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Italiani all’estero: al referendum 2016 vota il 40% degli iscritti

Si sono chiusi ieri, 1 Dicembre, i tempi di arrivo in Italia dei plichi elettorali contenenti il voto degli italiani residenti all’estero sul referendum costituzionale, il voto di coloro tra i circa 490.000 concittadini iscrittisi all’AIRE che hanno esercitato il proprio diritto civico anche fuori dal territorio nazionale.
I primi dati raccolti danno un riscontro positivo circa l’affluenza alle urne: rispetto al referendum dello scorso Aprile sul rinnovo delle concessioni per le trivellazioni in mare, che aveva raccolto circa 800 mila voti all’estero, sembra che quest’anno un maggior numero di iscritti alle liste dell’AIRE abbia effettivamente spedito il proprio voto in patria. I primi numeri arrivano dalla Svizzera, che si conferma la nazione da cui gli italiani residenti votano di più, con una percentuale che oscilla tra il 38% e il 42%.

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Ancora molte perplessità ruotano attorno alle modalità attraverso cui ottenere il diritto di votare all’estero e alle funzioni svolte dall’AIRE. L’iscrizione all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero, fondata nel 1988 e gestita oggi dai Comuni sulla base dei dati e delle informazioni provenienti dai Consolati all’estero, è un diritto/dovere per tutti quei cittadini italiani che si trasferiscono per un periodo superiore ai 12 mesi, oltre ai già residenti all’estero per nascita o coloro che hanno ottenuto successivamente alla nascita la cittadinanza italiana. Oltre alla possibilità di esercizio del diritto di voto, l’AIRE permette di usufruire di una serie di servizi, come il rinnovo dei documenti d’identità e della patente di guida; l’iscrizione è a totale discrezione dei cittadini, così come l’aggiornamento delle informazioni fornite all’Anagrafe, con particolare riferimento all’indirizzo di residenza: fondamentale che sia corretto per poter votare per corrispondenza.
Una volta iscritti all’AIRE, infatti, l’iter procede automaticamente, come ci ha spiegato Elena, che quest’anno ha votato da Manchester: «È facile votare: arriva tutto per posta! Il plico contiene certificato elettorale, scheda elettorale, due buste e un foglio informativo; basta fare una croce sulla casella scelta (No/Si) e inserire il tutto nelle apposite buste, su cui non va scritto nulla perché ci sono già indirizzo del destinatario e spedizione prepagata. È molto easy, non devi neanche andare in posta!».
E aggiunge: «Ci sono altri vantaggi, dati dall’essere iscritta all’AIRE: primo tra tutti, il fatto di non dover pagare doppie tasse sui servizi inglesi e italiani. Non ho ancora sfruttato la possibilità di poter fare e rinnovare il passaporto senza dover rientrare in Italia, ma è un’altra agevolazione.»
Anche Chiara, in Repubblica Ceca, si è avvantaggiata dell’iscrizione AIRE: «Quando mi sono iscritta era per non gravare sullo stato famiglia dei miei genitori, visto che ero stabile e autonoma a Praga; automaticamente ho avuto facilmente diritto di voto dall’estero: il plico elettorale arriva direttamente a casa e la procedura è molto semplice. I vantaggi dell’iscrizione all’Anagrafe però non sono molti, almeno per la mia esperienza; tanti italiani residenti in Repubblica Ceca, ad esempio, non si iscrivono per non perdere il diritto alla sanità gratuita in Italia».

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Chiara a Praga

Per gli italiani che si trovano solo temporaneamente residenti all’estero è prevista una procedura a garanzia del diritto di voto, ma nei fatti spesso risulta più complicata del previsto. Gli espatriati per motivi di studio, lavoro o cure mediche, per periodi superiori ai 3 mesi, possono votare dal luogo in cui ritrovano sempre per corrispondenza, inviando una richiesta al loro comune di residenza in Italia; un paio di settimane prima del voto, ricevono a casa il plico elettorale. Nessuna soluzione è invece prevista per i soggiorni all’estero di durata inferiore ai 90 giorni; dato spesso sottovalutato, ma che implica l’esclusione di una fascia di giovani elettori, come gli universitari impegnati in erasmus brevi con un budget economico ridotto. Non meno significata è la situazione che riguarda i flussi migratori interni alla nazione, che vede gli studenti fuorisede costretti a rientrare nel comune di residenza per votare. In territorio nazionale non è previsto il voto a distanza né agevolazioni fiscali per il rientro a casa; unica possibilità per evitare il viaggio è candidarsi a rappresentante di lista di un comitato promotore o di un partito.
Difficoltà simili le incontrano i cittadini italiani residenti in quei Paesi con cui il nostro Governo non intrattiene rapporti diplomatici, territori nei quali spesso le attuali condizioni sociali lo impediscono. Nonostante l’impossibilità di votare per corrispondenza o di esercitare il proprio diritto sul territorio, per questi elettori, sparsi in circa 28 nazioni, è quantomeno previsto un rimborso del 75% del prezzo del biglietto di rientro in Italia da parte della loro Ambasciata di riferimento, presentando ricevuta di pagamento e timbro su scheda elettorale presso la stessa. Sara dall’Indonesia ci racconta: «Per iscrivermi all’AIRE dovrei andare a Jakarta, che dista diverse ore di volo da Bali, dove vivo io, ma l’esperienza di altri connazionali mi ha fatto desistere: la burocrazia non è affatto efficiente e comunque non sono previste procedure per votare da qui. Una volta iscritta, poi, perderei l’assicurazione medica per i viaggi all’estero che ho stipulato appena venuta qui, che è la soluzione più comoda nella confusione delle pratiche sanitarie in Indonesia. I vantaggi stanno negli sgravi fiscali che poi si hanno sulle case di proprietà nei due diversi paesi, ma per me che vivo a Bali in affitto e non ho casa in Italia non c’è riscontro economico. Trovo molto più comodo organizzare i miei rientri in Italia, dove ancora vive la mia famiglia, in modo da sbrigare anche tutte le questione burocratiche necessarie».

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Balangan Beach, Bali Deli

Sebbene i dati delle ultime ore facciano ben sperare sul grado di coscienza civica dei cittadini italiani residenti all’estero, alcune lacune emergono nella burocrazia italiana, che ancora non arriva a toccare larghe fasce di elettori, spesso giovani o giovanissime, sparse nel mondo. La globalizzazione e il continuo aumento dei movimento migratori hanno messo a dura prova le istituzioni, impegnate in ingenti investimenti per stare al passo con i tempi.

In copertina ph. Christian Horvat CCA-SA 3.0 by Wikimedia Commons.

Notes on the Italian constitutional referendum

Judging by the debate surrounding the changes proposed by the Renzi government to the Italian constitution, one would gather the impression that this set of fundamental principles is some sort of sacred authority, an institution always already perfect in its form and therefore untouchable. The term “perfect”, in particular, has been regularly used to describe the Italian Constitution by those who want to highlight its extraordinary flexibility and applicability to a wide range of different situations. What has historically characterised most constitutions around the world, however, is not their fixity, but a continuous process of adaptation to historical necessity.

A few years ago Google developed Constitute, a regularly updated online platform that aims at comparing different constitutions in the world; the launch of this initiative brought to light important data about the variability of constitutions: every year an average of five new ones are born and thirty are modified. You would be forgiven for thinking that this is mostly the case for recently formed states, and the assumption is not completely wrong, but a quick look at Constitute shows that older states, whose constitutions date back to the end of the eighteenth century, have also introduced amendments to these. Among the states of the European Union (EU), only Denmark seems not to have modified its constitution since 1953, when it was first put in writing; data about all the other EU states indicate that their texts have all been reviewed at some point in the twenty-first century.

Constitute allows for a practical understanding of these changes: using its research tools it is for example possible to search and compare legislations on indigenous populations; as it may be expected, most results are related to the constitutions of Latin American countries, together with other former colonial countries such as Uganda, Angola, India and Kiribati, whose constitutions are younger and therefore more attuned to the rights of vulnerable populations. Next to these states, however, we also find the names of older European nations interested in protecting the equal right to representation, self-governance and vote of the different ethnicities within their borders: in addition to recently formed states, such as Slovenia (created in 1990 and whose constitution dates back to 1991), and those born from territorial disputes, such as Portugal (which in 1975 already recognised regional and administrative autonomy to the Azores and Madeira), the case of Belgium stands out: in possession of a constitution since 1831, in 1993 the country started an important constitutional reform that created a federal state, which accommodates better for the linguistic and cultural differences of the different regions – Bruxelles, Flanders and Wallonia – in which it is divided today. Significant is also the example of Greece, which has changed its constitution a number of times since 1975, introducing modifications in the field of human rights, with particular focus on its indigenous populations.

Umberto Terracini signs the Italian Constitution, Rome, 27 December 1947 - Source: Wikipedia
Umberto Terracini signs the Italian Constitution, Rome, 27 December 1947 – Source: Wikipedia

The Italian Constitution has itself been modified a number of times over the years: from its creation in 1948 to the year 2003 twenty-seven amendments have been approved with the support of two-thirds of the Chamber of Deputies and of the Senate of the Republic (Chambers) – a case which makes popular consultation unnecessary – on themes ranging from the modalities of election and parliamentary immunity, to the introduction of the concept of equal opportunities between genders. Constitutional referendums are not alien to the country either: in 2001 the Italian people approved the revision of Article Five, which extended the competences and autonomy of regions, while in 2006 the project of constitutional revision which would have transformed the Italian Republic in a federal one was rejected.

The development of referendums can be understood as a way of expanding participatory democracy: virtually all the existing democracies in the world provide for some form of popular consultation, which enables direct control of institutions on the part of citizens. Only five of the great contemporary constitutional democracies never held national referendums: Holland, Japan, India, Israel and the United States; while Belgium only ever held one national referendum, in 1950, which restored king Leopold III to its throne. The absence of referendums on a national level is often linked to the existence of federal governments, as is the case with the United States, where these are often held in counties. Switzerland’s case is somewhat similar, with countless examples of local referendums on specific issues, but changes to the constitution must be approved by popular vote nationally, which explains the high number of constitutional referendums in its history: 144 where in fact held between 1848 and 1990.

What makes Italian constitutional referendums a peculiar case is their “repudiatory” character: the proposal of constitutional revision does not come from the grass-root level, but has already been voted by the Chambers at the moment of popular consultation; article 138 of the Italian Constitution allows for referendums to be called for both by institutions and population, the latter being asked to vote on the modifications proposed in both cases. Concretely, this means that constitutional referendums have always been called for by governments when the support of the political opposition could not be obtained: it also means that the vote can bring to the surface agreements as well as strong discrepancies between institutional and popular agendas. This is why international media look with concern at the Italian referendum taking place in December: “What spooks investors” writes The Economist, “is not so much that Italy could lose a once-in-a-generation opportunity to sort itself out, but that Mr Renzi’s departure could pitch the country back into political disarray and spark a wider crisis in the EU economy”.

Cover Image: Palazzo della Consulta, seat of the Italian Constitutional Court. photo by Jastrow (Own work) [Public domain], via Wikimedia Commons

Referendum del 4 dicembre: cosa prevede la riforma costituzionale?

E’ il 4 Dicembre la data calda dell’agenda politica italiana. Reduci dalle presidenziali americane e appena scesi da una giostra di tensione, frustrazione, gioia e rabbia, toccherà a noi presenziare alle urne per votare a un referendum al fine di approvare o respingere la riforma della costituzione più stravolgente di sempre.

L’istituto del referendum è previsto dall’articolo 138 della costituzione italiana, il quale prevede che, nel caso di referendum costituzionali, perché l’esito sia considerato valido non è necessario il raggiungimento di un quorum. Ecco cosa comporta la riforma che si prefigge di modificare l’assetto istituzionale del paese.

Il bicameralismo perfetto che se ne va…..

Il parlamento si farà più imperfetto, la Camera dei deputati resterà quella che conosciamo, mentre sarà il Senato a subire modifiche notevoli. I due rami parlamentari non vivranno più in simbiotico rapporto, anzi. Saranno ora solo i deputati e non più anche i senatori, a sostenere il governo a suon di eventuali fiducie, mentre il Senato sarà solo l’espressione dei territori regionali. Infatti il Senato, nelle sue nuove vesti, diventerà un organo rappresentativo delle autonomie regionali (si chiamerà Senato delle Regioni), composto da cento senatori (invece dei 315 attuali), che non saranno eletti direttamente dai cittadini. Infatti 95 di loro saranno scelti dai consigli regionali che nomineranno con metodo proporzionale 21 sindaci (uno per regione, escluso il Trentino-Alto Adige che ne nominerà due) e 74 consiglieri regionali (minimo due per regione, in proporzione alla popolazione e ai voti ottenuti dai partiti). Questi 95 senatori resteranno in carica per la durata del loro mandato di amministratori locali.

In questo nuovo e riformato sistema parlamentare le leggi ordinarie saranno di competenza della Camera dei deputati, che resterà il solo e unico ramo dell’attuale Parlamento ad essere eletta direttamente dai cittadini. Tuttavia il Senato, ricoprendo una funzione consultiva, potrà esprimere pareri sui disegni di legge approvati dalla Camera e proporre modifiche. A tal scopo, ogni ddl approvato sarà immediatamente trasmesso al Senato della Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, potrà disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato della Repubblica sceglierà se deliberare proposte di modificazione del testo, che la Camera dei deputati, pronunciandosi in via definitiva, potrà anche decidere di non accogliere. I senatori continueranno inoltre a partecipare all’elezione del Presidente della Repubblica, dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura e dei giudici della Corte Costituzionale. La funzione principale del Senato, però, sarà quella di agire da raccordo tra lo Stato, le regioni e i comuni.

Piazza del Campidoglio (ph: Jensens by Wikimedia Commons)

Per veder ancora il Senato assumere le vesti di legislatore bisognerà aspettare la trattazione di materie che gli studiosi definiscono “di sistema”, ovvero tutte le leggi di rango superiore. Ne fanno parte, ad esempio, le leggi di attuazione dei referendum popolari e delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, le riforme costituzionali e le leggi che determinano le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea.

L’abbattimento dei costi della politica

Proviamo ora a indossare degli occhialetti da ragioniere, accendiamo il calcolatore, ma prima di tutto riflettiamo; il Senato allo stato attuale è composto da 315 membri, mentre in seguito alla riforma l’assemblea di Palazzo Madama passerebbe a poco più di un centinaio. Vero. Contestualmente il CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), composto da 64 consiglieri e con funzione consultiva per quanto riguarda le leggi sull’economia e il lavoro, verrà abolito. Salteranno dunque diverse laute poltrone? Sì. A detta del fronte a favore del “no”, tuttavia, questi tagli non saranno significativi, né soddisfacenti. Anticipiamo però al lettore che anche la riforma del titolo V potrebbe risultare motivo di risparmio di denaro pubblico. Vedremo il perché.

Riforma del Titolo V

Il Titolo V nella nostra Costituzione disciplina la ripartizione di competenza legislativa tra Stato e Regioni. Specificatamente l’art. 117 della Carta Costituzionale individua materie esclusivamente di competenza statale e materie di legislazione concorrente. Per quest’ultime la potestà legislativa spetta alle Regioni, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. La competenza concorrente riguarda materie che spaziano dai rapporti internazionali al commercio con l’estero, dalle grandi reti di trasporto e navigazione fino alla valorizzazione dei beni culturali e ambientali. Per tutte le materie non espressamente indicate, la competenza è lasciata alle regioni.

Con la riforma, invece, una ventina di materie tornano alla competenza esclusiva dello Stato. Tra queste: l’ambiente, la gestione di porti e aeroporti, trasporti e navigazione, produzione e distribuzione dell’energia, politiche per l’occupazione, sicurezza sul lavoro, ordinamento delle professioni.

Qual è la ragione alla base di questa novità?

L’obiettivo che si è prefisso il riformatore è ridefinire i perimetri di competenza di Stato e Regioni, che finora erano spesso motivo di scontro tra i due attori in seno alla Corte Costituzionale, a discapito però dell’azione di governo e della celerità della legiferazione e, non ultimo, fonte di lunghi contenziosi generatori di ingenti spese processuali. Il legislatore vorrebbe così anche mettere sul piatto qualche ulteriore taglio alla spesa pubblica.

Palazzo Chigi, sede della Presidenza del Consiglio dei Ministri (ph, Simone Ramella CCA 2.0 Wikimedia Commons)

Referendum abrogativo e leggi d’iniziativa popolare

Il quorum che rende valido il risultato di un referendum abrogativo resta sempre del 50 per cento più uno degli aventi diritto al voto, ma se i cittadini che propongono la consultazione sono 800mila, invece che 500mila, il quorum sarà ridotto: basterà che vada a votare il 50 per cento più uno dei votanti alle ultime elezioni politiche, non il 50 per cento più uno degli aventi diritto. Per proporre una legge d’iniziativa popolare, inoltre, non saranno più sufficienti 50mila firme, ma ne serviranno 150mila.

A conclusione, quando saremo in cabina di voto dovremo utilizzare cervello e/o cuore e fare liberamente la nostra scelta. Dobbiamo essere però consapevoli del fatto che una riforma potrà sempre essere perfettibile, ma affinché possa essere una reale miglioria per il sistema Italia non potrà mai prescindere dalla correttezza, dalla capacità e dall’onestà degli interpreti politici, i soli in grado di stravolgere in bene o in male l’assetto politico di un Paese. Gli istituti giuridici di cui abbiamo parlato finora, infatti, sono e saranno sempre come degli abiti di sartoria che, per quanto fine, sono in grado di differenziarsi solo se hanno un indossatore di un certo spessore.

Immagine di copertina Palazzo Madama, sede del Senato, Roma (autore: Paul Hermans CCA 3.0 Wikimedia Commons)

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