Tag: proibizionismo1

Breve guida immorale o proibita

Sebbene i divieti non siano né divertenti né popolari, tuttavia risultano molto utili nel segnalare le tendenze di una società. Con Banner things around the world Pequod ha sondato il Pianeta alla ricerca di bizzarrie; con questo fotoreportage, vi propongo invece una guida breve e stringata sulle principali proibizioni italiane di natura morale o legislativa. A partire dal quotidiano, ecco un album su oggetti e comportamenti svergognati, rivalutati e certe volte dimenticati… seguiti da alcune considerazioni!

 Alcool

Con il termine “proibizionismo” si indica il periodo tra il 1919 e il 1933 in cui fu proibito produrre, vendere e trasportare alcolici negli Stati Uniti d’America. Il divieto aveva come scopo quello di moralizzare la società statunitense, ma di fatto andò a gonfiare i portafogli dei mafiosi grazie ai proventi ricavati dal contrabbando di alcol. Riferimenti a situazioni italiane, simili e attuali sono del tutto casuali.

 Profilattico

Il preservativo è l’anticoncezionale più antico e diffuso al mondo, che vanta raffigurazioni egizie risalenti al 1500 a.C. Nel XIX secolo, invece, l’utilizzo del contemporaneo condom sembra diminuire in Italia: nelle farmacie o para- farmacie le confezioni di preservativi vendute sono passate dagli 11,1 milioni nel 2007 al 9,3 nel 2014. Parallelamente, sono aumentati i casi di Aids causati da rapporti non protetti, arrivando a registrare 3.695 nuove diagnosi nel 2014.

Minigonna

Arrivata in Italia nel 1966, la minigonna è stata per diverso tempo un indumento malvisto dall’opinione pubblica, facendo incetta di sguardi giudicanti e un certo numero di azioni legali contro audaci indossatrici. Sebbene al suo debutto era moralmente accettata solamente all’interno dei locali da ballo, in breve tempo la minigonna divenne simbolo dell’indipendenza femminile e del degrado morale.

Droghe leggere

È gennaio. E come tutti gli anni a gennaio, in Italia, si dibatte sulla legalizzazione delle droghe leggere: anche noi di Pequod, se ricordate, vi abbiamo aggiornato sugli ultimi sviluppi. Paragonare gli effetti della marijuana a quelli dell’alcool mi pare assai scontato, quindi mi limiterò a darvi la notizia sullo stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze che possiede già 20 kg di cannabis da vendere alle farmacie per uso terapeutico. La cannabis prodotta non sarà utilizzata per sintetizzare farmaci, ma consumata “al naturale”.

 Allattare in pubblico

Allattare in pubblico può causare spiacevoli episodi alle neomamme italiane, che vedono spesso un loro diritto essere etichettato come esibizionismo all’interno di un Paese sprovvisto di una legge a riguardo. Il tutto fa di certo riflettere sulla coerenza di una società tanto attaccata al valore del “naturale”, nello specifico a una famiglia fondata sul matrimonio fra donna e uomo. Se gli omosessuali non hanno ragione di esistere in quanto “contro natura”, come possono una donna e il suo bambino suscitare tanto scalpore?

 Tessera elettorale

Molti tendono a dimenticarlo, ma con il dilagare del populismo è il caso di ricordare come in Italia il suffragio universale fosse proibito prima del 1946. Nonostante sia la grande conquista del XX secolo, il diritto di voto esteso a tutti i cittadini maggiorenni sembra oggi aver perso il significato di dovere civile. Tutto ciò, ha inevitabilmente creato un elettorato debole e noncurante nel dirigersi al voto poco informato o addirittura impreparato.

Signori, non urlate per favore!

Stati Uniti, anni 20 del secolo scorso. Più precisamente New York. È sera tardi e le strade sono semideserte. Passa di tanto in tanto una pattuglia della polizia per il consueto turno di sorveglianza. Che fine hanno fatto le persone? Perché nessuno, o quasi, esce di casa? Il problema ruota tutto attorno ad una legge entrata in vigore il 16 gennaio 1920, mi riferisco al Volstead Act. Da quanto sancito veniva proibita la vendita ed il consumo di alcolici nei bar, la loro importazione ed il trasporto. Il tutto, secondo gli ideatori, era finalizzato ad una maggiore moralizzazione della società americana, vittima di crimini e violenze alla cui base, sempre secondo i legislatori, vi era la piaga dell’alcolismo.

Come conseguenza dell’entrata in vigore della legge, ogni tipo di bevanda alcolica venne bandito in tutti gli Stati Uniti: ciò, però, provocò la nascita e lo sviluppo di un mercato nero gestito prevalentemente dalla malavita. Importanti gangster, il più famoso dei quali è sicuramente Al Capone, iniziarono ad erigere veri e propri imperi del contrabbando di alcol in questi anni. La loro fortuna era dovuta principalmente al fatto che i cittadini americani, anche dopo l’entrata in vigore della legge, non vollero rinunciare a bere ed erano così disposti a pagare un prodotto talvolta di bassa qualità a prezzi raddoppiati. Oltre all’importazione da Paesi in cui gli alcolici erano ancora legali, come Canada e Messico, si diffuse, infatti, la pratica di realizzare birra e surrogati del whiskey in laboratori clandestini in modo da venderli ai vari clienti. Da sottolineare è il fatto che, almeno in un primo momento, semplici bottiglie venivano vendute sottobanco in negozi di generi comuni, poi però iniziarono a diffondersi i cosiddetti speak-easy e allora cambiò tutto.

Tradotto speak-easy significa letteralmente “parla pianoo parla a bassa voce, ma al tempo del proibizionismo stava ad indicare quei bar o club privati che illegalmente servivano bevande alcoliche ai propri clienti (in cui, ovviamente, era buona cosa non urlare molto se non ci si voleva far scoprire dalle autorità). Spesso camuffati con insegne di insospettabili negozi o botteghe, per accedervi serviva una parola d’ordine da riferire all’ingresso. Ciò però non bloccò le retate della polizia che si susseguivano molto frequentemente, il che contribuì a generare un vero e proprio clima di tensione per le strade delle città che non di rado erano teatro di scontri tra i gangster e le forze dell’ordine. A fronte di questo clima è opportuno specificare che gli speak-easy proliferarono comunque tanto che durante gli anni ’20 nella sola New York se ne potevano contare circa 32000. Successo, questo, a cui molti contemporanei hanno deciso di guardare e di imitare: così a distanza di quasi cent’anni dai ‘’ruggenti anni ’20’’ lo spirito dei bar clandestini torna in auge anche se di clandestino hanno poco o niente.

E di questo spirito vive 1930 cocktail bar a Milano in zona piazza cinque giornate. L’indirizzo vero e proprio non è dato saperlo se non si possiede la tessera dei soci, questo al fine di selezionare una clientela in grado di apprezzare appieno i prodotti offerti. Aperto nel 2013, il locale catapulta il cliente in uno speak-easy come si deve e, se si considera che bisogna imbucare una viuzza stretta e quasi nascosta e alla fine bussare a una porta del retro di una gastronomia etnica, l’effetto non può che essere più che stupefacente. Una volta entrati colpisce subito l’arredamento da jazz age, ma soprattutto sono sorprendenti i bicchieri e gli accessori per i cocktails. E a proposito di cocktails nulla è lasciato al caso perché i vari barman offrono una selezione con i fiocchi: avete mai bevuto un ‘’Manhattan in Kentucky’’ o un ‘’Milanes’’, se la risposta è no, questo è il posto giusto per farlo. Significativa è anche la descrizione che il locale da di se stesso sulla propria pagina Facebook:

Why the name 1930?
We are at number 19 of the street, and its hidden in a bar called
“Caffetteria 30”. The tram 19 brings in Porta Genova, the tram 30
brings to 1930; we open at 19.30; 1+9+3+0 and equals 13, the day
of the opening of all our places.

Un luogo in cui tutto sembra sospeso tra passato e presente, esclusivo e misterioso, in cui poter bere ottimi drink è veramente un’ottima trovata che consente alle persone di tuffarsi in un’altra epoca e di vivere per qualche ora come al tempo del Gatsby di Fitzgerald.

Musica proibita nella “Decade senza legge”

Il proibizionismo statunitense è spesso accompagnato, nelle nostre menti europee e occidentalizzate, da una musichetta allegra suonata da un pianista afroamericano che sta in un angolo. Lo si intravede tra la fumera di sigari e le bottiglie d’alcool di contrabbando. Prima di sederci a uno di quei tavoli, occorre fare un passo indietro e capire come quel musicista nero sia arrivato lì: potremmo essere al Cotton Club di New York o in uno degli Speakeasy più amati da Al Capone a Chicago. Partiamo dal principio e torniamo a New Orleans, dove tutto ebbe più o meno inizio.

New Orleans. Occorre anzitutto cercare di comprendere la ricchezza artistica della città, un porto commerciale aperto sul Golfo del Messico nonché melting pot musicale: blues, ragtime, le marce di Sousa, musiche a percussione caraibiche, l’opera lirica di derivazione europea era quel che si poteva ascoltare passeggiando per le strade. Ogni gruppo della popolazione poteva sviluppare la sua propria cultura, ma restando sempre in contatto (era inevitabile) con quella dei quartieri vicini. La musica d’influenza caraibica, il ragtime e il blues sono le tre direzioni principali che ci avvicinano al jazz. Quella di swing è la nozione più indissolubilmente legata al concetto di jazz (molti musicisti utilizzano il termine come criterio assoluto di autenticità nella valutazione di un brano) e fino agli anni ’40 era normale associarlo al fatto di provocare il movimento nell’ascoltatore.

A New Orleans si balla, si beve e si canta: locali malfamati in cui la musica “primitiva” si mischia con i balli sofisticati d’origine francese e spagnola; un’esplosione di spettacoli e concerti nei cortili e nelle strade. Si assiste in breve tempo alla strutturazione dei filoni creativi del jazz. Fulcro di questo fermento artistico era Storyville, il quartiere a luci rosse della città, dove suonatori virtuosi trovano i primi impieghi regolati. Si crea una vera e propria “scuola”, dalla quale emersero i nomi più famosi di Jelly Roll Morton e Louis Armstrong.

Nel 1917 tutto questo magico mondo musicale crolla, insieme alla stabilità mondiale: dal porto di New Orleans partono navi zeppe di soldati americani alla volta del conflitto mondiale che sta volgendo al termine sul suolo europeo. La città non era proprio il luogo adatto da cui partire per una missione così seria, tanto che quasi tutti i disertori trovavano rifugio proprio nel quartiere a luci rosse, determinandone l’immediata chiusura. I musicisti iniziarono a cercare fortuna presso i grandi centri urbani del midwest e in pochi anni Chicago diventa la “nuova” città del jazz, il nuovo punto di raccolta dei musicisti (che in realtà si spostano proprio lì anche per lavorare nelle grandi fabbriche della città). Inizia così quella che viene definita la “Decade senza legge” (1919 – 1929) in cui si scatenerà un enorme gioco di interessi, a cominciare dal contrabbando al controllo degli speakeasy (gli spacci illegali e clandestini di alcool), in un giro vorticoso di denaro, divertimento ed evasione. È attraverso queste esperienze che il “jazz campagnolo” della Louisiana diventa più tagliente, più preciso e si afferma definitivamente come colonna sonora della vita di un Paese.

In questo momento la forma dell’improvvisazione raggiunge la sua ampiezza e sarà un cambiamento di repertorio a modificare in modo considerevole l’atteggiamento dei musicisti jazz. Le melodie di Tin Pan Alley possiedono una struttura caratteristica: sono divise in due parti, la prima chiamata verse è la presentazione della situazione che conduce all’altra parte della chorus, un ritornello elaborato per lo più da una serie di sequenze di otto misure. Questa forma corrisponde al genere delle commedie musicali di Broadway, inframmezzate da “numeri musicali” che diventano canzoni molto popolari; ora ogni orchestra degna di questo nome dovrà interpretare tali melodie di successo, ispirandosi ad una visione un po’ esotica del jazz.

Dalla metà degli anni ’20 i musicisti di jazz abbandoneranno gradatamente la forma più tradizionale del ragtime, la base diventa la parte del chorus delle canzoni più apprezzate del momento (il tema originario diventa un pretesto per l’interpretazione del solista): è la concisione di queste melodie, il più delle volte di 32 misure, che permette ai solisti, ripetendola più volte, di produrre delle variazioni sempre più spinte.

La musica di Louis Armstrong è forse il più bell’esempio di libertà individuale. A quel tempo egli praticava una musica alla “New Orleans” molto più codificata, ma in termini realizzativi di una libertà assoluta: l’improvvisazione collettiva quasi permanente obbliga i singoli musicisti a porsi in rapporto costante con gli altri. Luigi Braccioforte consoliderà la sua posizione di super solista con la fondazione dell’orchestra Hot Five nel 1925. Anche qui riprende gli ingredienti stilistici della musica di New Orleans, li semplifica, soprattutto a livello delle strutture, e si fa avanti sul palco sia come trombettista che come cantante.

Sediamoci ora al tavolino del Cotton Club: siamo a New York e Duke Ellington diventerà il direttore dell’orchestra (nero) nel 1927; si creerà intorno a lui un nucleo affiatato di musicisti che lo seguiranno per tantissimi  anni. Qui egli ebbe la possibilità di sperimentare le sue stesse composizioni e raffinare le proprie tecniche di arrangiamento, spingendo all’estremo configurazioni strumentali inedite con il desiderio e la volontà di dare all’orchestra jazz la stessa consistenza di un’orchestra sinfonica classica.

Una nuova consapevolezza del genere e della pratica musicale di cui si è rappresentanti, questo forse il punto di arrivo che si ha insieme e dopo il periodo del proibizionismo: locali clandestini, commerci illegali e pessimo alcool di contrabbando che hanno permesso a una sottocultura musicale di autodefinirsi e emergere in modo completo… e comunque ad Al Capone il jazz piaceva un sacco.

«Barista! Un altro whiskey!»

«Damn! Shhht! Speakeasy»

Banned things around the world

The subject of Prohibitionism in the United States has a retro flavour, it reminds us of wooden counters, thick velvet curtains and moonshine. It is hard to imagine living in such a situation today, but even if the atmosphere in the US has since changed, there is still a great number of officially banned items around the world, some of which are at first glance less threatening than alcohol…

 

Blue Jeans

North Korea has a long tradition of prohibition. It comes as no surprise that Kim Jong-un’s government has banned blue jeans from the country. Black jeans are fine, but blue denim is seen as a symbol of Western culture and American imperialism and is thus forbidden.

 

 

Lonely Planet

How can something as innocent as a guidebook represent a threat to the world’s second largest economy? Lonely planet guides are apparently a big deal for the Chinese government, which banned them in the country over objectionable content. Surprisingly, the reason for the ban is not the way the Chinese guide treats controversial historical events like the Cultural Revolution or the Tiananmen Square protests, but Lonely Planet’s representation of Tibet and China as two separate countries.

 

 

Chewing Gum

Back in the eighties Singaporean authorities started to consider a ban on importing chewing gum in the country, as spent gum stuck on pavements and stairways, elevator buttons and public bus seats and was difficult to remove. The official ban came in 1992, after vandals had begun sticking gum on the door sensors of public transportation, causing problems to train services. Forget about buying chewing gum during your stay in Singapore…but if you take some from home officers may let you go as long as you are a tourist – and you don’t chew too hard!

 

 

Kinder Eggs

Children love them for the sweet milk chocolate and for the little surprises they contain, but in the United States they can’t experience the thrill of unwrapping the chocolate egg and discover its present: the tiny parts that compose the surprise can easily be swallowed and are thus considered dangerous in the country. Some people have even been caught trying to smuggle Kinder Eggs from Canada to the US and were arrested.

 

 

Ovaltine

What could be more innocent than adding some Ovaltine to your milk for breakfast? According to the Danish government, products enriched with vitamins, including Ovaltine, are not necessary if you eat properly. It is probably to encourage a healthier lifestyle and a balanced diet that Denmark banned these products over ten years ago.

 

Foie Gras

Fancy is no longer fancy, at least in India. After the London protests of an animal rights groups against the cruelty entailed in its production, India became the first country to ban the import of  foie gras. Countries like Germany, England and Israel have prohibited its production, but it is currently only in India that this fancy delicacy is banned.

 

 

Video game consoles

Wiis, PlayStations and Xboxes are produced in China, which is also the country where  their selling and use has been banned since 2000. Ironic, isn’t it? The government thought that this prohibition would prevent Chinese youth from wasting their time. The fun thing is that soon after the ban was announced, computer gaming became very popular and people started to spend a lot of time in front of their screens nonetheless.

 

 

 

Cover Photo by Russell Lee [Public domain], via Wikimedia Commons

In cerca di birrette nei Paesi dell’Islam

«Ho sentito bar? Siete stati in un bar?» mia cognata mi guarda esterrefatta, mentre racconto uno dei tanti episodi capitati la sera a Dakar. Per lei, un’ultracinquantenne senegalese, giovanile e in splendida forma, sentirmi parlare di “bar” nella sua terra natia, oltretutto in compagnia di nostro nipote, è sorprendente: già immagina fiumi di alcol, prostitute e ubriaconi. Eppure qui in Italia, dove vive, non si fa certo problemi a ordinare un cappuccino a un bancone!
Mi affretto a rassicurarla: il mio racconto è ambientato in un locale “alcol free”, per dirla in modo trendy, “tradizionalista”, a voler essere più corretti; situato dalle parti di Almadies, tra le aree di Dakar che più hanno investito su turismo e divertimento, presentandosi anche nell’aspetto quanto più possibile simile a una realtà europea. «Ci hanno portato liste di succhi di frutta a dei prezzi livellati a quelli dei cocktail delle discoteche occidentali, tra gli 8 e i 10€; – spiego- allora abbiamo chiesto se potevamo avere qualcosa da mangiare. Essendo considerato un contorno, un piatto di patatine fritte costava solo 1000 cfa (circa 1.50€): ne abbiamo ordinati quattro con una bottiglia d’acqua e abbiamo speso meno che per un bicchiere di succo!»
Un’esperienza simile mi viene riportata da Beatrice di rientro dal Marocco, più volte ritrovatasi a elencare la lista delle proprie allergie, nell’impossibilità di comprendere gli ingredienti dell’incredibile varietà di frullati dei locali marocchini: «Tutti buonissimi, ma anche molto costosi! E la sera che siamo andati in una discoteca dove servivano alcol è stato anche peggio: quasi 20€ per un cocktail.»
Nelle famiglie musulmane l’alcol è spesso un tabu, per questo motivo difficilmente le attività che servono alcolici si integrano con quelle della realtà quotidiana e chi vi investe preferisce rivolgere la propria offerta a chi vive in occidente, turisti o espatriati, approfittando dei vantaggi economici del cambio monetario. Tanto in Senegal quanto in Marocco, tè e succhi di frutta fresca sono al centro dei rituali di accoglienza, ma è assolutamente vietato, salvo rarissime eccezioni, introdurre bevande alcoliche all’interno delle case musulmane!

Di fatto, in entrambi i Paesi acquistare alcol a poco prezzo è in realtà molto più semplice di quanto non sembri a una prima occhiata e i consumatori sono più di quanti si pensi. A Dakar le rivendite di alcolici sono principalmente di due tipi: alle stazioni di benzina di grandi dimensioni si trovano negozi simili ai nostri autogrill, forniti di varietà di cibi e bevande confezionati, spesso d’importazione francese; più caratteristici sono invece i piccoli negozi specializzati di quartiere, identici nell’aspetto alle attività vicine, davanti cui non è raro si fermino motorini arrivati da altre aree di Dakar per acquistare alcolici lontano da occhi indiscreti.
È Anna a descrivermi lo stesso tipo di attività in Marocco, scovate nelle vie secondarie di Marrakech: «Non sono negozi troppo in vista e hanno gli alcolici dietro il bancone, non puoi prenderli da solo. Ti vengono venduti in sacchetti appositi, più scuri in modo che non si veda il contenuto; però mi mettevano in imbarazzo perché così era più evidente che avessi acquistato dell’alcol!»
In Senegal la discrezione è la parola d’ordine e i sacchetti sono omologati per ogni tipo d’acquisto: la plastica nera intervallata dalle scritte bianche “Senegal” è in ogni mano che esce da un negozio, in ogni pattumiera, abbandonata in ogni angolo di strada, qualche volta portata alla bocca in un gesto dissimulato.


Il consumo di alcolici è però per lo più circoscritto a contesti notturni, che tanto in Senegal quanto in Marocco sono una realtà piuttosto recente, che le generazioni più adulte conoscono poco. A Dakar i locali che offrono musica la notte sono numerosissimi e d’ogni tipo: dalle costose discoteche della costa di Almadies, da cui ragazze fasciate in tubini all’europea escono correndo in direzione dei taxi, ai bar tanto temuti da mia cognata, frequentati da senegalesi attempati che offrono drink a bellezze più o meno giovani; dai discreti localini in legno a ridosso del mare dove fermarsi a chiacchierare, alle discoteche affacciate sulle spiagge attorno cui ronzano i motorini. Qui protagonista della notte è la bière Gazelle!
Venduta allo stesso prezzo di un litro e mezzo d’acqua (raramente in Senegal si vende il mezzo litro), in virtù tanto della sua bassa gradazione quanto del riciclo del contenitore: rigorosamente in vetro, non è raro che abbia l’etichetta incollata un po’ storta, lasciando intravvedere i residui della precedente, sopravvissuti al lavaggio.

Un’esperienza del tutto particolare è quella che ho avuto la fortuna di vivere a Dakar qualche anno fa, grazie a un amico che ha voluto portarmi a scoprire una realtà che sta ormai scomparendo. Una notte, ci siamo addentrati in un vecchio quartiere cristiano in una delle aree più vecchie e povere di Dakar; per accedervi era necessario scavalcare un basso muretto e scendere sotto il livello della strada, ritrovandosi in un labirinto di baracche in legno con decorazioni colorate. Abbiamo bussato a una delle porte che intervallavano le pareti legnose e questa si è aperta mostrandoci una stanza piuttosto ampia, totalmente ingombrata da una tavolata dove un gruppo di uomini discuteva bevendo birra. La padrona di casa ci ha fatti accomodare, portandoci da bere e prendendo qualche moneta dalle mani del mio amico. È questo il modo in cui un tempo i cristiani più poveri di Dakar riuscivano ad arrotondare: vendendo alcol ai musulmani nella discrezione delle loro case, dove nessuno ha mai considerato scandaloso trovare bevande alcoliche e i peccati dei musulmani potevano restare segreti.

Droghe: l’attuale normativa, le droghe leggere e pesanti, la possibile liberalizzazione della marijuana

Quando la redazione ti chiede di scrivere sulla droga e sui fenomeni correlati, si resta sempre un po’ intimiditi. Interdetti, si ha paura di non “centrare” l’argomento, di sembrare troppo proibizionista o troppo fricchettone. Di non conoscere, in sostanza, le sostanze che oggi determinano un vorticoso e malavitoso mercato. Cerchiamo allora di cogliere le sfumature.

In questo articolo gli argomenti e le diversificazioni verranno solo accidentalmente sfiorati. Per farlo, partiamo dal quadro normativo sugli “stupefacenti”, un quadro assai poco lineare. Infatti, il percorso legislativo fino qui intrapreso è stato maldestro e pasticciato; si sono succedute leggi in contrasto tra loro, prive di un percorso omogeneo e di una meta comune.

Marijuana legge Pequod
©Flickr, autore Laura Scudder, amsterdamhashhempandmarijuanamuseum

DPR 309/90

Era ancora la Prima Repubblica quando fu promulgata la legge «Jervolino-Vassalli» (DPR 309/90), che all’art.73 regolava e diversificava lo spaccio di droghe pesanti (pena da 8 a 20 anni) dallo spaccio delle droghe leggere (pena da 2 a 6 anni), prevendendo la “lieve entità“, sempre in una logica di diversificazione in base alla sostanza, dove le pene previste erano da 1 a 6 anni per le droghe pesanti e da 6 mesi a 2 anni per le leggere.

Il referendum dell’aprile 1993

Avvenne su istanza del Partito Radicale, attraverso le battaglie referendarie di Marco Pannella, e portò alla modifica della legge «Jervolino-Vassalli». Sono state abolite le sanzioni penali per l’uso personale delle sostanze illecite (art. 76); abrogata la cosiddetta “dose media giornaliera”, ovvero il criterio meccanico che sanciva lo spartiacque fra l’uso personale e lo spaccio (art. 75 e 78), e quindi diversificata la sanzione amministrativa da quella penale. Inoltre furono eliminate delle norme che consentivano al Ministro della Sanità la facoltà di stabilire limiti e modalità nell’uso di farmaci sostitutivi (art. 2) e quelle che imponevano al medico di famiglia di comunicare al servizio pubblico per le tossicodipendenze il nome dei loro pazienti consumatori di sostanze proibite (art. 120 e 121).

Introduzione della legge Fini–Giovanardi (21 febbraio 2006) e successiva bocciatura in seno alla Corte Costituzionale (12 febbraio 2014)

L’introduzione della Fini–Giovanardi andò a modificare il già visto art. 73, limitando la distinzione tra droghe leggere e pesanti. Lo spaccio, senza distinzioni, veniva punito dai 6 ai 20 anni, mentre “il fatto di lieve entità”, anche questo senza più distinzione tra droghe pesanti e leggere, veniva uniformato ad un’unica tipologia di pena da uno a sei anni.

Certamente l’equiparazione tra le diverse droghe fece allora molto discutere, ma quando la Corte Costituzionale si pronunciò, nel 2014, non affrontò la diversificazione del catalogo degli stupefacenti: oggetto di discussione fu solo la procedura con la quale la norma fu prodotta, non il merito della stessa. Infatti, ciò che evidenziò il giudice fu il fatto che una sostanziale riforma organica del testo unico sugli stupefacenti era stata introdotta nell’ordinamento non tramite una proposta di legge condivisa in Parlamento, bensì fu scelta una “scorciatoia”, ovvero degli emendamenti inseriti nella conversione di un decreto legge che in origine aveva un oggetto del tutto diverso, la sicurezza delle Olimpiadi invernali di Torino.

Legge droghe Pequod
Foto di Nicola Baron, “diritto civile italiano (da www.flickr. com).

Ritorno al passato, ritorno alla DPR 309/90
Alla bocciatura della Fini – Giovanardi da parte della Consulta, non seguì nessuna nuova iniziativa organica volta a disciplinare il tema, condannando il presente ad essere nuovamente regolato da un normativa passata, la già indicata «Jervolino-Vassalli».

Liberalizzazione della cannabis? La proposta di legge n. 3235

In questo quadro così confuso e poco incline al cambiamento, tuttavia, non mancano nuove prospettive legislative. Giace in Parlamento ormai da un anno e mezzo una proposta di legge, la n. 3235, certamente dirompente e dagli effetti assai nuovi. Presentata il 16 luglio 2015 dal senatore Benedetto Della Vedova, la nuova iniziativa darebbe la possibilità di coltivare fino a 5 piante di cannabis di sesso femminile, previa comunicazione all’Ufficio regionale dei Monopoli competente per il territorio e consentendo anche la coltivazione in forma associata. Per farlo sarà necessario costituirsi in enti ad hoc, senza fini di lucro, con una composizione di massimo 50 membri.

Per quanto riguarda il possesso, il disegno di legge prevede la possibilità di detenere fino a 5 grammi per uso ricreativo all’esterno portati a 15 grammi per l’uso domestico. Si potrà fumare solo negli spazi privati, chiusi o aperti, mentre rimane in vigore il divieto relativo ai luoghi pubblici aperti al pubblico e in ambienti di lavoro pubblici e privati. Depenalizzata anche la cessione gratuita alle persone maggiorenni entro il limite indicato per la detenzione personale. Lo spaccio continuerà ad essere illegale, mentre la commercializzazione potrà avvenire solo in regime di monopolio statale, attraverso locali dedicati, prevedendo un sistema di tracciabilità del processo produttivo, con il divieto di importazione ed esportazione.

Tutto questo costituirebbe dunque una rivoluzione culturale, ancor prima che giuridica. Bisognerà vedere allora quale legislatura sarà in grado di adottare il provvedimento, assumendosene la responsabilità.

In copertina: foto di Cabrera Photo, “Ejercicio Fotográfico: Bodegón de Droga” (da www.flickr.com)

Reg. Tribunale di Bergamo n. 2 del 8-03-2016
©2014 Pequod - Admin - by Progetti Astratti