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Firenze a colori

«Che bella la vostra parlata! Adoro la “c” aspirata che diventa h…si sente proprio che sei Toscano».

Questo è l’ever green che sento ogni volta che apro bocca presentandomi a una persona.

SantaCroce
Basilica di Santa Croce

Ma si deve stare molto attenti quando si parla di provenienza con un Toscano! Conviene usare la regola matematica della scomposizione all’infinito; definirsi toscano, in questo processo, è solo il primo passo. Guai, ad esempio, a dare del Fiorentino a un Senese o viceversa!Retaggi di rivalità rinascimentali che la storia difficilmente spazza via. Anche qualora abbiate la fortuna d’imbattervi in un Fiorentino, nel senso più geografico del termine, state attenti a dare per scontata la sua origine. Per non ingannarvi considerate Firenze un numero primo e continuate a scomporlo per due. Storicamente avrete Guelfi e Ghibellini, ulteriormente divisi in Guelfi Bianchi e Neri. Anche oggi si deve ragionare così: una città che è tagliata in due da un fiume che funge proprio come una linea di frazione. Quindi avremo il “di qua d’Arno” e il “di là d’Arno”, che per intendersi sarebbe la sponda dove troviamo il Duomo e il Palazzo Vecchio, contrapposta a quella dove c’è la chiesa di Santo Spirito e Piazza del Carmine.

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Piazza Duomo

Firenze è una piccola città o una città piccola? Il quesito può sembrare fine a se stesso, ma rileva la ricchezza estetica della città: vista da fuori appare come un grande villaggio, ma il piccolo centro urbano nasconde nel suo cuore umanistico spazi immensi. Al microscopio, la distanza fra una via e l’altra, fra una strada e l’altra, fra una piazza e l’altra è immensa, e spostarsi di pochi metri, in Firenze, è come spostarsi di molti chilometri. Questo spostamento non è solo geografico: comporta differenza d’identità e di spirito d’appartenenza, per cui come una matriosca infinita si potrà trovare chi dice di venire dalla Toscana, anzi da Firenze, anzi da San Frediano (e se vi pare poco è solo perché ho deciso di porre un limite).

Chiesa di San Frediano
Chiesa di San Frediano

Il periodo migliore per cogliere con evidenza questa corrispondenza fra differenza d’identità e quartiere di provenienza è certamente nel mese di Giugno, durante l’annuale competizione del Calcio Storico. La manifestazione ha origini antichissime: la prima edizione ebbe luogo il 17 febbraio 1530, quando sotto l’assedio di Carlo V, le truppe fiorentine vollero schernire il nemico iniziando una partita a palla in Piazza Santa Croce. I soldati elaborarono una riproduzione sotto forma ludica di un allenamento di mantenimento, l’harpastum, che in termini di durezza, fatica, impegno e sacrificio prevedeva una preparazione di tipo militare.

Fino ad oggi, le squadre dei quartieri fiorentini si affrontano nelle tre partite che compongono il torneo del calcio in livrea, due semifinali e la finale, che si svolge il 24 Giugno, festa di San Giovanni, patrono di Firenze.

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In origine i colori e i quartieri corrispondenti erano solo due, i Bianchi e i Verdi: si scontravano il “di qua” e il “di là” dell’Arno. Oggi i Bianchi di Santo Spirito, i Rossi di Santa Maria Novella, i Verdi di San Giovanni e gli azzurri di Santa Croce rappresentano i quattro quartieri della città, con le rispettive chiese di cui portano il nome.La piccola Firenze si divide in quattro atolli, ognuno col proprio quartier generale, il proprio popolo e il proprio colore; ognuno pronto a “scendere in piazza” e dar battaglia per affermare la propria identità, prima che come Fiorentini, come gente del quartiere.

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Muovendosi per Firenze durante i giorni del torneo si è travolti da un tripudio di colori, di motti di scherno, di sfottò fatti e subiti. Sarà bello farsi trascinare nella città da questi colori e muoversi da una chiesa all’altra, da un rione all’altro per vedere, conoscere, capire un mondo. Non giudicate i Fiorentini né da lontano né da vicino ma entrate nella città, nei quartieri che spesso sono un gomitolo di strade che parlano da sole. Incamminatevi dal Battistero di patria Verde e ascoltate le gesta di Gianluca Lapi, uno dei calcianti più famosi della storia detentore a oggi del record di caccie (punti segnati); scendete fino a piazza Santa Maria Novella per sentire nei bar e nei piccoli esercizi commerciali, che ancora resistono al macro mondo, cosa si mormora nella Tana delle Tigri Rosse. Fatelo con rispetto, senza timidezza o permalosità. Poi rimettetevi in viaggio, che tanto Firenze di questa stagione è ancora più bella e vi farà luce fin dopo il Duomo, quando da via dell’Anguillara scorgerete terra in vista. Quella è Piazza Santa Croce con la sua cattedrale, che risveglierà ricordi adolescenziali di lezioni a liceo in cui si parlava degli illustri Machiavelli, Foscolo e Michelangelo, ora lì sepolti. Se le vostre orecchie hanno ancora voglia di ascoltare e il cuore d’imparare, domandatedegli Azzurri e dello Zena, anche lui a suo modo illustre della cultura fiorentina e leggenda vivente dell’antico “giuoco”. Attraversate ponte Vecchio o ponte santa Trinita e scoprirete un’altra dimensione. Un quartiere popolare, vivace, a misura d’uomo. Siete a casa dei bianchi e potete girare tra Piazza Santo Spirito e via San Frediano, lasciarvi cullare dai racconti dei vecchi che nei Bianchi ci hanno giocato, di chi ha vissuto la piazza e vive un quartiere storicamente popolare e popolano.

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E’ tutta qui Fiorenza. Un quadrilatero di quartieri, quattro colori, una manciata di uomini pronti a darsi battaglia; e per cosa? Molti li giudicano folli, pazzi, delinquenti. Altrettanti giudicano i Fiorentini superbi, spocchiosi, permalosi ed eccessivamente ironici.

Io suggerisco questo esercizio: non giudicate ma ascoltate. Tendete l’orecchio e ammirate, se potete, chi porta avanti una tradizione da cinquecento anni con lo stesso spirito. Chi sa prendere in giro la morte vive la vita meglio; chi ha il coraggio di restare fermo di fronteagli attacchi duri dell’avversario saprà mantenere un’identità ferrea, mentre il tempo fa scorrere la lancetta degli anni e dei secoli; chi fa vivere un quartiere fa vivere una città e la rende eterna. Firenze è lì, eterna; sono lì le sue chiese e i suoi colori. Chiedono solo di essere ascoltati.

Agostino Dessì: il maestro delle maschere

Alice Atelier è il luogo dove Agostino Dessì, sardo di nascita, ma fiorentino d’adozione, dà vita alla materia creando le sue magnifiche opere d’arte. Per tutti è il maestro delle maschere di via Faenza. La sua bottega è un brulicare di turisti che rimangono ammaliati davanti alle sue creazioni. Un continuo sospirare e meravigliarsi di fronte alle immagini scolpite nella forma dal maestro. Tutti sono pronti a scattare un’immagine da postare, condividere o semplicemente dimenticare. Ma il tutto fuori dalla bottega, perché dentro “bisogna lasciar libero l’occhio di poggiarsi dove più gli aggrada”. I soggetti e le allegorie sono molteplici, non tutti percepibili con uno sguardo approssimativo.

Inoltre, l’opportunità di aver conosciuto il maestro in circostanze diverse dal lavoro, mi ha permesso di instaurare con lui una forma di confronto sincero, elemento essenziale per la realizzazione di questo fotoreportage. La sua curiosità e il suo interesse genuino per le scintille artistiche scaturite dal mio obiettivo mi hanno profondamente colpito ed ho subito pensato che deve essere questa la semplicità che caratterizza i grandi artisti. In fondo lui è un uomo affermato, che ha girato il mondo, mentre io mi muovo timidamente alla ricerca di me stesso, eppure il suo interesse nei miei confronti si è dimostrato vero e mai forzato.

Infine i materiali: cuoio, bronzo, gesso. Su ognuno di essi è impresso un volto, e ogni creazione dona all’avventore sensazioni sempre nuove. Le fotografie che ho scelto vorrebbero essere un riassunto dello stupore e dell’ammirazione che ho provato la prima volta che sono entrato in questo piccolo ma al tempo stesso sconfinato luogo che è Alice Atelier.

Buona visione.

Ciò che sta dietro ad un GESTO

Gesto: fai il tuo è qualcosa di più di una semplice start up. E’ un modo diverso di vedere il consumo nell’ambito della ristorazione. Gesto è un ristorante aperto nella splendida cornice Fiorentina del quartiere di San Frediano. Ma non è la bellezza rinascimentale nel capoluogo toscano né il fascino del fondo storico nel quale il locale si inserisce e forse nemmeno il locale in sé a colpirci. E’ l’idea, o potremo dire l’ideale, delle due giovani fondatrici, Martina Lucattelli, proprietaria, e Giulia Tognarelli, architetto, di contribuire direttamente a creare un modello di consumo del cibo che non preveda sprechi di nessun tipo.

Il ristorante è stato pensato in modo tale da evitare lo sperpero futile ed eccessivo che troppo spesso avviene nelle cucine e nelle sale. L’insieme di idee semplici e originali scelte da Martina e Giulia hanno fatto da ponte fra i principi etici di risparmio e rispetto e l’abbattimento di costi e spese con i quali quotidianamente si confronta chi in questo ambito lavora. Le ordinazioni non sono prese su carta ma su tavolette dove ogni cliente scrive ciò che ordina. I tavoli sono realizzati con assi recuperate dalle precedenti usate dai muratori. Le luci sono regolabili per tenere al minimo il loro consumo. Gli odori sono coltivati da coloro che li lavorano in grondaie riutilizzate come conche. Le posate sono il legno per ridurre al minimo gli sprechi di acqua nel lavaggio.

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Ma l’attenzione che GESTO rivolge è anche verso una scelta dei prodotti nel totale rispetto dell’ambente e a favore di una qualità e di un migliore gusto. La carne, ad esempio, è presa esclusivamente da allevamenti etici, ossia dove l’animale viene allevato allo stato brado e macellato in loco.

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La bellezza e la nobiltà della funzionalità. E’ senza ombra di dubbio questo che viene in mente quando si conosce Gesto. Un’esperienza di approccio al cibo elevata nei suoi principi, genuina nei suoi sapori, esteticamente amabile, proporzionale nel rispetto del mondo e dell’uomo e economicamente accessibile a tutti.

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Nell’interno del locale fra il legno e il ferro dominanti nell’arredamento, su una parete sono dipinti i volti di Terzani, Pier paolo Pasolini, Margherita Hack, Giovanni Falcone ed altri. Personalità che hanno lottato e portato avanti principi per rendere il mondo un luogo migliore per tutti. Quei volti, quegli occhi sono quelli a cui Martina si ispira.

Grazie al successo ottenuto, nonostante il locale abbia aperto da poco, Martina pensa già una catena di ristoranti GESTO. Luoghi dove l’attività commerciale della ristorazione porti alla sensibilizzazione verso questo tipo di consumo non consumistico, dove l’esperienza del cibo (ai tempi di EXPO potremmo dire) torna ad essere un’esperienza moralmente rilevante che ognuno di noi può fare. Una realtà praticabile da tutti, perché ciascuno appunto può fare il suo.

“Fochi” a Firenze

Se fosse un indovinello non sarebbe semplice da risolvere: ci sono i fuochi d’artificio, ma non è capodanno; ci sono centinaia di turisti ad ammirarli in una delle più belle città d’arte del Mondo, eppure non siamo nelle festività natalizie. Tutto quello di cui vi parleremo oggi avviene a Firenze, ed avviene la Domenica di Pasqua.

Certamente se dovessimo chiedere quali sono le prime parole che vengono in mente a pronunciare il nome del capoluogo Toscano, potremmo stilare un elenco che parte da piazzale Michelangelo, passa per Duomo, Battistero, Dante per finire, immancabilmente, sulla bistecca alla fiorentina, o sul Lampredotto per i più esperti (comunque sia a tavola).

Forse non molti sanno che questa città, oltre ad essere patria di un’incommensurabile patrimonio artistico, culturale, gastronomico è anche la dimora di antichi festeggiamenti che da secoli si sono susseguiti fino a giungere ai giorni nostri. Oggi vi parleremo dello “Scoppio del Carro”.

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 La consueta cerimonia si svolge fin dal 1101 quando il fiorentino Pazzino de’ Pazzi, tornato da Gerusalemme, fu premiato da Goffredo di Buglione per essere stato il primo a salire sulle mura della città santa ed apporvi l’insegna dei crociati, con tre pietre della città, conservate da allora in varie chiese fiorentine. Da allora fu usanza ogni Sabato Santo accendere il fuoco con le pietre e portarlo in processione per la città recitando laudi che inneggiano alla forza purificatrice del fuoco pasquale. Col tempo la cerimonia divenne sempre più articolata fino a quando si decise di avvalersi di un carro trionfale a tre piani, a Firenze detto “brindellone”, dal quale si genera lo spettacolo pirotecnico.

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Ad oggi la manifestazione ha inevitabilmente assunto connotati diversi benché non meno suggestivi ed affascinanti. Prima dello scoppio per le strade della città sfilano 150 fra armati, musici e sbandieratori del calcio storico fiorentino. Giunto in piazza del Duomo, il corteo si ferma e fa da perimetro ad un ampio spazio nel quale due possenti, bianche chianine trasportano il carro. Allontanate le bestie e collegato il Brindellone con un cavo d’acciaio all’interno del Duomo non resta che aspettare il momento in cui un razzo, con la forma di colomba, che i fiorentini chiamano “colombina”, parta dall’interno della cattedrale, colpisca il brindellone e dia il via allo spettacolo di fuochi artificiali che per 20 minuti illuminano la piazza e rubano la scena ai grandi monumenti che la fanno da protagonista i restanti giorni dell’anno.

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Tutti a naso all’insù fiorentini e non, tutti con le bocche aperte, i cellulari e le macchine fotografiche alla mano a portare avanti una storia, quella fiorentina, fatta di lotte intestine, campanilismi, brigate opposte, ma che trova nei suoi riti collettivi le effigi di un’identità unica, unitaria che tutti accomuna, nel nome della bellezza, nel nome della civiltà, sotto il rosso e bianco della città gigliata.

VIVA FIORENZA!!!

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In copertina: Fuochi d’artificio sopra Ponte Vecchio, Firenze [ph. Martin Falbisoner CC BY-SA 3.0/Wikimedia Commons]

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