’appuntamento.

Riconoscibile dalla paletta rossa e gialla, la guida accoglie turisti e curiosi presso il meeting point e li porta alla scoperta delle meraviglie più nascoste di Bergamo, raccontando la storia della città infarcendola di aneddoti e leggende. I tour sono senz’altro divertenti, tanto da sembrare una goliardica scampagnata fra amici, ma, come ci spiega Stefano, presidente di BGis, «i nostri tour nascono dalla preparazione nell’ambito del turismo e richiedono una preparazione accurata e dettagliata». Per ora BgIS offre tour settimanali in italiano e in inglese, ma l’obiettivo è fornire un servizio sempre più multilingue e costante.

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Come dire? Se il mercato del lavoro langue e, secondo Istat, la disoccupazione per i giovani tra i 15 e i 24 anni a Maggio 2015 si è attestata al 41,5%, la realtà associativa può essere un viatico e l’inizio di un’esperienza lavorativa fuori dai vecchi schemi del “posto fisso”. Certo non mancano le difficoltà. «All’inizio – rivela Stefano – abbiamo cercato persone convinte del progetto e che avessero solide competenze nel settore turistico». Poi è arrivato il momento di scrivere lo statuto, vera e propia “carta d’identità” dell’associazione. Tra le sue righe infatti «sono racchiuse l’essenza e l’anima dell’associazione». E tutto questo bisogna farlo in un ambiente di leadership condivisa, con un occhio alla distribuzione del potere «per non creare attriti – affermano i ragazzi di BgIS – e per dare il giusto peso alle competenze di tutti».

Ma tutto questo ha senso in vista di una sola mission: accompagnare i visitatori nella magia di Città Alta, la celebre Bèrghem de üra, attraverso aneddoti che permettano di vivere attivamente la città, perché «la storia di Bergamo – assicura Stefano – rimane dentro se diventa racconto».

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Insomma, un viaggio alternativo e immediato tra le pagine dei fatti accaduti, i monumenti di una città tanto antica quanto inesplorata, una strategia turistica inedita e ancora piena di possibilità e un approccio di «open source turistico ponderato», ripete Stefano più volte, aggiungendo che «il parere dei visitatori è il mattone più importante nella costruzione dell’associazione».

A fare da collante e da motore a tutto questo sono «coraggio e intraprendenza», ci dice Stefano, nostra guida di questo nuovo viaggio nelle Nuove Premesse pequodiane.

«Tanta voglia di fare, di allargare i propri orizzonti, di mettersi alla prova, di migliorarsi» sembrano essere sempre più i mantra delle nuove generazioni nella costruzione del proprio futuro.

Venezuela VS Italy

Editing by Margherita Ravelli

This week Pequod went back to the reality of immigrants in Bergamo. This time we had a chat with Albanelis, a girl from Venezuela.

Albanelis, could you introduce yourself to Pequod readers?

I’m Albanelis, I’m 25 years old and I’m from Venezuela. At the moment I live in Bergamo, Italy. I’m unemployed.

Why did you decide to leave your country?

When I was a child, my mother got married with an Italian man and they decided to live in Italy .

Why did you choose Italy?

I couldn’t choose where to live. Probably, if I could choose, I would not live in Italy. But now this is my country – I came here when I was 8, so now I am Italian, even though I still consider myself an immigrant.

Describe your life in Italy (your occupation, your everyday life, social life, etc.). Tell us something about the city you live in (top 5 places to be, where to go, what to do – be our tourist information center!)

I don’t work, so don’t have many things to do. I spend a lot of time at home, doing the chores just to spend some time. I also like to go out and meet some friends. In the afternoon, I meet my boyfriend, he is an immigrant, too. He comes from Senegal and we usually hang out in bars where there are other Latin Americans or Africans.

In my opinion, the most beautiful places in Bergamo are Città Alta, especially San Vigilio, the castle from which you can see Bergamo, the countryside, the mountains and, if you’re lucky, even Milan! I also like Orio Center, a huge shopping mall, because I love shopping.

In the evening, I love to go out for dancing: there are a lot of latin places in Bergamo, probably because there are a lot of Latin Americans living here.

View of Bergamo from San Vigilio
View of Bergamo from San Vigilio

 

How is living in Italy different than living in your country?

I really can’t say that I know Venezuela’s reality because I was a child when I left my country. Plus I was living with my mum, who is from Dominican Republic. Only my dad is still living in Venezuela . I know better how you can live in Santo Domingo, where my maternal family lives – there people are more easygoing and happier, you cannot feel alone. For me, Venezuela means charisma, union and love, while Italy means work, opportunity and sacrifice.

Which is the biggest challenge of moving to a new country? Have you had any regrets so far? What do you miss the most?

The biggest challenge has been leaving my dad, I miss him! But I have not regrets: I like Italy, it’s my country and where my friends and most of family live. Also, Italy is the place where my nephews are born and where I met my boyfriend. I miss Venezuela’s weather and food; I like eating Latin American restaurants. And also the houses: in Venezuela they are way bigger!

What does Europe mean for you? Do you perceive the existence of Europe as a community?

I don’t know what to say about Europe: I don’t really have a definition of this concept, so I suppose there’s no such European Community in European reality.

What would you say to someone to convince him to move abroad? What’s the best thing you’ve got/you’ve learnt by your experience abroad?

I really cannot find motivation to move abroad. Even if I believe that travel is constructive, I don’t think that there are particolar reasons for leaving Venezuela and coming to Italy; I’m here just because my mum got married. But here I’ve learnt some important things, like earning a living – here I discovered the satisfaction of buying something with the money that you earned.

Reg. Tribunale di Bergamo n. 2 del 8-03-2016
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