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Il vento nero sull’Italia (e sull’Europa)

Da vent’anni Paolo Berizzi, giornalista de La Rebubblica, denuncia la presenza di formazioni di stampo neofascista e neonazista in Italia; da oltre un anno e mezzo vive sotto tutela per le continue minacce e atti intimidatori a causa delle sue inchieste riguardo ai nessi tra partiti, formazioni di estrema destra e criminalità organizzata.

Ad aprile è stato pubblicato il suo libro-inchiesta NazItalia. Viaggio in un paese che si è riscoperto fascista. Che si è riscoperto, appunto, perché, come afferma Liliana Segre, la senatrice a vita sopravvissuta alla Shoah, in fondo, fascista lo è sempre stato, ma solo adesso i tempi sono diventati maturi per una legittimazione di questo fenomeno.

Alcune delle manifestazioni di protesta contro il libro NazItalia di Paolo Berizzi, inclusa l’irruzione nella libreria di Padova.

Si aspettava una reazione così ostile al suo libro NazItalia?

Da una parte sì e ciò significa che ha colpito nel segno. Non mi aspettavo un’ostilità così sistematica e strutturale: cercano in tutti i modi di screditarlo perché è andato a toccare nervi scoperti, rivelando sponde politiche, finanziamenti, tutto ciò che è meno visibile e che è stato portato a conoscenza di un pubblico più ampio.

L’episodio avvenuto nella libreria di Padova può essere assimilato ad un atto intimidatorio di stampo squadrista?

È quello che è stato. Mentre stavo andando a Padova, la polizia mi ha avvisato che mi avrebbero contestato fuori dalla libreria. Distribuivano a chi entrava volantini con la locandina con il titolo di InfamItalia. Non mi sarei aspettato che sarebbero entrati, invece lo hanno fatto, scattando fotografie ai presenti come per schedarli. Fino a ieri queste cose non accadevano. Io dico sempre che è stato un successo aver portato i fascisti in libreria, ma è grave che si sentano sdoganati.

Quali sono le somiglianze e le differenze tra vecchio e nuovo fascismo?

I tratti comuni sono la tendenza alla prevaricazione e la negazione della libertà, fondamento della democrazia.

Si tratta, tuttavia, di un fascismo completamente diverso, non più quello del fez e della camicia nera. Agisce in forme inedite, difficili da riconoscere: è un fascismo liquido, disgregato, fatto da scorie impazzite. Accomuna queste formazioni il rancore verso il nuovo nemico, l’immigrato, il rom, in secondo luogo il sovranismo, il motto “prima gli italiani”, l’isolazionismo.

Le modalità con cui si esprimono sono fortemente sociali: si rivolgono alle fasce più deboli attraverso il cosiddetto “welfare nero”, rispondono ai bisogni primari dei cittadini laddove lo Stato è assente, sostituendosi ad esso. Questa è una novità.

Restano i simboli, diretta emanazione del fascismo e del Terzo Reich, ma la propaganda politica a volte sorprende, adotta forme del tutto nuove: si propongono come diversi dal regime dittatoriale. Questo è il paradosso dei fascisti di oggi: richiedono spazi e libertà politica, fanno le vittime quando sono stati loro a negare il diritto di parola e persino di esistenza.

Il giornalista Paolo Berizzi (secondo da sx) insieme a Nicola Fratoianni e Eleonora Forenza di Potere al Popolo, durante la presentazione del suo libro NazItalia a Bari il 23 ottobre.

Quali le responsabilità della sinistra in tutto ciò?

Le responsabilità sono tante. La prima è di non essere riuscita ad intercettare il disagio delle fasce più deboli della popolazione, non aver dato una risposta alle paure su cui l’estrema destra e la Lega di Salvini fanno leva. La conseguenza di questo è che la sinistra non si afferma al di fuori delle zone ZTL.

La seconda è quella di essersi allontanata dalle zone periferiche: la pasta, prima, la distribuivano le formazioni di sinistra o il cattolicesimo socialista.

La terza è quella di non aver capito che questa destra nazifascista si stava diffondendo nei piccoli comuni, nelle città, nelle metropoli. “Non c’è rischio” dicevano esponenti PD come Renzi e Minniti. Non hanno capito e hanno dato del visionario a chi ne denunciava il ritorno.

In Europa, ma non solo, si sta affermando il fenomeno del neofascismo. Quali le prospettive?

È chiaro che il “vento nero” è diffuso non solo in Europa, ma anche in altri continenti. Bolsonaro (l’attuale Presidente del Brasile, ndr) non ha mai nascosto il suo nazifascismo, è uno che dice di preferire “un figlio morto piuttosto che gay”, non nasconde le sue simpatie per le parole d’ordine che richiamano la violenza, per i metodi dittatoriali. Negli U.S.A abbiamo Trump, in Russia Putin.

In Europa il “vento nero” soffia da tempo, non solo dove l’Ultradestra è al governo, ma anche nel cuore dell’Europa, in Paesi come Inghilterra, Germania, Francia. E Italia. Salvini è stato il primo a intuire, con grande fiuto politico che gli va riconosciuto, che il vento stava arrivando anche da noi. Ha trasformato la Lega da partito autonomista, e, per un periodo, secessionista, a partito sovranista e centralista. È una creazione politica di Salvini, che vince con il sostegno di gruppi di estrema destra come Lealtà e Azione, ispirato ai modelli dei generali delle S.S. e di Corneliu Codreanu, capo delle guardie di ferro rumene.

Matteo Salvini a cena con i dirigenti di CasaPound nel 2015.

Quali sono le prospettive per le elezioni europee del 2019?

Il rischio di uno sfondamento nero e di una deriva autoritaria c’è: alle prossime elezioni si giocano gli equilibri e l’esistenza stessa dell’Europa. Si confermerà e accrescerà il peso specifico del blocco nero sovranista, di tutti quei partiti iscritti al cartello The Movement di Steve Bannon, tra cui la Lega. Non si sa quali potrebbero essere i risultati di questo fenomeno sull’Italia, ma i sondaggi e gli esiti delle recenti amministrative di Trento e Bolzano confermano la crescita della Lega di Salvini, il ministro degli Interni, responsabile delle Forze dell’Ordine, che coccola i fascisti, indossa i loro abiti e da mesi posta slogan quali “me ne frego”. Il cerchio si chiude, Salvini e i neofascisti sono da tempo sullo stesso terreno, nel 2014-2015 la Lega era alleata di Casapound, ora non più, ma l’amore non è certo finito.

Adesso è più sotterraneo questo legame?

Sotterraneo fino a un certo punto. Nei giorni scorsi ero a Bari ad un evento dove erano presenti Nicola Fratoianni e Eleonora Forenza di Potere al Popolo, una delle vittime dell’aggressione squadrista avvenuta a settembre dopo una manifestazione di Salvini. Il ministro degli Interni non ha condannato apertamente, ha solo detto cose generiche in merito. Infatti nel 2015 una foto lo ritrae in compagnia dei capi di Casapound.

Oggi c’è maggior consapevolezza del pericolo neofascista?

Forse sì, dopo vent’anni in cui le mie inchieste cadevano nel silenzio, vent’anni in cui la sinistra ha dormito. Ora se ne sono accorti, ma non abbastanza.

Oggi non è considerato un disonore l’essere fascista. Liliana Segre afferma che il fascismo c’è sempre stato, ma sono mutati i tempi, prima dirsi fascista era un’oscenità ora è caduta la pregiudiziale sul fascismo, non c’è nessuna indignazione.

Questo è un passaggio fondamentale: le nuove generazioni hanno poca memoria perché chi doveva tramandarla non c’è più, per questo è importantissima l’azione di Liliana Segre, che nelle scuole parla con i ragazzi della sua esperienza. Un Paese che non ha memoria non ha futuro. Tanti giovani non comprendono i rischi: questo li porta ad accettare le proposte di questi gruppi, a farsi incantare dalle sirene. Nelle scuole e nelle università agiscono formazioni di estrema destra, mentre prima i collettivi erano di sinistra. È importante informare l’opinione pubblica, le nuove generazioni. Bisogna conoscere l’avversario: alla base di tutto sta la conoscenza.

 

Foto gentilmente concesse da Paolo Berizzi (tutti i diritti riservati).

Destra, Sinistra e terzo incomodo

Il 4 marzo si avvicina e gli schieramenti affilano i coltelli per questa tornata elettorale: mai come ora il risultato si profila incerto e passibile di ribaltoni dell’ultimo minuto. Emerge un chiaro assetto tripolare con centro sinistra e centro destra insidiati dal Movimento Cinque Stelle, ormai forza pienamente affermata a cinque anni dalla prima comparsa sulla scena politica nazionale.

Offriamo ora una panoramica del ventaglio dei partiti che si presenteranno alle urne questa domenica.

La compagine di centrodestra appare composta da tre partiti che si contendono, con più o meno probabilità di riuscita, la leadership. L’ala destra dello schieramento è occupata da Giorgia Meloni con i suoi patriottici Fratelli d’Italia, nostalgici fin dal simbolo del vecchio MSI, che fanno del motto “prima l’Italia e gli italiani” il punto focale del programma: propugnano la salvaguardia del made in Italy, della famiglia tradizionale, delle radici nazionali contro l’islamizzazione messa in atto dagli immigrati. Le loro parole d’ordine sono “sicurezza”, “legalità” e “identità”.

Il simbolo della Lega presentato in occasione delle Politiche 2018 (© leganord.org / Matteo Salvini / CC BY-SA 4.0).

Sempre a destra, ma un po’ più a settentrione, nonostante il grande successo riscosso perfino in terra calabrese, si colloca la Lega del rampante e colorito segretario Matteo Salvini. Anche per i padani al primo posto sta la lotta all’immigrazione clandestina, all’islamizzazione, allo Ius Soli, considerato come un regalo spesso immeritato. L’ “invasione” sembra essere la preoccupazione di Matteo Salvini e dei suoi, che si ergono come baluardo dell’identità italiana e cristiana, giurando addirittura sul Vangelo come i presidenti americani fanno sulla Bibbia. Ma non sono soltanto gli immigrati a minacciare la sovranità italiana: un’altra grave minaccia è costituita dall’“Europa delle banche” che ci vuole “schiavi” e a cui la Lega risponde “No, grazie!”. Sul fronte della politica interna, cavallo di battaglia è la lotta alla legge Fornero, sgradita a molti, alla quale si oppone il diritto alla pensione dopo 41 anni di servizio; la “pace fiscale”, infine, prevede una tassa fissa per tutti (famiglie e imprese) al 15%.

Il fulcro dell’asse di centrodestra è occupato da Forza Italia e dal suo intramontabile leader Silvio Berlusconi, che, per evidenti impedimenti giuridici, si defila e propone come premier in pectore Antonio Tajani. Tra gli azzurri l’imperativo vigente è quello della riduzione delle tasse da compensare con un netto taglio alla spesa statale: la cosiddetta flat tax al (probabile) 23% consentirà di ridurre le sacche di elusione ed evasione. Altre proposte sono la cancellazione del bollo e delle imposte sulla prima casa, sulle donazioni e sulle successioni. Per la lotta alla povertà è previsto un aumento delle pensioni minime a 1000 euro per tredici mensilità.

Passando all’altra metà dell’arco costituzionale, il centro sinistra appare frantumato in almeno tre tronconi: il PD a guida renziana, Liberi e Uguali di Pietro Grasso e Potere al Popolo, che riunisce la galassia della sinistra d’ispirazione comunista. A differenza dello schieramento di centro destra che appare, nonostante le divergenze, solido, il centro sinistra è travagliato da un’annosa lotta interna.

L’attuale Segretario del PD Matteo Renzi durante una seduta del Parlamento Europeo nel 2015 (© European Union 2015 – European Parliament / CC BY-NC-ND 2.0)

All’interno del Partito Democratico, Renzi ribadisce i successi di questi cinque anni e rilancia per la nuova legislatura misure atte a sostenere il ceto medio, tra cui la riconferma degli 80 euro netti in busta paga, l’assegno mensile per le famiglie con figli a carico, la riduzione delle aliquote Ires e Iri sul reddito delle piccole e medie imprese. Altro punto di forza del programma è la creazione di nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato, con un occhio di riguardo all’occupazione giovanile e nel Mezzogiorno. Si ribadisce la piena adesione agli ideali europeisti, la difesa dell’ambiente, la valorizzazione del patrimonio culturale italiano. A braccetto con il PD si presenta +Europa di Emma Bonino che porta alto il vessillo dell’europeismo e dei diritti civili: dalla riforma del diritto di famiglia in favore dei matrimoni omosessuali e delle adozioni da parte di genitori gay, ai temi dell’eutanasia, della legalizzazione delle droghe leggere, della riforma carceraria.

Anche Liberi e Uguali – partito guidato da Grasso che riunisce fuoriusciti del PD (su tutti il trio Bersani, D’Alema e Speranza) ed ex-vendoliani, tra cui spicca la presidente della Camera, Laura Boldrini – mette al centro del programma il tema del lavoro, ma prende le distanze dal PD, puntando al superamento del Jobs Act e al ripristino del art. 18, nell’ottica della lotta al precariato e di una maggiore tutela dei diritti dei lavoratori. Sul piano fiscale si respinge ogni idea di imposta piatta e si prediligono invece imposte più progressive e più eque. All’alleggerimento dell’imposta Irpef che grava soprattutto su redditi e pensioni fa da contraltare l’introduzione a livello europeo della Tobin Tax sulle transazioni finanziarie e la tassazione dei profitti delle grandi multinazionali.

Infine, nella galassia della sinistra, troviamo lo schieramento di Potere al Popolo. Come dice il nome stesso è il popolo ad essere al centro del programma elettorale, popolo inteso come comunità accogliente e solidale. La giustizia sociale, la lotta alle ineguaglianze e allo sfruttamento dei lavoratori sono i temi centrali, a cui si affiancano l’accoglienza dei migranti, la salvaguardia ambientale, la lotta allo sperpero del denaro pubblico e alla corruzione.

Il candidato del M5S Luigi Di Maio al Wired Next Festival 2017, Milano (© Mattia Luigi Nappi / Wikimedia Commons / CC BY-SA 4.0)

Da ultimo il Movimento Cinque Stelle, capitanato da Di Maio, che fa della sua estraneità alle logiche della “vecchia politica” un punto d’onore. La proposta mediaticamente più lampante è quella del reddito di cittadinanza, che secondo i pentastellati risolverebbe ogni problema, garantendo dignità a tutti gli italiani. Marchi di fabbrica del Movimento fin dalle origini, riproposti anche in questa tornata elettorale, sono la lotta contro la corruzione della politica e l’abolizione dei finanziamenti pubblici ai partiti. La permanenza dell’Italia nella zona Euro, da programma, dovrà essere sottoposta a un referendum popolare; come pure dal voto popolare dovrà dipendere l’elezione di presidenti di Camera e Senato. Lascia abbastanza perplessi la proposta di introdurre un’unica rete televisiva pubblica.

Questi, in sintesi gli schieramenti e i punti programmatici più rilevanti. Abbiamo omesso il sottobosco di partiti e movimenti di estrema destra, quali Casapound e Forza Nuova, che bussano alla porta del 3%.

Sembra profilarsi un governo di larghe intese e un ritorno alle urne in autunno con una nuova legge elettorale che preveda un premio di maggioranza tale da consentire la governabilità del Paese. Ma la campagna, intanto, continua a imperversare, i conti si faranno solo a partire da domenica sera.

 

In copertina: il palazzo di Montecitorio a Roma, sede del Parlamento italiano (© LPLT / Wikimedia Commons / CC BY-SA 3.0).

Perché faccio politica nel 2017

Trovare giovani appassionati di politica in Italia nel 2017 non è un’impresa semplice, come testimonia il declino costante della fiducia nei confronti dei partiti nell’ultima decade. In base a una ricerca del 2013, solo il 4% dei giovani tra i 15 e i 25 anni si dice molto fiducioso nei confronti dei partiti e delle istituzioni, contro il 20% del 2006.

In questa situazione di crescente diffidenza nei confronti della politica, avere una vera e propria “fede” in un partito è decisamente fuori moda. La militanza diffusa degli anni Settanta è ormai un lontano ricordo e un concetto per lo più estraneo ai giovani.

Per questo motivo abbiamo invece deciso di parlare con chi una fede politica ce l’ha, eccome, e di capire con lui che cosa può spingere un giovane nel 2017 a credere in un partito e nei suoi ideali. Abbiamo perciò intervistato Cristiano Poluzzi, insegnante di storia di 26 anni, che è stato candidato sindaco di Rifondazione Comunista alle elezioni comunali di Dalmine (BG) del 2014, ed è un militante attivo del partito.

Cristiano Poluzzi durante la campagna di sensibilizzazione a favore del voto NO al referendum costituzionale 2016 (foto di Cristiano Poluzzi, tutti i diritti riservati).


Come e quando ti sei avvicinato alla politica?

La mia passione per la politica è nata a 17 anni, in quarta superiore, quando, per cultura personale, ho letto il Manifesto del Partito Comunista di Marx e Engels e i Manoscritti economico-filosofici del 1844 di Marx. Si è trattato quindi inizialmente di un avvicinamento per lo più a livello teorico. Nel giro di qualche mese, però, in concomitanza delle elezioni amministrative di Dalmine del 2009, sono venuto a sapere che il mio paese aveva un circolo di Rifondazione Comunista che si presentava con una sua propria lista. Nel corso della campagna elettorale mi sono quindi avvicinato al circolo, dove ho conosciuto i compagni grazie ai quali ho iniziato il mio percorso. Nel giro di un paio d’anni mi sono poi avvicinato anche alla federazione di Rifondazione Comunista di Bergamo, ma la presenza di un circolo locale all’interno del mio paese è stata sicuramente determinante perché io mi avvicinassi a questa realtà.


In seguito a questo avvicinamento, quali sono stati gli elementi che ti hanno poi convinto a rimanere e partecipare attivamente?

Gran parte del merito va sicuramente ai compagni del circolo di Dalmine, che hanno saputo valorizzare i giovani, tra cui io, che si erano appena avvicinati a Rifondazione, coinvolgendoci in diverse iniziative a livello locale e dandoci crescenti responsabilità. Sono loro che mi hanno aiutato a passare dalla mera teoria alla prassi, permettendomi di entrare a far parte di una vera e propria comunità attiva sul territorio che lotta in favore delle fasce della popolazione più colpite dalla crisi. Agli ideali dei classici marxisti seguivano quindi delle risposte concrete, per quanto semplici e a livello locale, per sostenere le classi sociali più deboli.


Ci puoi fare qualche esempio?

Ce ne sono diversi, Rifondazione Comunista e le sue sezioni locali danno sostegno alle cause più disparate. Nel 2012, ad esempio, abbiamo supportato la lotta degli operai dell’azienda metalmeccanica Fiber di Arcene (che aveva annunciato la chiusura di due stabilimenti e il conseguente licenziamento degli operai con l’obiettivo di delocalizzare la produzione in Romania, ndr) con dei banchetti di raccolta fondi in tutta la provincia a favore dei lavoratori. Sosteniamo, inoltre, la lotta alla casa delle famiglie più povere e a rischio di sfratto, anche in collaborazione con altre realtà locali quali Unione Inquilini, e forniamo supporto a specifiche iniziative nei singoli comuni, come ad esempio progetti portati avanti dai comitati per l’ambiente.

Al centro, Cristiano Poluzzi, candidato sindaco per la lista di Rifondazione Comunista alle elezioni comunali di Dalmine nel 2014 (foto di Cristiano Poluzzi, tutti i diritti riservati).


Quindi un elemento fondamentale per la tua passione politica è stato capire che in questo modo potevi fare una differenza reale nella società e nella vita delle persone?

Sicuramente comprendere che la politica è fatta di risposte concrete e di reali tentativi di cambiare le cose è stato determinante per la mia militanza. Ci tengo a precisare, però, che la forza del partito sta nel collettivo, non nel singolo. Non sono io a fare la differenza, perché il singolo da solo non può fare nulla, è la forza dell’unità che davvero aiuta a raggiungere gli obiettivi.


In passato, specialmente negli anni ‘70, avere una fede politica era piuttosto comune, in particolare tra i giovani, e il Partito Comunista Italiano contava moltissimi iscritti, mentre ora è l’anti-politica ad andare per la maggiore. Ti senti nostalgico di quel passato, pur non avendolo vissuto?

Certamente un tempo c’era maggiore fiducia nei partiti, in quanto era opinione comune che la politica potesse davvero cambiare le cose. In seguito, l’adozione a livello internazionale di politiche neo-liberiste ha spostato il focus della politica, che è passata dal dare risposte ai bisogni concreti delle persone a tutelare gli interessi del capitale. Ciò ha svuotato i partiti di senso, facendo sì che diventassero il fine e non il mezzo. Tale processo ha avuto come conseguenza che i cittadini che vanno a votare sono sempre meno, mentre cresce il sentimento di anti-politica nella popolazione. Questi sono senza dubbio fenomeni gravi e preoccupanti che prima non c’erano e che dobbiamo cercare di contrastare, ma nonostante ciò non mi definirei nostalgico. Sebbene non condanni il passato e il mio giudizio nei confronti del socialismo reale non sia liquidatorio, credo che ciò che conta sia andare avanti e cercare di rinnovarsi.

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