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Liuteria e banjos, l’arte antica di Alioscia Alesa

A Romano di Lombardia, docile paese adagiato sulle sponde del fiume Serio, in provincia di Bergamo, si trova un piccolo garage che invece che dar riparo a macchine o motociclette, offre le proprie mura al laboratorio di Alioscia Alesa Ferrara, il liutaio bergamasco dal nome russo specializzato nella lavorazione di banjos. Noi di Pequod, attratti dal richiamo di una professione antica, siamo andati a incontrarlo per farci raccontare la sua storia. E capire come sopravvivono al giorno d’oggi gli artigiani, in un mondo sempre più improntato all’automatismo e alla riproduzione meccanica.

Dopo gli studi liceali nell’ambito artistico, Alioscia è indeciso fra lo studio delle lingue scandinave e l’Accademia delle Belle Arti di Brera, a Milano. D’improvviso, l’illuminazione arriva da un amico: “Ma perché non ti iscrivi a una scuola di liuteria? Potresti così crearti una chitarra a forma d’ascia!”. Spinto da questa nuova sfida, Alioscia si iscrive alla Scuola Civica di Liuteria a Milano, in via Noto, dove incontrerà finalmente la sua vera passione: il banjo. «Fra tutti gli strumenti ho scelto proprio il banjo perché mi sono sin da subito innamorato del suono. Un suono antico e atavico, che mi conduce fino a mete lontane, capace di trasmettermi un senso di distanza». Il tipo di banjo preferito da Alioscia è l’Old Time Banjo. «Mi piace il suono di questo strumento e mi piace visivamente. Rapportarmi con il banjo mi dà due emozioni diverse: costruirlo mi appassiona – a volte ho la sensazione di partorire – mentre suonarlo, per me, è come giocare».

La firma di Alioscia è la lettera “A”, un richiamo alla mezza Luna innestata sulla paletta dei suoi strumenti.

Conoscere e scegliere artisticamente il legno per i propri banjos sono altre caratteristiche del liutaio di Romano, che dà vita agli strumenti senza essere vincolato dai parametri preesistenti sulla costruzione degli stessi. Le tipologie di legno predilette, e di conseguenza più utilizzate, sono il mogano, l’acero, il noce e il ciliegio. Il timbro e il suono che si vogliono trasmettere a uno strumento dipendono invece da vari elementi e dalle sottili combinazioni tra essi. Un esempio è la parte circolare su cui poggia la pelle: può essere in legno o in metallo, la scelta di uno o dell’altro dipendono prima di tutto dal tipo di timbrica che si sta cercando. E per quanto riguarda il tipo di pelle che si vuole applicare allo strumento? «Normalmente la scelta ricade sulla pelle sintetica perché più resistente e più pratica rispetto a quella animale – risponde Alioscia -, non subisce troppo gli sbalzi di temperatura e umidità oltre che risultare più “collaborativa” nella fase di installazione. Accadono invece casi di sostituzione della pelle sintetica con quella animale, sempre per una questione legata alla ricerca di una determinata sonorità timbrica, legata altresì al tipo di musica che si sceglie di suonare».

Affascinato dalle sonorità semplici e dirette, Alioscia si dedica anche alla costruzione di dulcimer (in foto). Ma non solo Old Time Banjo e dulcimer, il nostro liutaio si dedica altresì a banjo-ukulele, banjo-chitarra e banjo a 4 e 5.

Dopo aver ascoltato una strimpellata e qualche accordo, chiediamo ad Alioscia quale sia il suo tipo di clientela ideale per scoprire come l’originalità sia il punto chiave della sua arte: «I miei clienti giungono sino a Romano attratti dal passaparola. Non vendo nei negozi perché non mi conviene e, soprattutto, perché preferisco un mercato di nicchia. Per scelta personale, preferisco creare strumenti unici e peculiari, considerati al pari di oggetti d’arte». Nonostante uno strumento di liuteria sia tendenzialmente più caro rispetto allo strumento che si può acquistare in negozio, il banjo rimane tuttavia in una sfera che possiamo definire di «liuteria semplice». Il banjo è difatti soggetto a un percorso di lavorazione meno lungo e complicato rispetto a strumenti come la chitarra o il violino.

Cinque anni fa, Alioscia ha cominciato altresì ad avvalersi del sito “Alesa Banjos” per diffondere la sua arte, consapevole della portata di Internet, una vera e propria finestra sul mondo in generale e sul mercato dei banjos in particolare. «Specialmente tramite i profili Social media, come ad esempio Facebook, dove puoi mostrare ai tuoi clienti cosa si cela dietro la tua attività o metterti in contatto con altri artisti. Questa rete, mi permette persino di mostrare come si costruisce uno strumento musicale».

Ma cosa significa essere un artigiano all’inizio del XXI secolo? È un mestiere destinato a scomparire pian piano? Lo abbiamo domandato ad Alioscia, che subito smentisce le nostre grezze deduzioni: «In verità ci sono più liutai oggi che in passato. In questi anni ho notato come le persone si stiano riavvicinando al lavoro manuale e all’unicità di un prodotto, come se volessero allontanarsi dalla velocità dell’industrializzazione e del lavoro alienante in favore di una maggior qualità di impiego e di stile di vita».

Articolo di Sara Alberti e Francesca Gabbiadini. Fotografie di Francesca Gabbiadini.

NIYA – Che suono fa la felicità?

Da sempre la musica è considerata collante sensoriale per eccellenza, coinvolgente, indiscreta, per tutti.

Negli anni il cambiamento trasversale ha dato luce a sempre più generi musicali, a mezzi di fruizione e strumenti sempre diversi e più tecnologici; ad oggi possiamo passare dall’heavy metal più pesante alla canzone partenopea tradizionale, dalla leggerezza delle note di Einaudi all’ultima hit di Lady Gaga semplicemente premendo un pulsante.

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Ma c’è un progetto, nato tra le colline della bergamasca, che mette in primo piano la riscoperta delle più antiche sonorità legate alla natura, ispirandosi alla cultura indiana d’America degli Sioux lakota: è il laboratorio di strumenti musicali artigianali di Maurizio Barba e Ileana Ferrara, marito e moglie entrambi musicisti che nel 2013 hanno deciso di rischiare fondando NIYA (letteralmente “spirito”), trasformando una passione in qualcosa di più concreto.

Tutto è nato dall’idea di aprire un negozio che ha aperto loro un mondo nuovo alla scoperta di questa cultura, apprendendone tecniche e tradizioni; dapprima cimentandosi nella realizzazione di strumenti musicali partendo da immagini e fotografie, in seguito perfezionando la tecnica scegliendo i legni e le forme più adatte da personalizzare con decorazioni tipiche della cultura aborigena, come il dot paint.

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Un momento di transizione che ha spinto i due artisti all’idea di portare a Bergamo un negozio di strumenti etnici musicali ancora in uso, che non sono la solita chitarra fender, come ci racconta Maurizio nel corso dell’intervista: «C’è la voglia di portare la liuteria in primo piano, è proprio questa che dovrebbe avere importanza, l’importanza di apprendere e conoscere l’essenza di una chitarra, di uno strumento, dai materiali scelti alla tecnica di creazione, piuttosto di uno strumento prefabbricato che arriva dall’industria».

Tra fiere e mercati dell’artigianato il negozio ancora non esiste, il laboratorio si trova a casa e, se già sfogliando la pagina facebook si resta affascinati dai colori e dalle forme, è fondamentale instaurare un vero e proprio rapporto materiale per capirne le sfumature. Spaziano dalla Musica di spettacolo alla Musicoterapia dal bambino curioso di otto anni, all’anziano che torna entusiasta per un nuovo acquisto, al musicista che prende uno strumento più dettagliato e professionale.

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Fiore all’occhiello del marchio leader nel settore del self-made in Italy sono la Kalimba in vero cocco – anche in versione elettrica – e la Kalimba Catania in legno massello, ma Niya è anche Cigar Box Guitar, la leggendaria chitarra Blues e Wood Drum a due, tre o quattro note.

Lo studio della propedeutica musicale verte ad avvicinare l’istinto naturale e primitivo dell’uomo come quello di tamburellare ai bambini, nelle scuole di infanzia, riportando la musica in primo piano nella comunicazione.

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Non mancano poi progetti futuri: «Al momento stiamo arricchendo il nostro catalogo di strumenti per arrivare a un progetto che partirà l’anno prossimo, grazie al quale uniremo alla musica il design di interni, faremo suonate letteralmente l’arredamento».

Le carte in regola ci sono tutte, un progetto innovativo, un’utenza felice ed entusiasta e progetti futuri che fremono, ma come nelle migliori storie non può mancare qualche ostacolo: il commercio eco-solidale locale al momento si è rivelato scettico rispetto a grandi metropoli come Milano o Parigi, ma siamo certi che il feedback positivo non tarderà ad arrivare, l’utenza bergamasca riuscirà a coinvolgere le varie realtà locali, arricchendone l’inventario.

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