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ISREC di Bergamo, una nuova “Primavera” per la memoria della Resistenza

In occasione dell’anniversario della Liberazione dell’Italia intervistiamo Elisabetta Ruffini, direttrice di ISREC di Bergamo, l’Istituto bergamasco per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea, che dal 1968 si occupa di raccogliere, conservare e valorizzare la documentazione relativa alla storia contemporanea all’interno delle biblioteche, avvalendosi delle pubblicazioni scientifiche della rivista Studi e ricerche di storia contemporanea, che dal 1970 lavora a stretto contatto con l’Istituto.

Un’immagine storica di piazza Matteotti, nel centro di Bergamo.

Come spiega la direttrice, «oggi si può parlare di memoria della Resistenza come di una sfida: quella di fare conoscere una parte della storia dell’Italia, parte fondamentale per il processo democratico del nostro Paese, di cui vogliamo essere eredi e attenti custodi. Oggi, però, le nuove generazioni non hanno più legami diretti con quel passato; le generazioni degli adulti e la mia generazione dei 40-50enni, che ora gestiscono il passaggio della storia ai propri figli, hanno dato per scontato le storie delle nonne e dei nonni e alla fine si sono ritrovate impreparate su questo pezzo di storia».

Giovan Battista Cortinovis, antifascista bergamasco.

L’ISREC di Bergamo si impegna pertanto a lavorare (anche) su questa lacuna e si pone come vero e proprio luogo dove la storia e il nostro passato non cadono dimenticati; perciò realizza una serie di iniziative culturali, pubblicazioni, mostre, conferenze ed eventi, durante i quali si discutono e si approfondiscono fatti e storie della Resistenza e della Liberazione. Anche grazie a questo lavoro, quel 1945 non sembra poi così lontano. L’Istituto impiega anche le sue forze nell’organizzazione di attività gratuite per le scuole, per sensibilizzare i giovani e i più piccoli sul tema della Resistenza e dei fatti accaduti più di 70 anni fa. Le scuole dell’infanzia, le scuola primarie e secondarie possono scegliere, all’interno di un ricco e programma di proposte, spettacoli teatrali, lezioni animate, reading, laboratori di musica, visite d’istruzione alla scoperta dei luoghi della bergamasca, che si pongono l’arduo traguardo di raccontare e far conoscere la storia del nostro territorio e dei nostri nonni, imparando a scoprire e a trovare quel legame che unisce strade, piazze, persone, sentieri, storia e territorio. Una novità di quest’anno: l’ISREC collabora con la band La Malaleche, che affianca la passione per la musica all’impegno sociale, attraverso laboratori musicali e la stesura dei testi delle canzoni.

I progetti e le iniziative non finiscono qui: il 24 aprile al circolo Arci Ink Club di Bergamo ci sarà una serata dedicata alla Resistenza e all’Antifascismo con reading accompagnato da una mostra fotografica, che verrà, poi, riproposto il 25 aprile con MAITE – Bergamo Alta Social Club in piazza Vecchia. Nell’atrio del Palazzo della Provincia in via Torquato Tasso, invece, si potrà visitare un’installazione fotografica di carattere evocativo e simbolico dal titolo Primavera, dove saranno esposte le fotografie in bianco e nero della sfilata dei Partigiani per le vie di Bergamo del 4 maggio 1945. Alcune di queste immagini, però, sono state colorate per sottolineare dei particolari in cui, come in un’eco, possano emergere le parole di alcuni grandi testimoni della Resistenza.

Una fotografia dalla sfilata dei partigiani del 4 maggio 1945 a Bergamo. Questa è l’immagine scelta per la locandina di “Primavera”, la mostra fotografica che sarà inaugurata il 24 aprile all’Ink Club di Bergamo.

«Ma le cose più importanti», dichiara Elisabetta Ruffini, «non affioreranno il 25 aprile perché hanno tempi lunghi, per esempio quelli della ricerca che non produce slogan buoni per le commemorazioni, ma riflessioni scomode sulla città, il suo passato, ma soprattutto sull’immaginario che il presente prepara per il futuro. Lunghi sono anche i tempi delle attività nelle scuole, che, come fucine di saperi e di cultura, ci mettono a contatto quotidianamente con temi scottanti e difficili da trattare insieme alle donne e agli uomini di domani».

È importante, pertanto, far capire e far conoscere l’importanza della storia (sia in quanto italiani sia come cittadini d’Europa) perché ci aiuta a capire il presente, memori degli errori e delle zone d’ombra del nostro passato, e consente di non dimenticare e di mantenere vivo il ricordo dei fatti e delle persone che vissero e lottarono durante il Fascismo e la Seconda Guerra Mondiale. La storia insegna e ci permette di imparare per poter guardare al futuro con chiara consapevolezza, ricordando che la memoria è vita e il nostro domani. Come afferma Elisabetta Ruffini, «io posso mantenere viva la memoria del 25 aprile con il mio esserci, il mio lavoro, la mia passione, la mia rabbia e la mia dolcezza e, se siamo in due a farlo, sarà ancora più viva. Sarà una memoria più ricca di linguaggi, di domande, di interpretazioni, perché sarà più presente e innestata dentro la nostra quotidianità».

Pic-nic con Vivaldi su un “fiorito ameno prato”. È Primavera!

Una musica senza tempo, eterna e immutabile. È la Primavera di Antonio Vivaldi composta prima del 1725, quando ad Amsterdam l’editore Michel-Charles Le Cène dava inizio alla diffusione di questo sognante movimento.
La Primavera fa parte dell’opera Il cimento dell’armonia e dell’inventione composta di dodici concerti solistici. Le Quattro Stagioni, op.8 n. 1-4, composto di quattro  concerti che si riferiscono alle quattro stagioni – Primavera, Estate, Autunno, Inverno – viene eseguito, secondo l’organico in partitura originale, da un quartetto d’archi (violino primo e secondo, viola, violoncello) e basso continuo (poteva essere eseguito da clavicembalo o organo).

Tutti e quattro i concerti de Le Quattro Stagioni sono accompagnati da altrettanti sonetti. Quello de La Primavera:

Allegro
Giunt’ è la Primavera e festosetti
La Salutan gl’ Augei con lieto canto,
E i fonti allo Spirar de’ Zeffiretti
Con dolce mormorio Scorrono intanto:
Vengon’ coprendo l’aer di nero amanto
E Lampi, e tuoni ad annuntiarla eletti
Indi tacendo questi, gl’ Augelletti
Tornan di nuovo al lor canoro incanto:

Largo
E quindi sul fiorito ameno prato
Al caro mormorio di fronde e piante
Dorme ‘l Caprar col fido can’ à lato.Allegro
Di pastoral Zampogna al suon festante
Danzan Ninfe e Pastor nel tetto amato
Di primavera all’apparir brillante.

Musica a programma. Un genere musicale che iniziava a piacere un sacco e che troverà la propria definizione nel periodo romantico. Si tratta di un tipo di composizione puramente descrittiva, che evoca e narra una storia con mezzi puramente musicali. La musica imita la vita quotidiana, riproduce i suoni della natura, evoca stati d’animo e fa uso di onomatopee fondamentali come il suono del vento e del mare, i sospiri e il cinguettio degli uccellini. Ascoltando il concerto vivaldiano ci si renderà immediatamente conto di come le sue quattro stagioni siano reali: Estate è caldo, afa che opprimono e solo nell’ultimo movimento saremo rinfrescati dall’arrivo di una tempesta. Tetro e scuro è invece l’Inverno.

Nel periodo barocco si cercano nella musica, attraverso le sue connessioni con la poesia, valori espressivi identificati esteticamente (anche se in campo strumentale si verificò una tendenza contraddittoria a creare strutture esclusivamente musicali). Ciò nacque in parallelo con quanto era accaduto nella letteratura, ossia nacque una retorica della musica: una sorta di “tavola di equivalenze” tra i vari aspetti del linguaggio musicale e l’espressione di determinati sentimenti.

È proprio in quest’epoca, infatti, che si sviluppa un’importante riflessione su due grandi temi che interessano il mondo artistico e letterario: la teoria musicale e l’estetica musicale. Occorre innanzitutto tenere in considerazione il fatto che è proprio in questo periodo che viene definita la nostra tanto amata scala musicale, il sistema tonale (nella sua concezione occidentale) e si crea la definitiva distinzione tra modo maggiore e modo minore.


Filosofi e scienziati dell’epoca, come Cartesio, Bacone e Keplero, si occuparono di classificare la musica nell’ambito dei loro sistemi: si manifestò un prevalente orientamento a considerare il linguaggio musicale anche in base a studi di carattere fisico – acustico, come specchi dell’animo umano. Nasce così una considerazione della musica che la vede come arte più prossima alla divinità, mediante l’imitazione della natura.

Muovere gli affetti e creare meraviglia”, questo un po’ il motto di quest’epoca arzigogolata. Come abbiamo visto, sviluppo di tecnica e consapevolezza estetica della musica, han fatto sì che si affermasse l’autonomia di forme “concertanti” come la sonata, la sinfonia, il concerto grosso e in concerto solistico. Gli organici erano composti da strumenti ad arco e strumenti a fiato che si alternavano in Solo e in Tutti, e che vedevano la successione di più movimenti, basati sull’abbinamento di un movimento lento prima di un movimento veloce.

Gli strumenti diventano protagonisti assoluti: un elemento tipicamente barocco è la scoperta del virtuosismo strumentale come elemento a se stante nella musica. C’è da dire che il virtuosismo già esisteva, per esempio legato a strumenti come il liuto e l’organo nel Cinquecento, ma non era stato mai praticato sistematicamente e nemmeno era apparso come un valore autonomo dell’espressione artistica. Tutto ciò avverrà invece proprio in epoca barocca grazie a due conquiste fondamentali: innanzitutto l’invenzione dell’apposita tecnica compositiva destinata a valorizzare quegli aspetti dell’improvvisazione che precedentemente erano visti solo come “grande bravura”. In secondo luogo ci fu un grandissimo lavoro di perfezionamento e selezione di strumenti come l’organo, il clavicembalo e degli strumenti ad arco, che andarono a favorire proprio a livello tecnico l’esibizione virtuosistica. Da qui vediamo come alcune forme musicali, come la sonata e il concerto solistico, nacquero in base alle esigenze di sfruttare la tecnica del virtuosismo come variante delle strutture musicali.

Ora andate a recuperare il flauto dolce che suonavate a scuola, dategli una spolverata e siate virtuosi.

Capo Vaticano, la voglia di mare e l’inverno

In estate questi bellissimi paesaggi vengono invasi da turisti di ogni genere e provenienti da tutta Europa, in inverno le sue spiagge appartengono al mare, ai pescatori e alla bellezza incontaminata che lo rende una perla del mediterraneo.

Stiamo parlando di Capo Vaticano località calabrese che si trova nel Comune di Ricadi, a breve distanza da Tropea, sulla punta estrema dello splendido promontorio roccioso che si staglia nel Tirreno meridionale, protendendosi verso le Eolie.

Secondo una delle tante versioni nell’antichità in tale promontorio risiedeva un oracolo e proprio dalla parola Vaticinium (“oracolo”) deriverebbe il suo nome. La sua costa è frastagliata, con piccole baie e con una flora e una fauna mediterranea molto ricca che regala dei panorami così belli che lo scrittore Giuseppe Berto, che decise di viverci, disse di sapere di trovarsi in uno dei luoghi più belli della terra.

Non servono altre parole, adesso, lasciatevi trasportare dal suono delle onde e godete dei colori del mare in inverno.

 

Fotografie di Celeste Gasparri.

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