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Anno nuovo, mete nuove!

L’anno nuovo porta con sé sempre quella voglia di migliorarsi e di realizzare i propri sogni, e un viaggio cos’è se non un sogno che si realizza?

Ci sono però un sacco di posti meravigliosi da visitare, e decidere dove andare è una scelta difficile. Perciò, dove andiamo nel 2018? L’abbiamo chiesto a Tiziana Mascarello, editor dei titoli fotografici di Lonely Planet.

Ci racconta qualcosa sul suo lavoro?

Lavoro in Edt nell’area Lonely Planet e, oltre che dell’area marketing, mi occupo di selezionare i titoli fotografici che pubblichiamo durante tutto l’anno. Questi libri in genere sono tematici e contengono informazioni e foto di suggestione, che sviluppano da punti di vista diversi per aiutare il lettore a decidere quale meta scegliere. Meta che poi si potrà scoprire durante il viaggio che ne seguirà, sebbene queste pubblicazioni permettano di viaggiare anche rimanendo comodamente seduti in poltrona con il libro in mano.

Lisbona, Portogallo

Qual è stata la meta di maggiore tendenza del 2017 e perché?

Ogni anno a ottobre pubblichiamo Best in Travel, che contiene informazioni riguardanti le mete che Lonely Planet consiglia perché in quel determinato anno accade qualcosa in particolare. Al suo interno vi sono classifiche di destinazioni come i top 10 Paesi, città e regioni, le tendenze di viaggio per il relativo anno e le destinazioni più convenienti.

Nel 2017 le tra le destinazioni top c’era il Canada, perché festeggiava il centocinquantesimo anniversario della nascita del Paese, sancita dal Constitution Act che ne determinò l’autonomia. La meta è piaciuta molto ai nostri viaggiatori, come gli Stati Uniti, consigliati per il centenario dei parchi nazionali: c’erano infatti tariffe particolari, e sono state aperte zone in genere non accessibili al pubblico.

Tra le mete più gettonate negli ultimi anni c’è anche il Portogallo, con un occhio di riguardo per Lisbona che è la destinazione favorita dai viaggiatori all’interno del Paese. Inoltre, tra il 2016 e il 2017 hanno suscitato grande interesse Cuba e l’Islanda, per il fatto di essere entrambe isole molto particolari che incuriosiscono i viaggiatori.

L’Avana, Cuba

Quali saranno le mete da non perdere nel 2018?

Nel Best in Travel 2018 troviamo, per quanto riguarda l’Italia, Matera. La città diventerà Capitale della cultura nel 2019, ma è già pronta a ospitare i visitatori, poiché ha intensificato le attività culturali e, non essendo ancora troppo turistica, è meglio visitabile. Inoltre, a fine dicembre è uscita la prima guida delle Dolomiti, meravigliosa destinazione Patrimonio dell’Unesco, e tra pochi giorni verrà pubblicata la prima guida Piemonte, regione che sebbene poco conosciuta offre un connubio perfetto tra storia, arte e natura tutto da scoprire.

Il viaggiatore Lonely Planet è molto curioso e vuole visitare anche luoghi meno consueti: nel 2018 il Best in Travel consiglia la Georgia, che un secolo fa aveva avuto un breve periodo di indipendenza e festeggia quest’anniversario. Il Paese è ubicato in una regione che ha mantenuto uno spirito tradizionale molto forte, quindi c’è molto da scoprire all’interno di essa.

Per quanto riguarda l’Europa, l’Andalusia è una di quelle regioni che hanno una combinazione vincente tra clima meraviglioso, gente meravigliosa, arte e cultura. Siviglia si sta trasformando in una città sempre più vivibile ed ecologica, e dato che nel 2018 cade l’anniversario della nascita del pittore Murillo, ci saranno diverse mostre dedicate a lui stesso e all’arte barocca.

Un’altra città europea da visitare nel 2018 è Anversa, che quest’anno offre un mix di arte barocca, ospitando un’importante rassegna di pittura a cui prenderanno parte anche artisti fiamminghi. Inoltre, si stanno riqualificando gli spazi più periferici con opere d’arte e architetture particolari e interessanti: la città vuole allargarsi tramite iniziative culturali anche al di fuori del tracciato turistico classico relativo al centro storico.

Anversa, Belgio

Fuori dal continente europeo, la destinazione top del 2018 è il Cile, che festeggia l’importante anniversario dei 200 anni di indipendenza: per l’occasione, è aumentata la quantità di voli che raggiungono il Paese. Il luogo che il viaggiatore indipendente e avventuroso preferisce all’interno del territorio cileno è Valparaiso, città d’arte costiera, dove si respira un’atmosfera suggestiva tra il romantico e il bohémien.

I flussi turistici negli ultimi anni hanno subito anche il fascino del Giappone. Lonely Planet consiglia di visitarne i luoghi meno noti, specialmente la Penisola di Kii che ora è più accessibile e ancora poco turistica.

Ci sono mete che non passano mai di moda?

Una delle destinazioni top di sempre tra le città continua ad essere New York, la cui guida è in cima alle classifiche di vendita da moltissimi anni. In Italia invece è indiscutibilmente la Sicilia, che piace sempre ai viaggiatori.

New York, USA

Ci sono invece destinazioni che hanno riscosso interesse per tempi molto brevi?

La città di Stoccolma ha meno successo rispetto agli anni scorsi per l’emergere di altre destinazioni, e la stessa cosa succede in America latina per la Bolivia, ora meno visitata perché offuscata dal successo turistico di Cile ed Argentina.

Una delle guide meno vendute negli anni è stata quella di Seoul, ma era stata pubblicata anni fa, quando i tempi non erano ancora maturi. Anche la Tunisia era una destinazione molto amata dai visitatori, e oggi Lonely Planet non ha guide su di essa in catalogo.

Viaggi e sicurezza: c’è davvero paura?

La sicurezza inevitabilmente influisce sui flussi turistici, ma alcune destinazioni, come ad esempio Parigi e Barcellona, subiscono un contraccolpo nell’immediato e in seguito si riassestano. Da quello che vediamo e che i nostri viaggiatori ci comunicano attraverso i social e le mail, percepiamo che si continua a viaggiare, per fortuna. Il viaggio è sempre un elemento forte, va oltre alla paura.

Siviglia, Andalusia, Spagna

Cosa cerca oggi il turista?

I viaggiatori di Lonely Planet cercano luoghi particolari e viaggi in cui fare cose, vivere esperienze. È per questo che pubblichiamo anche libri tematici che danno indicazioni su come viaggiare alla scoperta di nuovi luoghi on the road, a piedi o in bicicletta. Si cercano viaggi d’esperienza, che permettano di conoscere un luogo non solo attraverso una visita di passaggio, ma anche tramite attività, per vedere tutto più da vicino. Il viaggiatore è consapevole, si informa e conosce i posti, li vive in modo più approfondito anche attraverso il contatto con i locali e la loro cucina.

Lei dove andrà nel 2018?

A Berlino, che non ho mai visto in estate, e in Asia Centrale, probabilmente nelle zone dell’Iran, ma il viaggio è ancora tutto da costruire.

PUTIA | sicilian creativity, quando l’artigianato fa rete

Bottega: luogo reale e ideale, che identifichiamo con l’artigiano intento sui suoi prodotti, con l’odore del legno e i ferri sul tavolo.
“Bottega”, una parola dal sapore antico. Figuriamoci se la pronunciamo con la cadenza calda e accogliente di un dialetto italiano. In Sicilia, ad esempio, suonerebbe come “putìa”. Ma quella che vogliamo raccontarvi è una putìa dei nostri giorni, che la tradizione vuole circoscriverla e amplificarla al tempo stesso: benvenuti in PUTIA | sicilian creativity, piccolo negozio di Castelbuono (Palermo) e network in espansione; progetto imprenditoriale che valorizza l’artigianato indipendente ma anche gli artisti che sperimentano materiali locali.

«PUTIA nasce un po’ prima del mio arrivo», anticipa Stefania Cordone, art director e responsabile della selezione dei fornitori. Ma lei questa storia l’ha seguita fin dall’inizio, con lo stesso entusiasmo con cui, oggi, racconta ad ogni turista le origini dei prodotti esposti in negozio. Era il 2014 quando Giuseppe Genchi e Michele Spallino, esperti di marketing e comunicazione, decidono di orientare il proprio lavoro sulla valorizzazione degli artigiani locali. Affittano uno spazio incastonato tra le pietre del cortile Poggio San Pietro, accanto al Castello dei Ventimiglia, principale attrazione del paese. L’intuizione arriva presto: l’ufficio è grande e centralissimo, sarebbe un peccato sacrificarlo solo alle riunioni di lavoro. PUTIA diventa una vetrina dell’artigianato e dell’arte.

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Stefania si innamora del progetto e ne sposa la causa: «L’obiettivo è raccontare una Sicilia diversa da quella che intuiscono i turisti filtrando dagli stereotipi. Vogliamo raccontare la Sicilia di chi resta, della resistenza e della resilienza: gli artigiani con cui collaboriamo abitano quasi tutti in Sicilia oppure, se non restano, la portano con sé e la raccontano nei loro manufatti».
Un altro criterio di selezione dei prodotti è la materia prima: «Un racconto della Sicilia attraverso i suoi materiali: ceramica, pietra lavica, corallo, legni autoctoni come il frassino e l’ulivo, e soprattutto la manna, fiore all’occhiello di Castelbuono».

Ne risulta una mappa della nuova creatività siciliana, che trova letteralmente forma nel pannello sagomato sulla forma della Sicilia all’interno del negozio-laboratorio, dove sono indicate le località di provenienza dei diversi produttori, suggerendo un altro modo di vedere e viaggiare in questa regione. «Quello che esponiamo e vendiamo è un pretesto per raccontare tutto quello che di bello c’è in Sicilia, nonostante sia una terra difficile. E io lo so» sottolinea Stefania «perché ho scelto di vivere qui».
Capiamo subito l’obiettivo profondo del team di PUTIA, ossia Michele, Stefania e Cinzia Venturella: scardinare antichi cliché con parole e azioni nuove, come consumo critico e km 0, filiera di qualità e slow life.

E poi ci sono le parole di Stefania, cantastorie che dà voce ai racconti di cui le opere sono testimonianza muta. «Sono il nostro valore aggiunto. Lo faccio ogni giorno e non mi stanco, perché scopro sempre qualcosa di nuovo». E così ci racconta la storia dei taccuini a marchio Edizioni Precarie(in copertina): la fornitrice è Carmela Dacchille, pugliese d’origine e siciliana per vocazione, che con la linea Conserva la tua freschezza! riutilizza la carta alimentare che nei mercati di Palermo avvolge carne, pesce e formaggi, per conservare, stavolta, la freschezza dei pensieri.
Ci sono le ceramiche Don Corleone di Taormina, i gioielli di Roberto Intorre, gli Animalberi di Vera Carollo… ma vogliamo parlare anche del discorso sull’arte sviluppato da PUTIA. E qui ritorniamo al momento in cui Stefania si unisce all’impresa.

 

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Formatasi all’Accademia di Belle Arti di Palermo, Stefania si divide tra PUTIA e il suo studio di disegno e incisione. «Al mio arrivo abbiamo pensato a un restyling del progetto, specificando il tipo di artigianato selezionato, più inusuale e innovativo, e dell’allestimento, per valorizzare PUTIA non solo come negozio ma come esperienza artistica». Inoltre, il livello sottostante, prima dedicato alle riunioni, diventa un’art gallery.
Sede di mostre personali e di una “collezione permanente”, «perché l’arte ha bisogno di un raccoglimento diverso dall’attenzione riservata all’oggettistica», ma anche presentazioni di libri, dischi e workshop. Con PUTIA Gallery l’educazione alla bellezza si unisce all’obiettivo più strettamente commerciale: avvicinare un flusso di visitatori che, attirato dai prodotti, torna periodicamente per partecipare alle iniziative culturali. «Anche di quei turisti che, attratti dai prodotti in vetrina, possono avere un approccio involontario all’arte».

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«In realtà non è stata pensata come strategia commerciale», ammette Stefania, «è una conseguenza delle nostre relazioni con artisti e artigiani: creatività genera creatività». L’input iniziale, insomma, è più genuino, ma la formula funziona: il franchising è un obiettivo ancora futuribile e prematuro, ma il network del “made in Sicily” sta prendendo piede grazie ai nuovi media, una risorsa in più per le nuove realtà artigianali. «Per ora la nostra unica vetrina online è stata la pagina Facebook, poi si è aggiunto Instagram e ora stiamo progettando l’e-commerce».

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Il lavoro non è semplice, ma può dare nuovi stimoli per riflettere sul proprio essere artigiano oggi. «Proporre una visione culturale e politica è un modo importante per noi giovani per dichiarare di esserci, soprattutto oggi che per vendere non sono necessarie delle sedi fisiche e non basta più il passaparola».
Creatività e strategia, queste le due parole chiave per l’artigiano di oggi. «E tanta caparbietà: torno alla parola “resilienza” ». Oggi su TripAdvisor PUTIA è la terza attività di Castelbuono dopo il Museo Civico al Castello: «Questo significa che stiamo lavorando bene e che le persone lo riconoscono. L’esserci su questo territorio, un piccolo paese, ha una gestazione lenta, come la lavorazione artigianale richiede la lentezza del fare. Ma i risultati ci ripagano».

Paesaggi e storie della provincia italiana

C’è una leggenda nel paese cui sono legate le radici materne di Sara, a spiegazione di una buffa donazione che dal 1500 a oggi fa mostra di sé, non senza polemiche e dispute teologiche, nel Santuario della Madonna delle Lacrime, all’ingresso di Ponte Nossa, nascosto tra le montagne bergamasche: la leggenda del coccodrillo. «Il coccodrillo appeso in Chiesa- racconta da anni la nonna di Sara ridendo -viene dall’Adriatico e ha risalito il Po prima, il fiume Serio poi, arrivando fino a qui. Ma mangiava solo giovani vergini e a Ponte Nossa è morto di fame».
Straordinario è che trovi il racconto divertente, anziché offensivo; Antonella, sua figlia, spiega così le origini di un pensiero tanto emancipato: «Il paese è formato soprattutto da forestieri, persone nate in paesi più o meno limitrofi e arrivate qui per lavorare nelle industrie fiorite ai margini del fiume. Quando ero bambina, Ponte Nossa era limitato alla via del centro e poche altre case sparse, circondate da distese di campi e boschi; negli anni ’60 sono apparsi i primi condomini e il paese ha iniziato a trasformarsi in un villaggio operaio, anche se un po’ atipico per via della dislocazione montana».
La fissità che gli occhi di Sara hanno sempre attribuito al paesaggio di Ponte Nossa è molto meno datata di quanto avesse supposto: «Dagli anni ’50 il paese è cambiato molto. –continua Antonella- Pensa alla strada provinciale, su cui le case un po’ vecchie si affacciano a strapiombo: da ragazza vedevo passare soprattutto carretti, le macchine erano poche e lente; oggi le sue due corsie non bastano più e quotidianamente è intasata dal traffico».

Ponte Nossa (BG), area industriale [ph. Ago76 /CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons]

A preservare Ponte Nossa è il suo isolamento, la distanza da grandi centri urbani e la collocazione geografica che ostacola una cementificazione eccessiva; negli stessi anni in cui esso assumeva le sembianze di un ameno centro abitativo montano, altri paesi di provincia perdevano il proprio aspetto caratteristico, inglobate da un’urbanizzazione incipiente. «La zona dove abitavo a Mestre, nei pressi di via Garibaldi, è ora parte del centro, ma all’epoca, negli anni ‘60, era quasi in periferia, proprio al limitare della città. –racconta ad esempio Raffaella Rossin- La mia realtà era un misto di città e campagna. Abitavo in un condominio, ma appena dietro casa mia iniziavano i campi, dove andavamo sempre a giocare.
Diversi ragazzini del centro venivano apposta nella nostra zona il pomeriggio o la domenica, attirati dai grandi spazi che permettevano più libertà di movimento e di svago; la maggior parte dei nostri giochi si svolgeva all’aperto e in gruppo: mosca cieca, pescatore (una sorta di “lupo”, ndr), campanon, calcio. Spesso ci facevamo dare delle cassette vuote dal fruttivendolo del quartiere e le usavamo di volta in volta come fortino, casa, negozio, a seconda del gioco che si faceva.
Da questi campi in cui da bimba scorrazzavo, oggi passa la tangenziale interna».
Della stessa drastica trasformazione, Raffaella racconta quando parla della campagna ferrarese, dove da bambina trascorreva le vacanze, ospitata dai nonni: «I miei nonni materni vivevano in un’enorme casa nei pressi di Ro Ferrarese, piuttosto isolata e vicina a un pioppeto, concessa loro in usufrutto per il lavoro di mio nonno, che faceva il taglialegna. La casa era poco funzionale, non aveva elettricità, né acqua corrente, con il bagno in cortile e la stufa a legna per riscaldarla, ma per noi bambini era stupenda, piena di stanze misteriose e con tutto lo spazio per giocare e correre. C’erano inoltre pulcini e conigli da rincorrere e cui dare da mangiare, nonché i giochi in legno costruiti da mio nonno, semplici, ma che a noi bastavano. Gli animali non mancavano anche nella casa dei miei nonni paterni, che abitavano in un borgo di campagna ed erano agricoltori. Qui davamo da mangiare a galline e maiali e spesso aiutavamo i nonni nei campi, raccogliendo la frutta, il frumento e dando una mano nella stagione della vendemmia.
Tutti questi luoghi oggi non esistono più: l’enorme casa patriarcale dei miei nonni e il pioppeto sono stati rasi al suolo e rimpiazzati da abitazioni moderne; il borgo agricolo è abbandonato e in rovina.
Quando ritorno nei luoghi della mia infanzia, mi si stringe il cuore e non li riconosco più: restano solo i miei ricordi, che mi tengo ben stretti».

Tangenziale di Mestre (Autostrada A57) [ph. Luca Fascia via Wikimedia Commons]

Una campagna che si preserva uguale a se stessa è, invece, quella che descrive Pacifico parlando della casa dei nonni, in provincia di Benevento: «Il casolare è ancora lo stesso in cui è cresciuto mio nonno e io giocavo da bambino, circondato da distese di campi; il terreno andrebbe tenuto meglio, coltivato e organizzato, così come andrebbe ristrutturata la casa, ma per farlo servono soldi che noi eredi non abbiamo. Un amico ha investito un piccolo capitale che aveva da parte in attività di questo tipo: acquista i casolari sparsi nella campagna beneventina e li rimette in funzione, sia recuperando le attività tradizionali sia integrando con il turismo».
Ben preservato è anche il paese di Faicchio, dove Pacifico ha trascorso la sua infanzia, che dal monte Acero si affaccia su queste campagne, conservando memoria delle origini sannitiche nella cinta muraria che ne cinge la vetta: «Nel corso del Novecento, il numero di abitanti e case è ovviamente aumentato anche qui, ma fino alla fine del secolo ha mantenuto pressoché lo stesso aspetto, caratterizzato da monumenti delle diverse epoche storiche: dall’acquedotto romano in cui da bambino mi infilavo per attraversare il centro del paese, al Castello Ducale, con le sue cappelle affrescate e gli arredi settecenteschi».
Le nuove normative edilizie hanno però comportato rimaneggiamenti per la messa in sicurezza di alcune aree, portando a restauri talvolta molto discussi; Pacifico riporta l’esempio del Ponte Fabio Massimo: «Era un ponte bellissimo, basato su una struttura fatta dai sanniti: qui i sanniti hanno respinto l’attacco dei romani, Fabio Massimo ha frenato l’avanzata di Annibale e la stessa strategia è stata adottata in uno scontro tra un contingente tedesco e una divisione statunitense durante la Seconda Guerra Mondiale. Nel 2008 un architetto l’ha restaurato e adesso è orribile: ha una copertura moderna che nasconde tutto il fascino della struttura in pietra, che mostrava i restauri stratificati delle diverse fasi della repubblica romana».

Ponte Fabio Massimo, Faicchio (BN) [ph.Adam91 /CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons]

Di un’attenzione particolare alla conservazione dello stile del proprio paese racconta Gabriele, nato a Polizzi Generosa, Comune alle porte di Palermo: «La Soprintendenza alle Belle Arti impone una certa attenzione a qualsiasi rimaneggiamento del ricchissimo patrimonio artistico e culturale del paese, per il quale però spesso mancano risorse. Negli ultimi anni si nota una concentrazione degli sforzi su alcuni punti di maggior interesse: piuttosto che far poco per tanto, si è scelto di fare tanto per pochi. L’esempio più lampante sono i lavori di restauro della Chiesa Madre, che hanno permesso di completare la pavimentazione (assente da che ho memoria), rinnovare la sacrestia e creare un piccolo museo, e quelli del Palazzo Comunale, che hanno riportato alla luce i resti di una necropoli greca, oltre che fatto emergere il vecchio cortile. Dal punto di vista dell’attività edilizia, il paese sembra invece essersi fermato con l’avvento del nuovo millennio: non ci sono più cantieri e anche l’economia sembra aver subito un brusco rallentamento».
Il paese di Polizzi, figlio di ventisette secoli di storia, fondato dai sicani e influenzato poi dalle dominazioni greca, araba e normanna, ha fatto della preservazione del proprio patrimonio un baluardo, forse memore di un episodio storico che Gabriele dice tramandato nella memoria popolare fino ad oggi: «Fino al Settecento, il fonte battesimale della Chiesa Madre era retto da una statua della dea Iside ritrovata in uno scavo; nel 1771 il vescovo di Cefalù, ritenendola blasfema, ne ordinò la distruzione, nonostante le proteste degli abitanti, che fino a oggi ne conservano ricordo nell’etimologia di Polizzi: la Polis Isis, la Citta di Iside».

Polizzi Generosa (PA) [ph. Neekoh.fi /CC 2.0 via Wikimedia Commons]
Articolo scritto da Sara Ferrari e Lucia Ghezzi
Si ringraziano per la disponibilità Antonella Ferrari, Raffaella Rossin, Pacifico Ciaburri, Gabriele Brancato.

[In copertina: Faicchio, vista panoramica da monte Erbano
(ph. Adam91/CC BY-SA3.0 via Wikimedia Commons)]

Mollo tutto per vivere in barca a vela

«Fa un freddo terribile e questo vento prima o poi mi porterà via».
E’ febbraio e sono a Falmouth, in Cornovaglia, sulla mia barca. Ho guidato sette ore il venerdì sera per arrivare qui per alcuni lavori di sistemazione da fare sull’imbarcazione; e proprio questo weekend c’è una tempesta.
Sto aiutando il mio ragazzo Ryan a salire in testa d’albero del nostro piccolo catamarano per misurare il sartiame. Mentre saltello qua e là da un lato all’altro dello scafo, tendendo il metro avvolgibile e scribacchiando numeri, controllo che Ryan ci sia ancora: questo vento potrebbe farlo cadere dai dieci metri d’altezza a cui si trova.
Per un secondo l’idea di mollare un buon lavoro, il caldo confortevole di una bella casa, seppure in affitto, gli amici e la famiglia, e partire all’avventura su una barca a vela mi pare assurda. Poi, non appena Ryan scende al sicuro e siamo al riparo nella cabina, con tutte le misure che ci servono scritte sul mio quaderno, sorrido.
Lo stiamo veramente facendo: stiamo sistemando la nostra barca e finalmente salperemo per il Mediterraneo.

Una decina di mesi fa, lo scorso Maggio, mi stavo rilassando su una spiaggia naturale, camuffata e nascosta tra le coste di Maiorca, lontano dal tempaccio inglese e dai resort affollati dell’isola spagnola. Stressatissima a causa del mio lavoro come capo di dipartimento di un’agenzia di marketing digitale a Manchester e riluttante all’idea di riprendere l’aereo di lì a pochi giorni, ho iniziato a divagare in riflessioni sulla vita:
«Perché dobbiamo per forza ammazzarci di lavoro fino ai settant’anni, per poi goderci dieci o quindici anni di dolce far niente, magari costretti in un letto di ospedale? Chi l’ha deciso? Chi dice che dobbiamo per forza accantonare tutti i nostri sogni e sperare di poterli realizzare solo quando saremo vecchi e stremati?»
A un tratto, la vita regolare che pure mi aveva regalato non trascurabili soddisfazioni, non aveva più senso. Mi ero resa conto di trascorrere la routine quotidiana di quella vita che i più considerano normale, in attesa di quei momenti di pausa, spesso vissuti a contatto con la natura, che mi ridavano energia; stavo vivendo solo per arrivare al weekend per fare arrampicata oppure per le vacanze dedicate allo scuba diving.
Per la prima volta nella mia vita, ho capito che non dovevo per forza adeguarmi.

Ho la fortuna di poter fare il mio lavoro ovunque, a patto di avere una buona connessione internet, quindi perché rimanere intrappolata in una città grigia e fredda nel Regno Unito? Ho sempre avuto troppa paura di mettermi in proprio come freelancer perché avevo affitto e bollette da pagare, ma vivere in barca a vela elimina tutti questi costi e i relativi problemi.
Quindi, eccomi qui. Sto per iniziare l’avventura più rischiosa, ma anche la più emozionante della mia vita!
A fine Agosto 2016, io e Ryan abbiamo comprato un catamarano Heavenly Twins costruito nel ’77, lungo poco meno di otto metri. Non è grande, ma ha tutto ciò che serve: cambusa con forno e fornelli, cuccetta matrimoniale, “soggiorno” e bagno. Sarà la nostra casa galleggiante per il futuro prossimo. La barca, che abbiamo chiamato Kittiwake, ci è costata meno di un’auto nuova e vivremo a bordo frugalmente e in modo ecosostenibile, una scelta etica che avremmo sempre desiderato fare e che ora potremo realizzare.
Ciò che fa sentire me e Ryan vivi sono le avventure: campeggiare su isole deserte, scalare scogliere, conquistare la cima di una montagna, fare snorkeling con le tartarughe marine, … Così, nel mese di Maggio sistemeremo al meglio Kittiwake per renderla confortevole e poi partiremo alla volta del Mediterraneo, entro Giugno 2017.

Nell’attesa di partire, tra una riparazione e l’altra, fantastichiamo su mete sempre più lontane, pur avendo già ideato un tragitto definitivo. Facilmente ci scontreremo con ostacoli climatici che ci rallenteranno e non siamo certi delle miglia nautiche che realmente riusciremo a coprire: la sicurezza è per noi la cosa più importante, consapevoli che vivremo in balia dei movimenti del mare e del vento, ma la nostra ambiziosa rotta è disegnata sulla mappa!
Partiremo da Falmouth, in Cornovaglia, e attraverseremo la Manica vicino a Salcombe, in Devon. Da lì costeggeremo la Francia fino alla baia di Biscay, che in parte dovremo attraversare di notte per mancanza di punti d’approdo cui ancorare la barca.
Esploreremo poi il nord della Spagna e il Portogallo, dove trascorreremo le notti cullati dalle tranquille acque delle foci dei fiumi, protetti dalle correnti vigorose dell’oceano. Qui, speriamo di riuscire a fare qualche arrampicata sulle impressionanti scogliere portoghesi e, chi lo sa, magari impareremo anche a fare un po’ di surf.
Raggiunto il sud della Spagna, attraverseremo lo stretto di Gibilterra e ci dirigeremo verso le isole Baleari; abbiamo deciso di dedicare un intero mese all’esplorazione delle belle isole spagnole e delle loro cale naturali, cogliendo l’occasione anche per qualche allenamento nel freediving.

Navigheremo poi nel Mare di Sardegna, per arrivare sull’isola italiana nei pressi di Portoscuso; di qui, percorreremo la costa sarda verso sud per avvicinarci alla Sicilia, sfioreremo il Tirreno e raggiungeremo quindi il Mare di Sicilia e Marsala.
Dopo aver costeggiato la parte sud-ovest dell’isola, dovremmo attraversare nuovamente il Mare di Sicilia, questa volta in direzione di Malta. Qui, trascorreremo l’inverno navigando, tempo permettendo, tra le isole di Comino, Gozo, Cominotto e gli scogli minori di St. Paul’s e Filfola; speriamo anche di poter fare diving prima che arrivi il freddo, così da poter vedere i cavallucci marini. Ci avventureremo alla volta degli spettacolari sentieri e falesie dell’arcipelago maltese tra Novembre 2017 e Marzo 2018; Malta ha inverni molto miti e spesso le temperature sono intorno ai venti gradi fino a Natale, quindi è il posto ideale per svernare.
E poi? E poi chi lo sa. Non abbiamo piani per il futuro, ma sappiamo che vogliamo vivere una vita più significativa e avventurosa, una vita che non ci intrappoli dietro una scrivania o davanti alla TV.

Potrete seguire la nostra esperienza sul nostro blog sailingkittiwake.com e sui social: per ora siamo su Twitter e Facebook, ma documenteremo il viaggio anche su YouTube, non appena partiremo.

Viaggi etici “pizzo-free”

Il turismo e le associazioni di tipo mafioso sono connessi da una stretta relazione. I rapporti circa l’incidenza delle attività illecite di stampo mafioso nei settori tradizionali evidenziano come, dopo il compartimento commerciale e quello edilizio, siano alberghi e ristoranti a guadagnarsi la terza posizione.

Le mafie investono nell’economia legale per svariati motivi che spaziano dal riciclaggio di denaro, alla ricerca di credito e rispettabilità. La motivazione più scontata di questo reinvestimento di proventi illeciti, quale la necessità di nascondere rendite illegali e di reintrodurre liquidità nel mercato legale, è affiancata da altre motivazioni meno scontate: grazie alla creazione di nuovi posti di lavoro, ad esempio, le organizzazioni mafiose ottengono consenso sociale nel territorio. L’investimento immobiliare in hotel e ristoranti è infatti legato all’idea, tipica della cultura italiana, che si tratti di un buon affare, di un impiego sicuro di fondi e soprattutto di un simbolo di prestigio sociale. Oltre all’investimento diretto, il fenomeno si manifesta nei confronti delle attività commerciali di tipo turistico, che devono fare i conti con le intimidazioni mafiose e con la richiesta di pagamenti (il cosiddetto pizzo).

La difficoltà nelle stime è un elemento implicito di queste analisi; lo stesso vale per le scelte del consumatore: è difficile rintracciare informazioni circa infiltrazioni e speculazioni mafiose, quindi per il turista non è facilmente possibile fare scelte eticamente responsabili e viaggiare senza allargare i guadagni delle mafie.

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Ci sono però buone notizie dal mondo dei viaggi! Il tour operator Addiopizzo travel è stato creato dal comitato Addiopizzo, nato in Sicilia nel 2004 attorno allo slogan “Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”. Il tour operator dà la possibilità di andare alla scoperta di una regione splendida quale la Sicilia, affiancando alle tradizionali attrazioni turistiche, l’opportunità di conoscere le persone e i luoghi più importanti del movimento antimafia. I tour proposti spaziano da quelli della durata di sette giorni alla scoperta dei siti siciliani patrimonio dell’Unesco, ad altri più brevi, fra Palermo e Capaci, sui luoghi della memoria delle vittime di mafia. I fornitori cui l’associazione si rivolge sono tutti garantiti “pizzo-free”: albergatori e ristoratori che hanno scelto di dire no alla mafia. Il sito offre inoltre una lista delle attività aderenti all’iniziativa, consultabile al fine  di pianificare un viaggio in autonomia, con la consapevolezza di soggiornare e mangiare solo in strutture non legate alla mafia o che hanno deciso di reagirvi.

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Esistono numerose associazioni che organizzano viaggi d’istruzione e tour d’impegno civile, rivolti soprattutto ai giovani e alle scuole. Oltre a queste importantissime proposte, è giusto informare e indirizzare anche il turista meno sensibile alla tematica, sottolineare la portata dell’estensione dell’attività mafiosa nelle attività lecite e non lasciare che si faccia nostra l’idea che la mafia sia una realtà lontana, che non ci riguarda. Addiopizzo travel fa parte dell’associazione no profit AITR “Associazione Italiana Turismo Responsabile”, che si propone di promuovere e divulgare pratiche turistiche connesse al cosiddetto “turismo responsabile”, ossia sostenibile ed etico, e che ha come obiettivo primario quello di ricordarci che ognuna delle nostre scelte può avere ripercussioni di cui noi stessi dobbiamo essere consapevoli.

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Fame di terra saziata con grano europeo

Nasce tutto a Ferrara, tra le guglie estensi e viottoli medievali, all’interno di un Festival che avevo deciso di godermi per personale curiosità, senza nessuna volontà di volerci ricavare materiale per un nuovo pezzo. Invece eccomi qua a scrivere, prendendo uno spazio a Pequod, con un fine: fungere da eco ad un’inchiesta portata avanti da due ragazzi, Diego Gandolfo e Alessandro di Nunzio, giornalisti freelance per vocazione, che hanno “ficcato il naso”, in un settore ai più oscuro, riuscendo, con il loro validissimo lavoro, a vincere il Premio Morrione, per la migliore inchiesta.

Dopo cinque mesi di investigazioni giornalistiche, grazie alle dolorose grida di aiuto di agricoltori illegittimamente defraudati dei propri campi, si è scoperchiato un vaso di pandora: la sottrazione dei fondi europei destinati all’agricoltura da parte delle cosche siciliane. È la terra a far gola alla mafia. Più terreni possiedi, più finanziamenti ricevi. Questo meccanismo in Sicilia ha inquinato l’intero sistema di assegnazione e compravendita dei terreni. L’importante, dunque, è riuscire ad arrivare (molto spesso con mezzi violenti) a possedere fondi e agri perché sarà la terra a generare automaticamente denaro di natura pubblica – comunitaria. Denaro che l’Europa eroga sottoforma di sostegno al reddito per le persone occupate nell’agricoltura. Scenario lavorativo-economico sempre più “EXPO STYLE”; tutti convinti di dover sviluppare ampliare e sostenere. Il problema grosso, oltre alla gravosa e socialmente distruttiva presenza mafiosa, è che molti di questi soldi la campagna non la vedranno mai.province-tagli

La cronaca giudiziaria ha attestato che i denari in questione, per una sorta di legge del contrappasso – o forse più con una forte tonalità di acido sarcasmo – sono purtroppo finiti nel commercio del cemento, senza frutti, senza derrate e con il grano lasciato a marcire con buona pace del reale raccolto ottenuto. A questo si è riusciti ad arrivare anche perché nella regolamentazione dell’ammortizzatore sociale previsto, non è nemmeno lontanamente menzionato un seppur minimo obbligo di rendimento o di rendicontazione. Se a questo si mescola l’egoismo criminale, la miscela mortale per l’intero comparto agricolo è aimè servito.

Ma cosa non funziona? Come si è riusciti ad arrivare a questo? Premettiamo che le domande per le concessioni dei fondi comunitari destinate all’Agea, (che è l’ente che si occupa della gestione ed erogazione dei soldi pubblici nell’ambito delle politiche agricole), devono necessariamente passare presso i Caa (centri di assistenza agricola) i quali, risultano essere limitati nei loro poteri istruttori di controllo. Ugualmente limitante è la normativa, che prevede l’obbligo di richiesta della certificazione anti-mafia solo ed esclusivamente per i finanziamenti superiori a 150.000 €. Una soglia ormai davvero troppo alta, che non permette di escludere l’operosità della mafia anche a cifre inferiori. Mafia, sì, come quella “dei Nebrodi”, che ha costretto le autorità del posto, quali il sindaco di Troina, e il presidente del Parco dei Nebrodi a vivere sotto scorta, perché minacciati, colpevoli di voler semplicemente ripristinare lalegalità in questa vorticosa e maleodorante giostra dell’assegnazione delle terre attraverso la minaccia e il metodo criminale. Purtroppo, però, il giocattolo è rotto, fuori controllo. Secondo la Corte dei Conti molti dei proventi illegalmente ottenuti negli anni sono andati definitivamente persi perché prescritti.1328943557_8700c7d681_b

Ma c’è di più: il rischio è che l’intero costo di questo vorticoso ingranaggio mafioso, perpetrato ai danni della Ue, andrà a pesare sulla collettività Italia, inficiando la legittimità stessa dei fondi. La Direzione generale agricoltura della Commissione europea intende proporre una rettifica finanziaria relativa a tutti i debiti non recuperati anteriormente al 2010.
L’importo massimo della correzione ammonta a 388.743.938 milioni, che verrebbero così decurtati dal budget italiano della Pac 2014-2020, con buona pace di chi di agricoltura ci vive, per chi davvero potrebbe avere un progetto funzionale, biodiversificato; per chi con quei fondi e grazie ad un’ottima idea e ad una forte volontà potrebbe essere pioniere di un’eccellenza in coerenza con  EXPO, ospitata proprio quest’anno dal nostro paese.

Confrontandomi con gli stessi autori, si è inoltre avuto modo di riflettere sul focus tutto siciliano della loro inchiesta e ciò ha contribuito ad allarmare gli animi. Se questa malattia diagnosticata sull’isola si fosse diffusa su tutto lo stivale le conseguenze nei rapporti italo-comunitari sarebbero quanto meno nefaste. Ciò che invece consola è che l’Italia ha, quanto meno, ottemperato ad uno degli obblighi istituiti all’art. 325 punto 2 del Trattato Ue, rubricato “Lotta contro la frode” dove espressamente si obbligano gli Stati membri, ad adottare le stesse misure utilizzate per combattere le proprie frodi domestiche, al fine di contrastare le frodi comunitarie. almeno su questo punto siamo stati, come sistema Italia, impeccabili e affidabili, conformando il nostro sistema di controllo dei finanziamenti europei a quelli italiani, con lo stesso criterio colluso e inadatto.

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