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Roma, dove la pubblicità diventa street art

Roma è la città degli echi, la città delle illusioni, e la città del desiderio.
[Giotto]

 

Non c’è artista, poeta o scrittore, regista o attore, che non abbia colto passeggiando per le vie di Roma il fascino di questa città-museo, dove la storia più che mostrarsi, ci viene incontro a ogni angolo di strada, dove si passeggia tra muri di millenni lontani e il bello diventa luogo in cui abitare.

Diversa da qualsiasi altra capitale, proprio per questo suo fascino di dipinto su cui uno dopo l’altro si sovrappongono immagini di stili e forme che appartengono al susseguirsi dei secoli, più di una volta si è tentato di togliere a questa città il suo ruolo di centro politico ed economico, in sostanza statale, d’Italia. Certo, le difficoltà di poggiarsi tutta su fondamenta ricche di beni inestimabili e lo spazio urbano occupato da architetture di difficile restauro non agevolano l’ammodernamento di quest’atipica metropoli, le cui strade si aprono su pericolose voragini e la cui metropolitana, tanto per fare un esempio, conta solo tre linee a brevi tratti, mentre gli scavi per le nuove linee previste rimangono bloccate dal continuo emergere di nuovi siti archeologici.

Tuttavia, Roma non è poi così vecchia e i suoi abitanti sembrano già pronti a creare una sintesi tra l’estetica in cui sono soliti vivere e gli usi di capitali europee tanto distanti dalla nostra per cultura e approccio al territorio. Un vivace esempio di questa moderna idea di decoro cittadino, ce lo regala la Roma notturna, quando i negozi chiudono e le serrande si abbassano: è a quest’ora che le strade si colorano di dipinti a bomboletta spray, una forma d’arte del tutto contemporanea che perfettamente si concilia con le esigenze della moderna economia.

È dai primi anni del duemila, infatti, che a Roma si sta diffondendo un’abitudine già ampiamente diffusa nelle città nordiche, forse prima tra tutte Berlino, esempio principe di una città che non si abbandona alla propria storia, ma ricostruisce la propria immagine con uno stile del tutto nuovo, fondato sul sincretismo tra passato e presente; allo stesso modo, tra un monumento e l’altro della capitale italiana, s’impongono all’attenzione le saracinesche dei negozi, che ripropongono in tratti colorati le attività che si svolgono al loro interno.

 

Negozio chiuso nel quartiere di San Giovanni in Laterano – Roma
ACI Delegazione Re di Roma, via Pinerolo, nel quartiere di San Giovanni in Laterano – Roma
Agenzia di Scommesse SNAI in piazza San Giovanni in Laterano – Roma
Vineriagallia, via Gallia, nel quartiere di San Giovanni in Laterano – Roma

Come spesso accade, nel nostro Paese forse più che altrove, la spontanea iniziativa imprenditoriale è presto stata oggetto di accuse: gli esercenti, infatti, non sono tenuti a chiedere autorizzazione per promuoversi dipingendo direttamente sulle serrande, le quali non sono contemplate come mezzo per veicolare pubblicità dalla legge di riferimento (delibera 100 del 2006), e più di una voce si è sollevata a sostenere che l’obiettivo fosse proprio quello di evadere le tasse dovute allo Stato nel caso d’installazione di un’insegna esterna. Di fatto, gran parte delle attività che usano questa pratica la accompagnano con una regolare insegna, quindi la pittura sulle saracinesche non sarebbe da includersi come operazione a fini pubblicitari, ma come mera decorazione.

A ciò si aggiunge il fatto che, sebbene non in termini di tasse, tale operazione comunque contempla delle spese (mediamente sui 300 €) e offre un’opportunità di guadagno per molti giovani writers, tra i quali diversi hanno ora una firma attestata e altri si sono organizzati in gruppi che agiscono come aziende, comprensive di sito in line attraverso cui contattarli.

Al di là delle polemiche, la pratica continua a diffondersi per le vie della capitale e negli ultimi dieci anni ha preso piede anche in altre città italiane, da Milano a Torino, riflettendo a pieno la politica alla base della street art, che vuole trasformare le grigie metropoli moderne in un «posto migliore da vedere» [Bansky].

Gioielleria Sabatini, via Veio, quartiere San Giovanni in Laterano – Roma
OffLicense, negozio di birre in via Veio, quartiere San Giovanni in Laterano – Roma
Edilambiente e panetteria, via Veio, quartiere San Giovanni in Laterano – Roma
Happy Feet, calzature per bambini e ragazzi, via Gallia, quartiere San Giovanni in Laterano – Roma
Ink Factory Tattoo, via Gallia, quartiere San Giovanni in Laterano – Roma
ZIP Sartoria Rapida, via Gallia, quartiere San Giovanni in Laterano – Roma
Pizzeria Delicious, via Gallia, quartiere San Giovanni in Laterano – Roma
Robivecchi risto-pub, via Gallia, quartiere San Giovanni in Laterano – Roma
Panificio, via Cutilia, quartiere San Giovanni in Laterano – Roma
Pizzeria Marchese, via Etruria, quartiere San Giovanni in Laterano – Roma
PhotoSì, quartiere San Giovanni in Laterano – Roma
Pigneto – Roma
Pigneto – Roma
Bar del Cappuccino, via Arenula, Rione Regola – Roma
Risivi Gioielli, via dei Pettinari, Rione Regola – Roma
Calzaturificio Timberland, Rione Regola – Roma
Negozio Weedo e Adriano Carnovale Hair Dresser Salon, via Appia Nuova – Roma

Palestra popolare di San Lorenzo: storia e resistenza di un ideale di sport per tutti

Quando parlo con i membri dell’associazione che gestisce la palestra popolare di San Lorenzo a Roma, la storia che mi raccontano è fatta di passione per lo sport e di attenzione per i bisogni del quartiere che la ospita. Come mi spiegano, il centro nasce nel 1998 «dalla constatazione della pressoché totale mancanza di spazi per fare sport nel quartiere» e si evolve nel tempo fino a diventare un luogo di aggregazione sociale e un punto di riferimento per la popolazione dello storico quartiere romano.

Presso gli spazi sportivi di via dei Volsci è possibile accedere ad una varietà di discipline: dall’arrampicata allo yoga, dalla capoeira al kung-fu, dal pugilato al karate, all’interno di un’offerta agonistica tanto variegata quanto lo è la sua utenza. La popolazione sportiva del centro è infatti composta da «bambini, anziani, studenti, lavoratori e professionisti di ogni genere», attirati dalla sua atmosfera accogliente (quando vivevo nel quartiere la porta d’ingresso era spesso semi-aperta, permettendo ai passanti di cogliere uno scorcio delle attività che si svolgevano all’interno) e dalla possibilità di essere allenati da professionisti delle varie discipline. Gli istruttori sono infatti «tutti qualificati presso le rispettive federazioni».

 

Oltre alle attività strettamente sportive, la palestra gestisce anche un’area verde comunale strappata alla speculazione edilizia assieme agli abitanti del quartiere, e lavora molto con la scuola e le altre associazioni presenti sul territorio. Il mantenimento e la cura degli spazi e delle relazioni sociali sono al cuore del loro lavoro e si affiancano al desiderio altrettanto centrale di rendere lo sport accessibile a chiunque: i corsi del centro sono generalmente offerti a prezzi modici e la palestra collabora con alcune case famiglie e associazioni di accoglienza per rifugiati, garantendo ai loro assistiti, molti dei quali minori, accesso alle attività a titolo completamente gratuito.

L’idea di sport che anima le palestre popolari è molto diversa da quella che caratterizza la maggior parte delle organizzazioni sportive ufficiali: l’attività agonistica è concepita come uno strumento di sviluppo delle soggettività «all’interno di un percorso di crescita collettiva», che ambisce a ridefinire non solo il concetto di sport, ma anche e soprattutto le relazioni sociali che risultano dall’allenarsi insieme all’interno di uno spazio condiviso. Allo stesso modo, il ripudio delle discriminazioni sociali, razziali e di genere e di forme di violenza di ogni tipo, si configura come uno strumento importante per la promozione del rispetto di se stessi e degli altri.

Chi ha vissuto a Roma o ha qualche familiarità con la città, sa che la palestra popolare di via dei Volsci costituisce un punto importante nella costellazione di spazi sociali che lavorano per mantenere vivo il tessuto culturale della capitale. Non solo: come mi viene spiegato, questo impegno si riflette anche nei notevoli risultati agonistici ottenuti. Nonostante ciò, un paio di mesi fa l’associazione ha ricevuto un’ingiunzione di sfratto da parte del comune di Roma – il quale continua a chiedere che l’affitto per i locali venga pagato – accomunandone così il destino a quello di molti altri spazi che svolgono attività socialmente significative nella capitale.

Fotografia di Reti Solidali

Secondo l’associazione, il problema sta appunto nel mancato riconoscimento dell’importante valore sociale che tali realtà ricoprono. Per contro, gli abitanti del quartiere hanno la possibilità di vedere quotidianamente il lavoro svolto dal centro, e ne riconoscono la validità, il che spiega la grande affluenza ad eventi di solidarietà come la ‘colazione resistente’ organizzata nel giorno inizialmente previsto per lo sfratto.

Lo scenario è dunque, da una parte, quello di un grande apprezzamento da parte dei cittadini e, dall’altra, della scarsa valorizzazione da parte delle istituzioni comunali, che pure non sembrano avere alternative valide da offrire. È questa mancanza di supporto che rende incerto il futuro delle palestre popolari romane, ma i cittadini della capitale possono essere sicuri che nonostante le difficoltà la loro intenzione sia di quella di andare avanti. Come mi spiegano i membri della palestra popolare di San Lorenzo, l’obiettivo è quello di continuare il loro lavoro, sicuri della sua necessità sul territorio.

Once upon a time in Rome | l’idilliaca Isola Tiberina

Un’isola, una Chiesa, un ospedale, due ponti e un intreccio di leggende. No, non è la nuova sceneggiatura di Tim Burton, ma l’Isola Tiberina, una piccola perla urbana di formazione alluvionale nel cuore pulsante di Roma.

Nota come Insula Tiberina, Isola dei Due Ponti – Ponte Cestio e Ponte Fabricio – Licaonia o semplicemente Insula, si erge maestosa tra le acque del Tevere. Lunga poco più di 300 metri e larga non più di 90, a conferirle il primo velo di mistero è la forma: leggenda vuole infatti che l’isola sorga sul relitto di un’imbarcazione sommersa, assumendone la tipica forma.

Addentrandosi in questa epopea romana si torna al 509 a.C., al tempo di Lucio Tarquinio Superbo (ultimo Re di Roma) vittima di una rivolta popolare che gettò nel fiume il deposito di grano del tiranno in quantità così abbondante da formare l’isoletta. Ma la più conosciuta resta quella legata al culto di Esculapio (Dio della medicina): la terribile pestilenza del 291 a.C., un serpente e un Tempio in suo onore sui resti del quale venne costruita la Chiesa di San Bartolomeo.

Le antiche tradizioni mediche non si sono estinte con il tempo, nel 1584 nacque l’ospedale “Fatebenefratelli” attivo tutt’ora.

Non sembra nemmeno di essere nella Capitale, il tempo è cristallizzato e se allenti la presa dei pensieri puoi sentirne la leggerezza che ti scorre tra le dita, storia dopo storia. Tanto piccola quanto ricca, dalla giusta prospettiva è possibile osservarla nella sua totalità, notarne i dettagli, un salvagente rosso, una terrazza, alberi in fiore come cornice di una perfetta cartolina.

La Nave di Pietra. Un piccolo forziere prezioso, una croce rossa da segnare sulla mappa.

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La strada e i suoi abitanti

“E tuttavia non v’è degradazione e turpitudine in questo abbandonarsi con primitiva spontaneità alle leggi naturali e all’istinto individuale, bensì una patetica aspirazione all’innocenza perduta, una ribellione alle aberranti sovrastrutture che soffocano nel conformismo l’istinto creativo dell’uomo”, Jack Kerouac, “on the road”.

Le ricerche statistiche documentano un aumento esponenziale degli homeless in tutte le città, in Italia sono addirittura triplicati e in Europa sono circa 50.000 le persone che si dichiarano senza fissa dimora: una vera e propria popolazione. Di fronte a questi dati, la colpa non può che ricadere sulla famigerata crisi del debito: una recessione che ha portato in strada anche chi non ha scelto di viverci e che ha costretto intere famiglie a sopportare le rigide regole del freddo e della fame.

In un’altra accezione però la strada è vita e arte allo stesso tempo e chi ha scelto di viversela ha saputo sviluppare doti di sopravvivenza che noi, nelle nostre case e sui nostri morbidi letti, neanche immaginiamo.

Questo fotoreportage nasce sostanzialmente come rivisitazione del concetto di strada, attore protagonista della vita quotidiana di ogni città del mondo. Pensateci bene, ogni città è strada e anche ogni uomo è strada, dal momento che ognuno di noi cerca di imboccarne una. Il mio tentativo è quello di dar voce a chi in strada ci è finito e a chi, invece, la strada l’ha scelta come casa, come lavoro o come fonte d’ispirazione; quindi il mendicante, il mercante e l’artista di strada.

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