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Progetto 20k: diritto alla solidarietà

In questi giorni abbiamo spesso chiamato in causa 20K. Vediamo più da vicino la storia di questo Progetto ed i suoi obiettivi con Francesco, una delle menti promotrici di questa vera e propria iniziativa di solidarietà per intervenire sulla situazione di Ventimiglia

Francesco ha 44 anni, fa l’educatore e ha sempre operato nel sociale, dalle tossicodipendenze ai centri di aggregazione giovanile, dalle comunità per minori alla consulenza per le politiche giovanili in provincia di Milano. Attualmente, lavora per una grande Ong, all’interno di un programma internazionale per minori stranieri non accompagnati.

L’idea del Progetto 20k nasce nella tarda primavera del 2016 su proposta di alcuni ragazzi di Bergamo che erano stati a Ventimiglia l’estate precedente, racconta Francesco. Questi, avendo toccato con mano la realtà della cittadina ligure, sentirono l’urgenza e la necessità di un lavoro strutturato e continuativo per le centinaia di persone bloccate al confine.

credits: Progetto 20k

Alle prime riunioni informali fecero seguito i primi incontri pubblici, al Circolino della Malpensata a Bergamo e presso il Ri-make a Milano, con la volontà di aprire le riflessioni all’esterno e di attivarsi coinvolgendo quante più persone possibili.

«Questi primi incontri ebbero il pregio di riscuotere successo, non tanto dal punto di vista numerico, quanto da quello della concretezza delle individualità coinvolte. E’ venuta meno la dinamica per cui c’è un interlocutore che organizza e propone e uno che eventualmente aderisce all’iniziativa; chi veniva a questi incontri diventava parte integrante del progetto portando la sua professionalità ed il suo contributo nel momento stesso in cui il Progetto era ancora in divenire. Questo ha messo tutti noi sullo stesso livello, creando un clima molto positivo».

Sulla base dell’esperienza di chi era stato a Ventimiglia e di chi per lavoro seguiva le dinamiche migratorie come avvocato, educatore o operatore dell’accoglienza, vennero individuati i principali filoni di intervento.

Questo lavoro preparatorio contribuì al collaudo del Progetto20k che dal primo luglio e fino al 30 settembre 2016 diventò operativo sul campo, prevedendo l’affitto di un locale che potesse ospitare i volontari e garantendo la presenza stabile e quotidiana di una manciata di solidali a Ventimiglia.

credits: Progetto 20k

Durante questi 3 mesi di attività, i membri del Progetto 20K hanno fornito supporto materiale e concreto attraverso la raccolta e la distribuzione di indumenti, cibo e beni di prima necessità; informato gli uomini e le donne sul confine, dando loro gli strumenti per operare scelte consapevoli in autonomia e sicurezza; monitorato e controllato la situazione a Ventimiglia con il proposito di effettuare una più corretta comunicazione pubblica. Continua Francesco: «Raccogliere informazioni, confrontarle, analizzare i cambiamenti il più sistematicamente possibile rende noi più realmente competenti e maggiormente efficaci nella comunicazione che facciamo».

Questa prima parte del Progetto era quella inizialmente preventivata da Francesco e compagni. Con la conclusione di settembre e valutando che il flusso non si sarebbe interrotto, il gruppo prese consapevolezza che tutte le attività messe in moto necessitavano di ulteriore impegno e costanza. Come prima cosa è stato confermato l’affitto dell’appartamento, per permettere ai membri del collettivo di scendere appena possibile a Ventimiglia per mantenere sotto osservazione il frangente.

Dalla fase esperienziale e più intensa del trimestre estivo si è così passati ad un momento di costruzione progettuale.Gli scopi di questo periodo invernale sono l’aumentare il numero di competenze ampliando la rete di contatti ed organizzando incontri di formazione per far sì che tutti siano il più preparati ed aggiornati possibile.

«Una volta ogni tre settimane ci ritroviamo tra Bergamo e Milano, facciamo un’assemblea di una giornata intera in cui partiamo dalla situazione a Ventimiglia e da lì’ valutiamo possibili incentivi. Un lavoro non sul campo ma che è funzionale affinché il nostro impegno abbia risonanza.
Stiamo preparando un nuovo progetto estivo allargando lo spettro delle collaborazioni, intercettando altre realtà locali auto-organizzate come il centro sociale La Talpa e l’Orologio di Imperia o l’associazione Popoli in Arte di Ventimiglia , ma anche Onlus che hanno attivato un proprio staff su Ventimiglia, come Medici senza Frontiere o Save the Children».

Quello che Francesco ha tenuto a rimarcare è l’atteggiamento di apertura di 20K, la volontà di mettere insieme soggetti diversi con lo scopo unico di porre in relazione i migranti con il resto della società.

credits: Progetto 20k

Chiacchierando con Francesco, mi riferisce dei messaggi che arrivano da oltre frontiera al Gruppo. Raccontano di avercela fatta e li ringraziano. Sono messaggi che parlano di amicizia e scambio. Francesco sottolinea come per molti dei chabeb che arrivano a Ventimiglia, loro hanno rappresentato la prima opportunità per potersi liberare dalle tragedie viste o vissute, semplicemente parlando ed essendo ascoltati.

«Sono arrivato a 44 anni compiuti, si può dire tra i fondatori di questo Progetto e sin dal primo momento ho trovato ragazzi con 20 anni meno di me, coinvolti nel progetto solo da qualche giorno, che nel vivere l’esperienza lì a Ventimiglia erano loro riferimento per me; erano loro che tenevano il polso della situazione, sapevano cosa c’era bisogno di fare e io, di conseguenza, mi rivolgevo a loro. Questo per me è stato molto importante perché mi ha dato la percezione di aver costruito qualcosa di fortemente coinvolgente».

credits: Progetto 20k

Com’è oggi la situazione a Ventimiglia?

«Ad oggi, girano insistenti voci sul tentativo di svuotare il campo della Croce Rossa: non si capisce se con l’intenzione di chiuderlo o di alleggerirne le presenze. Come conseguenza di questo allontanamento dal campo, abbiamo registrato un aumento delle persone che dormivano in stazione. In generale, tra campo della Croce Rossa e persone fuori dal campo, ci sono tra i 400 e i 500 migranti a Ventimiglia; poi ci sono le famiglie con i bambini, diciamo 100-120 persone, che sono ospitate alla chiesa delle Gianchette. Se si rivelasse esser vera la notizia della chiusura del campo della CRI e con la continuazione dei flussi, si riproporrebbero situazioni già viste, come l’aumento delle deportazioni, l’intervento massiccio della polizia, ecc ».

Per partecipare attivamente al Progetto basta poco, è sufficiente andare ad uno degli incontri, mettere a disposizione parte del proprio tempo, partecipare alle raccolte di cibo ed indumenti, condividere l’informazione, interessarsi. Prossimo appuntamento, un grande e vento di due giorni, che si terrà il 31 marzo ed il primo aprile al c.s.a. Pacì Paciana di Bergamo, dove presenteranno il progetto 2017 alla luce dei contatti raccolti negli ultimi mesi.

Sul confine: ai margini della vita nuova

Questo viaggio vede come protagonisti l’entusiasmo di una giovane, una città di confine, un progetto d’amore e fedeltà.

Sara, studentessa e figlia di immigrati integratisi a Milano, aspira a una carriera nelle organizzazioni internazionali, per provare a correggere dall’interno quello che lei coglie come uno scemare di credibilità negli anni. Attraverso l’evento Nuit Debut Milano e una serie di incontri presso il centro sociale Ri-Make, viene a conoscenza del neonato progetto 20K.

Ventimiglia, comune della provincia di Imperia conosciuto come “Porta occidentale d’Italia” in quanto territorio di confine con la Francia, è lo scenario ospite in cui un gruppo di attivisti che credono nel diritto alla libera circolazione hanno organizzato un campo autogestito dove svolgere attività plurime per assistere i migranti che tentano d’attraversare la frontiera.

All’ordine del giorno il costante monitoraggio della situazione, il supporto materiale (distribuzione di beni di prima necessità) e la trasmissione di informazioni relative ai diritti e alla sicurezza di viaggio ai migranti, piuttosto che riguardo la cronaca degli avvenimenti di Ventimiglia al mondo.

L’anno scorso una simile iniziativa era stata condotta per qualche mese presso la spiaggia dei Balzi Rossi (sito archeologico che vede un complesso di grotte ornare la falesia calcarea) dove No borders, solidali e migranti avevano stanziato presidio; sfrattati da quel ritaglio di terra ch’erano riusciti a organizzare, i migranti hanno ricreato quasi spontaneamente un nuovo “campo informale”.

Sara, desiderosa di superare la semplice forma dell’assistenzialismo ed essere parte attiva nella realizzazione del progetto a stretto contatto con questa realtà di “ricerca di vita ”, poche settimane dopo la nascita di 20k parte alla volta dell’estrema punta ligure.

«Il 17 Luglio, assieme a altre due ragazze e una buona dose d’ansia, mi sono messa in viaggio.
Ventimiglia, solcata dal fiume Roja, si è presentata per un istante nelle sue due metà: quella medievale, ch’è secondo centro storico ligure per estensione dopo Genova, e quella più moderna (edificata dall’800 in poi).
Abbiamo proseguito per la valle sino all’ex parco ferroviario dove, nelle vicinanze della struttura d’accoglienza di Croce Rossa e Caritas, sorgeva il campo autonomo».

«Arrivata a destinazione, ho potuto vedere in prima persona la drammaticità della situazione: gli chabeb (“ragazzi” in arabo; termine che preferiamo a “migrante”) che non si fidavano delle procedure identificative al centro della Croce Rossa si riversavano in massa da noi. Ogni giorno abbiamo contato un flusso di 250/300 persone; alcuni tentavano la sorte provando ad attraversare il confine e altri, sfiniti da immensi viaggi o rispediti indietro dalla frontiera Francese, giungevano a momentaneo riparo».

In questo panorama di terra cocente e rotaie, di monti che s’ergono attorno e treni merci che scherniscono al loro passare inscenando una improbabile fuga, il campo era ben organizzato: in 6 strutture (ex stalle) situavano i dormitori, un efficiente info point con libreria che elargiva informazioni legali su questioni principalmente legate alle richieste d’asilo politico, una cucina-dispensa dotata di fornelli, pentole e prodotti per l’igiene e, infine, un ambulatorio per visite mediche dove dottori volontari prestavano quotidiano servizio. Anche gli spazi aperti venivano adibiti a funzioni sociali: segnaletiche in arabo indicavano le zone del parrucchiere, quelle adibite al gioco del pallone e alla preghiera.

«In breve abbiamo avviato dei corsi introduttivi di lingua inglese e francese e trovato il modo di installare una doccia funzionante, anche se l’allaccio all’acqua ci è stato tolto poco dopo».
Dalla sua nascita, il campo informale ha avuto sempre rapporti difficili con le istituzioni e il vicino centro della Croce Rossa, così che i tentativi di sabotaggio dell’iniziativa sono stati molteplici e continui: dai piccoli furti e danni materiali, all’ordinanza della prefettura di bloccare la raccolta dei rifiuti.

«Queste le risposte al fatto che i migranti preferissero stazionare al campo informale piuttosto che a quello istituzionale dove la procedura di registrazione era sempre più simile a un’identificazione: per accedere alla mensa, alle docce e al servizio medico era necessario un badge con codice a barre e fotografia al posto del precedente tesserino nominale. Dei 180 posti disponibili all’interno della struttura solo una sessantina erano occupati».

Sara ricorda con amarezza gli ultimi giorni di Luglio: nonostante i viglili del fuoco avessero decretato, in seguito ad un sopralluogo, la sicurezza della cucina del campo, polizia e digos hanno smantellato tutto, giustificandosi con la supposta inutilità del locale, in quanto il cibo per i migranti era già messo a disposizione dalla Croce Rossa.

Questi i preludi del definitivo sgombero dell’intera zona avvenuto il primo Agosto. Le forze di polizia hanno fatto incursione la mattina presto e gli chabeb, dopo una breve resistenza, hanno ceduto alla paura e sono stati trasferiti obbligatoriamente all’interno del campo governativo. Espulsioni dal Paese e fogli di via per alcuni attivisti italiani ed europei a coronare la disfatta.

«Vivere a stretto contatto dell’alternarsi tra solidarietà quotidiana, repressione, speranza, deportazioni è stata una palestra di conoscenza immensa. Mi spaventa questa intolleranza per il diverso, questa gestione seriale delle vite applicata dall’occidente.

In Dicembre sono tornata a Ventimiglia per un breve periodo: la notte, in stazione, i blindati detengono il bottino della continua “caccia al nero” e chabeb dai visi coperti sgattaiolano terrorizzati dove possono per non farsi catturare.
Vi ho trovato anche l’infelice sorpresa di un’ordinanza che vieta la distribuzione di cibo per le strade della città.

Ora noi siamo quelli che stanno nascosti a sfamare i “mostri”».

Fotografie di Sara/Progetto 20K

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