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La ruta del Desierto: i colori di Atacama

Percorrere la Ruta del Desierto è un’esperienza che regala paesaggi mozzafiato. E’ la strada che collega le estremità dell’immenso Deserto di Atacama.

Si passa dalla desolazione dei luoghi più remoti alla caotica frenesia delle città. Queste ultime sembrano isole lontane e scomunicate tra loro. Nei centri abitati la vista è quasi surreale, si scorgono contrasti cromatici molto forti: il giallo secco e arido della sabbia, l’azzurro intenso del cielo, il profondo blu dell’oceano, sfumato dalla spuma bianca delle onde che si rompono su se stesse senza sosta, il grigiore di case tutte uguali da dove spuntano, di tanto in tanto, edifici altissimi.

Penetrando nella distesa di sabbia, la presenza dell’uomo si fa più rara e lascia spazio ai disegni della natura. Il paesaggio è riarso, assetato, il sole impera e si rispecchia nelle macchie di sale e acqua che si incontrano ad alta quota. In primavera il deserto rinasce e ci fa scoprire l’incanto della fioritura che irrompe con forza nel panorama brullo.  La vivacità del lilla, verde e dell’azzurro  dipinge il deserto con giochi di luci, colori e aromi inusuali e meravigliosi.

 

Il fascino latino della cultura

L’associazione più frequente che viene in mente è quella con le baby gang, poi le storie di violenze, traffici di droga e le connessioni con il crimine organizzato italiano. Quando si parla di America meridionale, a parte che per le spiagge e tumbler colmi di mojito da sorseggiare sdraiati all’ombra di una palma, non vengono in mente immagini di sviluppo e progresso.

Forse è un filo rosso che lega tutti i “sud” del mondo. Pensiamo a ciò che noi italiani immaginiamo pensando al nostro sud. Forse. Il punto però, è che esistono realtà di cui non riusciamo nemmeno a definirne il peso specifico a livello sociale. Associazioni, nomi e numeri per fare sentire la voce, e non solo, di un’intera comunità che, lungo la nostra penisola, rappresenta più del 7% della popolazione straniera residente in Italia. Secondo i dati diffusi dalla fondazione Moressa (link) 354.186 immigrati latino americani. Il 62,7% sono donne; 66 mila i minori a scuola. La nazionalità più rappresentata è quella peruviana (98.603), seguita da quella ecuadoregna e da quella brasiliana .

Tra le tante iniziative messe in piedi dalle varie associazioni presenti nel nostro territorio, risulta da segnalare l’Associazione per la Promozione della Cultura Latinoamericana in Italia (APCLAI ) che dal 1985 si occupa di valorizzare gli aspetti della cultura dell’America meridionale attraverso forme espressive artistico-letterarie.

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In particolare, segnaliamo il festival del cinema Latino Americano di Trieste (link) – dove la stessa associazione è ormai radicata – che da anni ospita eccezionali opere prime, accompagnati dalla presenza costante di artisti e intellettuali di levatura internazionale.

Da Marcela Serrano a Luis Sepulveda, a Santiago Pol e Marco Müller (Direttore del Festival di Venezia), molte personalità, negli anni, hanno dato lustro a questo festival che si svolge ogni anno nel mese di ottobre.

Non meno interessante, l’attività svolta dall’IILA (Istituto Italo-Latinoamericano) che negli anni ha saputo ritagliarsi uno spazio importante per le attività svolte sia in ambito culturale che dal punto di vista istituzionale, grazie alla collaborazione con istituzioni di profilo italiano ed europeo.

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Da otto anni, la stessa associazione, organizza il festival “América Latina Tierra de Libros” che quesst’anno si è svolta nell’ambito della XIV edizione di “Più libri più liberi” – Fiera nazionale della piccola e media editoria. Un’ulteriore occasione per ribadire come la cultura Latinoamericana tiene continuamente accesi i riflettori sulla propria letteratura, nel solco della tradizione che l’ha segnata nei secoli e che ha consegnato i grandi narratori e poeti che ben conosciamo, da Garcia Marquez a Pablo Neruda, per citare i più conosciuti.

Una cultura -quella Latinoamericana- capace di ritagliarsi uno spazio ben definito nell’universo culturale e che oggi trae nuova linfa anche dal prezioso lavoro di queste comunità e associazioni.

Viaggi Vintage: il Perù degli anni ’80

Sono passati diversi anni da quando Antonella è stata in America Latina, all’epoca era una giovane sposa che amava la montagna e che col marito aveva deciso di scoprire le vette delle Ande peruviane; oggi è una signora in carne che ha ancora le montagne vicine, ma ha smesso di scalarle. Ogni qualvolta sente parlare di Perù, il suo sguardo si fa attento e tiene ben in vista in salotto il quadro di lana che ha portato dal suo viaggio; la realtà peruviana ha fatto breccia nel suo cuore ed è felice di condividere le sue esperienze, che più che di montagne, parlano di persone.

Antonella negli anni ’80 sull’altopiano peruviano.

Antonella Ferrari è partita per il Perù a metà anni 80 come membro di una spedizione CAI; all’epoca il solo aeroporto dello stato era situato a Lima, che come altre capitali dell’America Latina, dall’Ottocento aveva accolto molti migranti italiani.
«Quando noi siamo arrivati, gli italiani erano molti e vivevano da benestanti; avevano case basse e bianche, dagli ingressi rialzati e con giardini rigogliosi. Anche noi dormivano in un bellissimo albergo che nella hall ospitava fiori e colibrì e una delle prime sere fummo invitati in un ristorante di lusso su palafitte.»
Qui la prima immagine di realtà locale: «Lungo il pontile d’ingresso c’era un indigeno che suonava un carillon a manovella, mentre una scimmia ballava. Il nostro ospite commentò: “Povera scimmietta!” Io gli risposi: ”Povero lui!” Ed ebbi un blocco allo stomaco per il resto della cena.»
Tra gli italiani che incontrarono, Padre Taddeo accolse a braccia aperte le medicine destinate alla baraccopoli di Gnagna di cui era direttore, un addensamento di casupole in terra e sterco raccolte attorno a chiesa e scuola, e regalò loro un ricordo unico: «Accompagnammo il Padre ad un funerale; entrammo in una stanza di terra che ospitava una bara di ferro e dopo che fummo presentati, i famigliari ci strinsero la mano: erano onorati che degli stranieri fossero giunti da lontano per salutare il loro caro defunto.»

«A Lima passammo pochi altri giorni e li vivemmo da turisti; la città era piacevole, con il mercato stabile in cui gli indigeni vendevano i loro prodotti dentro casupole stipate d’ogni tipo di merce: dai mestoli ai vestiti in lana di alpaca, dai tappeti ai gioielli in bronzo imitanti gli splendidi monili del vicino Museo dell’Oro. Avrei voluto portare tutti quei colori a casa con me! Ricordo che mi colpì un piccolo presepio, chiuso in un guscio di noce.»
Il resto del mese trascorso in viaggio fu speso scalando le montagne; il gruppo di Antonella si allenò sulla Cordigliera Nera, raggiunta sfidando i precipizi con un piccolo pulmino stipato d’umanità e animali, e sfidò i 6768 metri del Huascarán; attraversarono Machu Picchu, ne sorvolarono i dintorni; raggiunsero Cuzco.
Qui l’episodio che più s’impresse nei ricordi di Antonella:
«Un padre semivestito, magro fino a mostrar le costole, portava per mano la sua bambina, coperta solo con una maglia larga, scalza. Attraversavano il mercato e uno dei miei compagni si avvicinò a me chiedendomi di portar loro il denaro che mi porgeva; io ero piccolina e magrolina, con discrezione mi avvicinai all’uomo. Questi quando gli porsi il denaro s’inginocchiò davanti a me e ringraziò Dio. »

Antonella oggi, accanto ad alcuni souvenir di viaggio, tra cui il quadro di lana portato dal Perù.

Buscando a Gastón, riscatto sociale e cucina politica

Maggiore attenzione ai prodotti alimentari e alla loro filiera produttiva, tutela dell’ambiente e delle specie che lo abitano, riscoperta di processi slow: questi i temi che animano la discussione mondiale attorno al cibo. A questa si è accompagnata, nel corso dell’ultima decade, una massiva produzione di cinema documentaristico specializzato nel racconto legato all’ambiente culinario. Proprio tra qualche settimana la sezione Kulinarisches Kino della Berlinale, curata da Thomas Struck e realizzata in partnership con l’International Slow Food Movement, compie il suo 10° anniversario, con il motto “Make Food Not War”.

Proprio dalla selezione Berlinale 2015 arriva Buscando a Gastón dell’indipendente Patricia Peréz, autoprodotto con la sua Chiwake Films. Dopo 14 anni di esperienza in produzione e televisione tra Perù e Stati Uniti, la Pérez decide di rivolgersi solo al food film. Il lavoro Mistura. The Power of Food (https://vimeo.com/21245206) parte dall’annuale “feria gastronomica más importante de Latinoamérica”, Mistura (http://mistura.pe/), fondata nel 2007 e organizzata dall’Apega (Sociedad Peruana de Gastronomía), per porre l’accento sullo stato di salute del Perù, paese che si è alzato in piedi dal Duemila imbastendo una rivoluzione che passa dal «nuevo escudo national», la cucina, guidata da un leader, il cocinero Gastón Acurio.

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Già fondatore dell’Apega (e di Mistura), classe 1967, Gastón nasce all’interno della borghesia limeña, figlio dell’ex-senatore Gastón Acurio Velarde, ministro del governo Terry, che lo spinge a studiare legge in Europa. A Parigi, dove viene meno il controllo, il giovane Gastón però abbandona giurisprudenza per dedicarsi alla cucina: la tradizione francese – negli anni ’90 ancora la più lodata e raffinata cucina del mondo – e l’incontro con la futura moglie Astrid Gutsche alimentano la passione e la ricerca gastronomica. Ma è il Perù, il paese natio, dove Acurio desidera di tornare a lavorare: qui si trasferiscono nel 1993 e un anno dopo apre Astrid&Gaston – Haute cucine, a Miraflores. Si parte dalla cucina francese, integrando le contaminazioni della tradizione peruviana dalle conquiste spagnole in avanti (500 años de fusión titola uno dei libri di Acurio) e la ricerca di sapori e profumi autoctoni.

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Vent’anni dopo, nel 2013, Gastón Acurio è un uomo che ha votato se stesso alla realizzazione di un progetto d’impianto sociale, alzando il coperchio della fumante ricchezza culinaria del Perù (e del latinoamerica), creando occupazione, istruzione e urbanizzazione delle periferie: l’Istituto de Cocina Pachacútec per le nuove generazioni; appoggio a progetti per l’infanzia dedicati alla cultura del cibo salutare e naturale; esportazione e utilizzo dei prodotti tipici. Largamente divulgativo e promozionale, Buscando a Gastón manca di un vero intento cinematografico, ma restituisce il ritratto di un personaggio carismatico e consapevole della ricchezza del suo ruolo e del suo Paese. Acclamato dalle folle, Acurio parla allo spettatore attraverso drammatici primi piani in bianco e nero (gli stessi riservati alle interviste illustri a Rene Redzepi, Massimo Bottura, Rodolfo Tafur). Il resto è a colori: un giro nei suoi ristoranti, da Lima a San Francisco all’Europa; un viaggio tra le tipiche comunità lavorative peruviane; riconoscimenti internazionali e scene di vita quotidiana. «Il futuro è l’identità locale ma rivista in versione globale», sentenzia il saggio Acurio.
Al di là del film, nel 2016 i rumors lo vedono – non troppo a torto – ad un passo dalla candidatura politica. Se così fosse, ci sarebbe da chiedersi se il vero riscatto sociale (e politico) del Perù passi davvero dalla sua cucina o se rischi di essere ancorato all’immagine carismatica di Gastón.

 Territorio y Acción Colectiva – when people shape territories

It is extremely hard to define which path to development the societies should follow. It is even harder to establish which kind of development can be considered as sustainable. But I strongly believe that when people become protagonists and crucial actors of their own territories, this should be perceived as boosting development processes.
This is the reality that I found in Talca, Maule Region, Chile. Here, I spent few months to take the final internship of my master degree in Local Development at the University of Padua. I arrived in Chile with the will, the hope and the desire to put in practice my academic background and I had the opportunity to work for Surmaule, an NGO working for 10 years in the city of Talca. The peculiarities of this association are the deep commitment for the public issues and the strong bond with the different social actors in order to encourage and promote the territorial transformations and processes of change. Through the training, education, collective work, the empowerment, the articulation of the actors and the analysis of social processes, Surmaule boosts the democratic and participative construction of the society. In 2015, the NGO developed 12 different projects with the communities of the city and the region, enhancing their capabilities to create networks, manage and impact the public agenda.

Las Américas, Talca
Las Américas, Talca

Among the several projects, I chose to work as a trainee in Territorio y Acción Colectiva– TAC” (Territory and Collective Action).  This project was born two years ago and aims to enhance the capabilities of local actors, by turning them into the motors of the development of their own territory, by means of prioritisation of actions and planning strategies. The project has been implemented in three neighbourhoods of Talca (Las Américas, Territorio 5 and Unidad Vecinal 46), in the northern peripheral part of the city. The projects have been carried out in the different neighbourhoods in different moments, but the methodology used has been the same for all the territories.

The process consists in 5 steps: first, meeting the inhabitants and trying to understand with them which are the most relevant problems of the area; second to organize an educational process during which people bolster their knowledge about citizenship and democracy; third to map their territory and identify where and how the several problems appear; fourth to produce an assessment of the social study of the territory in which people can describe their territory, its needs and potentialities and define their strategies of action. Finally, the inhabitants and the most important actors of the neighbourhood establish a territorial table, whose aim is to start debates and dialogues with public authorities in order to take actions and initiatives to improve the territories.  Thus, problems such as housing, transport, connectivity, environment, security, communitarian equipment, public spaces, communication and services are proposed to be solved by people with bottom-up strategies and perspectives.

The formative phase in the territory Unidad Vecinal 46
The formative phase in the territory Unidad Vecinal 46

In that way, people get to know, understand and strengthen their own territory. The latter stops to be seen as a given, fragmented and dead space and, thus, it becomes a social construction and product in which inhabitants become active actors of their area, by defining their needs and identifying their potentialities. Territories become territorialised, that is to say that people foster their capacities to stimulate processes of transformation. Moreover, in the perspective of collective action, people have, on one hand, the opportunity to build up processes of common knowledge, identity and values and, on the other, have the possibility to influence the relations of power and the decision-making processes  that often define and shape territories with a top-down perspective.

Urbanization in Talca
Urbanization in Talca

 In Chile, cities are often the product of the neo-liberal policies implemented during the Pinochet’s dictatorship that dominated the state for 17 years. This kind of city produces itself spatial fragmentation: the division of the space perfectly responds to the model centre/periphery and creates smaller territories. This dichotomy splits the city in smaller spaces. Each one of these “smaller territories” is more and more characterised by social and economic homogeneity and provoke inequalities among the different parts of the same cities. Not all the citizens have the same opportunities and access to the city: the peripheral areas still remain in a situation of segregation and social exclusion. Through the possibility to question and re-think their own space, the citizens are granted the chance to redefine and claim their right to the city.

Territorio 5 public report of its activities
Territorio 5 public report of its activities

The importance of experiences like TAC is to offer a concrete and alternative model to the individualised society. People start to build bond ties with their space, creating a background of trust and communication. Territory is being collectivised through the valorisation of its specificities and the empowerment of its human capital. The challenge that should be maintained and always called out is to incite and encourage the collective work of the civil society. The latter might always preserve its proactive role and be able to define its own ideal of territory and neighbourhood, by stimulating inclusive, democratic and participative processes

Contacts and information: 

http://surmaule.cl/ 
http://accionyterritorio.cl/

Il futuro rinnovabile dell’Uruguay

Quella che sto per raccontarvi è la storia di un piccolo Paese affacciato sull’Atlantico un Paese di 3,4 milioni di abitanti, un Paese che ha deciso di intraprendere una nuova strada. Il Paese in questione è l’Uruguay e la decisione che ha preso riguarda il rinnovamento del proprio sistema energetico. In meno di dieci anni, infatti, le emissioni di carbonio sono state drasticamente ridotte tanto che ora le energie rinnovabili soddisfano il 94,5% del fabbisogno elettrico del Paese. Tutto ciò senza particolari sussidi governativi o aumenti dei costi energetici per i cittadini. Anzi, al contrario i prezzi si sono  abbassati ed inoltre i black-out si verificano  meno frequentemente grazie ai diversi sistemi utilizzati per produrre energia pulita, quando invece in passato poteva succedere che le centrali alimentate solo con combustibile fossile non reggessero la domanda.

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L’energia rinnovabile proviene in buona parte dagli impianti eolici ma anche da quelli idroelettrici e dalle biomasse. I miglioramenti introdotti in questi settori, ed in particolare in quello idroelettrico, dove le dighe delle centrali trattengono più a lungo l’acqua dopo le stagioni piovose riducendo così i periodi di siccità senza causare alcun danno alla produzione energetica nazionale, si uniscono al clima che favorisce l’uso delle rinnovabili consentendo una grande produzione di energia. Più energia vuol dire poche importazioni dall’estero e, anzi, paradossalmente, nel caso in cui si avesse un surplus della produzione si sarebbe nella condizione di poterla vendere. Qualche anno fa, prima della “rivoluzione verde” tutto ciò sarebbe stato impensabile. Il petrolio rappresentava una buona fetta delle importazioni dell’Uruguay e, come se non bastasse, erano in cantiere progetti per comprare gas dall’Argentina. Ora, invece, la spesa che più incide sulle importazioni è quella per le turbine eoliche, una vera e propria inversione di rotta!

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Ma questo grande successo è stato possibile anche grazie alle politiche del Paese in materia energetica a cui si aggiungono una democrazia forte ed un’economia sana. Di conseguenza gli investitori stranieri trovano terreno fertile in Uruguay dove la concorrenza ha fatto abbassare notevolmente i prezzi degli appalti. Le tariffe agevolate e le spese di costruzione e manutenzione più basse e stabili, inoltre, garantiscono un profitto certo. L’energia rinnovabile è diventata un business in Uruguay: sette miliardi di dollari, pari al 15% del PIL nazionale annuo, sono stati investiti in questo settore, cinque volte in più rispetto la media dell’America latina.

Una pala eolica a Tarariras, a 180 chilometri ovest di Montevideo, Uruguay (MIGUEL ROJO/AFP/Getty Images)

È vero, il modello uruguayano non può essere adottato da ogni singola Nazione perché le differenze sono troppe ed i contesti sociali, ambientali e politici vari.  Tuttavia prendere esempio non è vietato però, necessitano scelte decise e concrete, basta solo iniziare.

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