Tag: Siria

Semi che viaggiano per salvare la biodiversità

Ci sono luoghi sparsi un po’ in tutto il mondo, in cui interi paesaggi si conservano in forme quasi invisibili: si tratta delle banche dei semi, o meglio del germoplasma, edifici dedicati alla conservazione del maggior numero possibile di forme di vita vegetale.

 

L’idea di creare spazi in cui fosse garantita la conservazione della biodiversità risale agli anni Venti e alle ricerche dell’agronomo e botanico Nikolaj Ivanovič Vavilov; lo studioso era impegnato a risolvere il problema della produzione di frumento nella Russia sovietica, insufficiente a raggiungere quel livello di autarchia previsto dal regime: concentrando i suoi studi sulle analisi delle caratteristiche di differenti cereali e sulla loro capacità di adattarsi al clima, Vavilov riuscì a creare una nuova specie di frumento, capace di resistere alle rigide temperature e alla siccità che all’epoca colpivano diversi territori dell’orbita sovietica. Per ottenere questo risultato, Vavilov viaggiò tra Oriente e America, raccogliendo campioni delle diverse specie vegetali che di volta in volta incontrava e che conservava all’interno dell’Istituto pansovietico di coltivazione delle piante (VIRV) da lui fondato a San Pietroburgo nel 1925.

La sua visione globale della botanica non era però vista di buon occhio dal regime leniniano, che identificava le sue ricerche con la “borghese” genetica mendeliana, e nel 1940 Vavilov fu processato con l’accusa di “spionaggio a favore della Gran Bretagna e di boicottaggio dell’agricoltura sovietica”; ai tempi dell’arresto, la sua collezione contava già 250 mila specie. Morto per malnutrizione dopo tre anni di carcerazione, fu riabilitato dalla Corte Suprema sovietica solo a metà anni Cinquanta, quando l’archivio creato a San Pietroburgo prese il nome di Istituto Vavilov.

 

Nikolaj Ivanovič Vavilov (Mosca,1887- Saratov, 1943); accanto, il padiglione russo all’Expo 2015 che mostrava parte della raccolta dell’Istituto Vavilov a San Pietroburgo.

 

Quella di San Pietroburgo rimane fino a oggi un’istituzione tra gli organi di ricerca e preservazione del patrimonio mondiale vegetale, conservando più del 10% delle piante da coltivazione del pianeta; su modello dell’idea di Vavilov un sempre maggior numero di istituti sono stati fondati dagli anni ’80 a oggi. Non è facile stabilire il numero esatto di banche del germoplasma; la cifra si aggira attorno alle 1500 sedi, diffuse in tutti e quattro i continenti, in connessione tra loro secondo sistemi molto simili a quelli degli omonimi istituti finanziari: diversi centri di raccolta e di conservazione ex situ tra cui le sementi, conservate in celle frigorifere a temperature tra i 20 e i 30 gradi sottozero, sono scambiate e condivise, così che le risorse di uno stesso ecosistema possano conservarsi in luoghi diversi del globo.

Tra le più famose è lo Svalbard Global Seed Vault, il Deposito globale di sementi dello Svalbard, collocato sull’isola norvegese di Spitsbergen, nell’arcipelago artico delle isole Svalbard a circa 1200 km dal Polo Nord; sostenuto dalla FAO, il deposito, finalizzato a garantire la conservazione delle 21 colture più importanti della Terra, funziona come un classico caveau: la banca è proprietaria dell’edificio, mentre i diversi stati depositari restano proprietari del contenuto delle cassette. L’edificio dello Svalbard Global Seed Vault ha dato forte risonanza al progetto, quando nel 2006 l’iniziativa ha avuto inizio trasferendo gli oltre 10̇000 campioni già raccolti dal Nordic Gene Bank (risalente al 1984), e la sua struttura futuristica ha fornito facile spunto per immaginare che incredibile risorsa potrebbe rivelarsi essere nel caso di una catastrofe planetaria. Di fatto, gli obiettivi che queste banche portano avanti hanno una scadenza molto più prossima; a mettere in pericolo la flora autoctona possono essere infatti eventi molto più frequenti di quanto immaginiamo, dall’uso massiccio di sementi sempre più modificate che si sostituiscono alle piante originarie, ai conflitti militari che inevitabilmente danneggiano il territorio che fa loro da palcoscenico: non è un caso che la prima richiesta fatta alla banca norvegese di restituzione delle sementi sia arrivata da Aleppo, in Siria, che a seguito della guerra civile ha visto sparire numerose colture di erbe, frumento e orzo.

Non meno significativi, gli sconvolgimenti che negli ultimi anni sta subendo il clima dell’atmosfera terrestre, che mettono in pericolo non solo la biodiversità, ma i suoi stessi centri di tutela: nonostante sia costruito 120 metri dentro una montagna di roccia arenaria, che garantisce temperature glaciali per molto tempo in caso si fermasse il sistema di raffreddamento artificiale e una temperatura costante mai al di sopra dei 3 gradi sottozero, e 130 metri sopra il livello del mare, così da restare in asciutto anche in caso di scioglimento dei ghiacci artici, l’edificio non ha resistito all’imprevedibile surriscaldamento globale degli ultimi anni e ha subito una prima infiltrazione d’acqua, fortunatamente risultata innocua, nel Maggio 2017.

 

Svalbard Global Seed Vault, Norvegia [ph. 黃逸樂(世界首窮)CC-BY-3.0]

 

Legato invece alla cattiva gestione politica e finanziaria è stato il rischio corso da una delle più antiche riserve d’Italia: la Banca del Germoplasma di Bari, che si occupa della conservazione sia a breve termine (a 0° C) sia a lungo termine (-20° C) di circa 56̇000 semi, ha visto ridursi drasticamente gli investimenti da quando nel 2002 il Consiglio Nazionale delle Ricerche aveva preso in mano la gestione della Banca, provocando il mal funzionamento degli impianti di refrigerazione e un conseguente alzarsi delle temperature nelle celle.

Nata nel 1970, la Banca del Germoplasma di Bari è stata solo la prima delle numerosissime riserve fondate in Italia, costantemente connesse tra loro e con gli orti botanici che lavorano sulla raccolta di sementi, attraverso il sistema RIBES (Rete Italiana Banche del germoplasma per la conservazione Ex situ della flora spontanea italiana). Nato nel 2004, il progetto si è posto «per oggetto principale le specie vegetali autoctone in Italia, minacciate di estinzione, incluse anche le specie legnose e forestali (se e dove minacciate); restano invece escluse come oggetto di interesse le specie coltivate. Un secondo filone di attività riguarda invece le specie autoctone di interesse per la rinaturazione, sempre più richieste, ma di difficile reperimento sul mercato».

 

Il folklore condiviso: la compagnia bergamasca de Gli Zanni in Siria

Cinquanta anni fa nasceva nella provincia bergamasca la compagnia folkloristica de Gli Zanni (nome derivato dai personaggi più antichi della Commedia dell’Arte). Nell’impegno per l’indagine storico-sociale e culturale, il gruppo sperimenta il ricostruire in atti teatrali momenti comunitari e aspetti tradizionali di varie popolazioni, nonché la pratica di musiche, danze e canti etnici. L’intento è quello di ritrovare la “storia dal basso” che è punto iniziale d’una comprensione della realtà attuale.
Annualmente l’associazione organizza momenti d’incontro con rappresentative estere di folklore e tournée di lavoro fuori porta per un diretto contatto col patrimonio straniero.

Palmira1

Tra le numerose mete, nel 2005 la Siria: l’Unione Folklorica Italiana propose alla compagnia di rappresentare il paese al Festival Internazionale del Folklore di Bosra.
I componenti della “spedizione” rievocano estatici i ricordi delle tappe intermedie tra uno spettacolo e l’altro: la visita alla fortezza di Krak dei cavalieri, residuo architettonico delle crociate; gli immensi mulini di legno (Norie) della città di Hama, che da secoli recuperano dal fiume Oronte l’acqua destinata all’irrigazione di frutteti e giardini; i monasteri e le abitazioni arroccate sulle rocce del villaggio cristiano di Ma’lula (devastato tra il 2013 e il 2014)   i cui abitanti parlano ancora un dialetto aramaico; la capata alle moschee nella periferia di Damasco e nei suoi Suq (mercati organizzati in corporazioni); i pasti consumati all’arrangiamento delle fidule sotto tende beduine.
Le ragazze del gruppo menzionano il pomeriggio passato nell’hammam (complesso termale) condividendo il lavacro con le donne del luogo che, accompagnandosi col suono dei darbuka, hanno tentato d’insegnare i rudimenti della danza del ventre alle forestiere.
Infine la messa in scena del proprio spettacolo nell’anfiteatro romano di Palmira, al centro del deserto Siriano circondati dalle stupende rovine in un sorprendente stato di conservazione, a Bosra in presenza di migliaia di spettatori e nel palazzo Azm di Damasco.

Palmira2

«Raccontare a diversi anni di distanza quest’esperienza – appuntano Gli Zanni – ci rende consapevoli di quanto siamo stati privilegiati nel posare direttamente gli occhi sull’architettura e l’arte in generale di quei luoghi, materia che oggi è parzialmente andata distrutta.
Difficile scordare l’intera giornata passata a visitare il sito archeologico di Palmira avendo come guida d’eccezione il direttore del museo.
Difficile credere che tanta di quella bellezza oggi non esista più.»
Spiegano come a Palmira abbiano potuto costatare l’effettiva importanza culturale sviluppatasi attorno a quest’oasi nei millenni, come il passaggio di numerosi popoli ne abbia impreziosito l’aspetto, come la città potesse essere esempio rappresentativo dei diversi modi in cui nel corso dei secoli le popolazioni si siano spostate, incontrate e mescolate, dando vita a un paesaggio unico, capace di raccontare una parte della storia dell’uomo.

Palmira3

Negli anni, più volte la cultura della città, in ogni sua forma d’espressione, è stata oggetto di censura da parte del potere che vi si voleva affermare. Nell’ottobre dello scorso anno, gran parte del sito è andata distrutta a seguito della conquista da parte dell’ISIS, che ha organizzato una demolizione sistematica di tutti i luoghi di culto dell’antica città, cancellando, almeno materialmente, un’importante traccia storica e artistica.
Per chi però ha avuto la fortuna di posare lo sguardo su quell’amalgamarsi di culture, i monumenti di Palmira resteranno nel ricordo un baluardo d’integrazione e bellezza, resistenti a qualsiasi assedio. Così per gli attori bergamaschi la Siria ora è un ricordo fotografato: la loro danza nel tramonto, nel deserto.

Palmira4

Reg. Tribunale di Bergamo n. 2 del 8-03-2016 - privacy - cookies
©2023 Pequod - Admin - by Progetti Astratti