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Tradizioni che nascono dall’integrazione. Sguardi sulla storia della migrazione delle carte da gioco

D’abitudine, i giochi a carte si apprendono un po’ per tradizione: ogni famiglia ha i propri giochi prediletti e i nonni spesso hanno l’onore di scegliere a quali vada la preferenza. Da nord a sud Italia i mazzi mutano il loro aspetto, le scimitarre diventano spade e i bastoni si trasformano in mazze.

Ma da dove arrivano queste piccole tessere rettangolari e le regole che ne disciplinano l’uso?

La storia delle carte da gioco si intreccia a quella delle migrazioni umane. Con la semplicità delle piccole cose, questi svaghi semplici e maneggevoli si sono spostati da un continente all’altro attraverso le mani di una miriade di popolazioni, ognuna delle quali le ha rese parte della propria cultura, imprimendo minuscole, infinitesimali modifiche.

La loro invenzione risale all’antichissima Cina, là dove la carta vide la propria nascita; incerto il loro uso: sicuramente ludico, forse anche come carta moneta. Non sappiamo con esattezza né come né quando siano state introdotte in Europa. Probabilmente, dall’estremo oriente sono passate per la Persia e da qui giunte nelle mani dei Mammelucchi, che avrebbero modificato gli originali tre semi cinesi (Jian o Quian, monete, Tiao, stringhe di monete, e Wan, diecimila) nei quattro che si ritrovano negli odierni mazzi tradizionali: Jawkān (bastoni da polo), Durāhim (denari), Suyūf (spade) e Tūmān (coppe). Ciascun seme delle carte mammelucche conteneva dieci carte numerate, cui si aggiungevano tre figure: Malik (re), Na’ib Malik (viceré) e Thānī nā’ib (secondo viceré).

In Europa, la tradizione araba di attribuire identità di ufficiali dell’esercito alle figure, che da precetto coranico non ritraevano persone ma riportavano i nomi della persona di riferimento, venne adattata per rappresentare le famiglie reali, prima nelle figure di “re”, “cavalieri” e “servi” e successivamente in quelle di “re”, “regina” e “fante”. Ciascuno stato elaborò la propria versione dei semi, per lo più discostandosi di poco dagli originali mammelucchi. Furono i francesi, negli ultimi decenni del XV secolo, a semplificare i semi in uso, probabilmente ispirandosi a quelli tedeschi, codificandoli in cuori, quadri, fiori e picche. Negli anni 50 del XIX secolo, poi, gli statunitensi aggiunsero al tradizionale mazzo francese i quattro jolly, andando così a dare forma definitiva al mazzo più diffuso al mondo.

Semi delle carte tradizionali delle regioni italiane e di Spagna, Marocco, Germania e Svizzera

Se tanto mistero resta attorno alle origini e alle migrazioni delle carte, ancora più complesso è ricostruire gli spostamenti e le modifiche dei giochi che con queste si possono fare. Tra i più diffusi al mondo è il Poker; oggi giocato soprattutto on line e nei casinò, conta un infinito numero di specialità e varianti, che vanno dalla presenza o meno di calate, al numero di carte in banco e/o in mano. L’uso forse più singolare è quello adottato durante l’invasione dell’Iraq nel 2003, quando alle truppe americane venne distribuito il mazzo Most-wanted Iraqi, in cui ad ogni carte corrispondeva il nome, una foto e la carica di un membro ricercato del governo di Saddam Hussein. Le origini del Poker  sono d’abitudine associate alla New Orleans di inizio Ottocento o alla poco distante Robtown, in Texas, dove nacque una tra le più diffuse varianti del gioco, appunto Texas hold ‘em; allo stesso modo, è possibile risalire dal nome di altre varianti al luogo in cui nacquero: un esempio tra tutti, il Caribbean Stud Poker, che nel secolo scorso si giocava sulle navi da crociera dirette ai Caraibi. Tuttavia, l’etimologia suggerisce che il Poker sia stato importato negli Statu Uniti dai francesi, che già nel XVIII secolo giocavano a Poque (dal francese pocher, ingannare), forse a sua volta ereditato dal Poken (inganno) tedesco, risalente al XVII secolo. Meno probabile, ma non smentita con certezza, l’idea che le regole potrebbero rifarsi all’italiano Zarro, antesignano della moderna Telesina, che come il Poque si giocava con un mazzo di 20 carte.

Assi del mazzo Most-wonted Iraqi,

Se da un lato i francesi sembrano i più attestati inventori del gioco del Poker, dall’altro negli ultimi anni hanno perso la paternità del gioco in cui si attestano come i maggiori promotori nel mondo: il Belote. Gioco a coppie simile alla Briscola, è stato esportato in quasi tutte le ex colonie francesi, ma la sua influenza si è fatta sentire anche a est: lo troviamo infatti in Bulgaria, in Ungheria, in Grecia e in Croazia. Il maggiore successo lo ha raggiunto in Arabia Saudita e Armenia, dove i giochi più popolari risultano essere, pur con considerevoli varianti rispetto al riferimento francese, rispettivamente il Baloot e il Belot. Nonostante l’etimologia, un gioco molto simile ma soprattutto molto più antico si trova nelle Province Unite Nederlandesi del XVII secolo, il Klaverjassen. In Italia questo gioco, la Briscola appunto, sembra essere arrivato direttamente dai Paesi Bassi, e di qui trasformato nello Schembil, diffusissimo in Libia e in diversi Paesi del Nord Africa. Le esportazioni italiane di giochi di carte sono, del resto, numerose; in primo piano è la Scopa, giocata anche in Spagna con il nome di Escoba, che in Tunisia prende il nome di Chkobba e in Marocco, con qualche modifica, di Ronda.

Numerosissime sono le importazioni in Europa di giochi originari di Paesi lontani: dall’isola di Macao, ad esempio, arriva Baccarà, uno dei giochi d’azzardo tra i più diffusi nei casinò; originari dell’Uruguay sono, invece, Canasta e Burraco; al cinese Khanhoo o al messicano Conquian potrebbero risalire le diverse variazioni del Ramino, incluso il Chinchòn, che si gioca in Spagna, Uruguay, Argentina e Capo Verde. Altrettanto frequenti sono gli scambi all’interno del continente: popolarissimo tra i Paesi dell’ex URSS è, ad esempio, Verju ne Verju, che differisce dal Dubito italiano solo per il numero di carte usate (40 anziché 52); allo stesso modo, l’inglese Beggar-MyNeighbor, si è modificato nel rumeno Razboi e nell’italiano Guerra; discussa è l’origine del gioco italiano del Cucù, identico al Gambio svedese.

Le rotte percorse dai giochi di carte sono complesse e intricate, difficili da ricostruire quasi quanto lo sarebbe una mappatura della genealogia della specie umana. Nelle loro migrazioni, i giochi non conoscono confini e realizzano una vera integrazione: non solo culture che s’incontrano, ma qualcosa di nuovo che ogni giorno, in ogni luogo s’inventa.

Moderni baccanali, tour tra l’Europa che festeggia brindando

Si sono chiusi questo weekend i festeggiamenti per una delle festività europee tra quelle che più hanno avuto successo e diffusione nell’antico continente. Se già non l’aveste intuito, stiamo parlando della festa di San Patrizio, tradizione che dall’Irlanda ha negli ultimi anni colorato del suo tipico verde trifoglio gli ultimi giorni d’inverno di ogni angolo d’Europa.
La celebrazione del giorno di San Patrizio, commemorativa dell’arrivo del cristianesimo in Irlanda, risale al IX secolo; già nel 1600 fu ufficializzata e divenne festa nazionale, che gli irlandesi esportarono durante i forti flussi migratori del XVIII secolo, in tutta l’Inghilterra prima e nel resto d’Europa poi. Fu forse proprio la nostalgia per le tradizioni della propria terra, in particolare per le bevande alcoliche, accostata alla figura del Santo patrono d’Irlanda, a determinarne il successo e la rapida diffusione: oggi, infatti, dal 17 Marzo al successivo weekend, in tutta Europa giovani in abiti verdi e cilindro in testa, brindano sollevando bicchieri colmi di sidro o birra artigianale, prediligendo la scura dublinese Guinness.

Festeggiamenti per il giorno di San Patrizio al pub irlandese The Old Dubliner di Hamburg [ph. Hinnerk Rumenapf CC BY-SA 4.0 International]

Di feste incentrate sul consumo dell’alcolico nazionale, del resto, è costellato l’intero continente, che dietro commemorazioni e celebrazioni d’ogni tipo, celano (neanche troppo) e giustificano il consumo smodato delle bevande che troneggiano sulle tavole dei diversi paesi.
Se la scura più rinomata è infatti senza dubbio quella irlandese, il primato mondiale nella produzione di birra spetta di fatto a un’altra nazione: il Belgio, produttore di oltre 600 tipi di birra differenti, consumate da colazione a notte inoltrata, non solo come bevande ma anche per la preparazione di specialità gastronomiche. Innumerevoli sono le occasioni per veder scorrere litri di questa bevanda durante i festeggiamenti che hanno luogo in questo stato; tra queste, una forse delle meno note ma più curiose è la sfilata di carnevale di Aalst, a 30 Km da Bruxelles, dedicata alla figura della Voil Jeanet, la sporca Jeanet. Nata nell’Ottocento come semplice scambio di indumenti tra uomini e donne nel periodo del carnevale, dettato dall’impossibilità economica di acquistare veri costumi, questa tradizione per cui l’intera cittadina e i suoi turisti l’8 Marzo indossano abiti da donna, o meglio da prostituta, è stata inclusa nel patrimonio culturale UNESCO nel 2009 e sono state codificate le caratteristiche essenziali del travestimento da Voil Jeanet: al primo posto, seguita da corsetto, ombrello, passeggino e alimenti puzzolenti, troneggia un orinatoio portatile riempito di birra e pan di zenzero.

La birra del resto la fa da padrona in occasione di innumerevoli festività, anche in paesi che solo marginalmente si occupano della sua produzione e che prediligono alcolici che poco hanno a che fare con il gusto maltoso di questa bevanda. Un esempio è offerto dall’area balcanica, dove accanto alla tradizionale lattina da 33 cl, enormi bottiglie di plastica da 2 litri o più occupano gli scaffali dei supermercati, sebbene siano i superalcolici a imperare sulle tavole dell’est europeo. Negli ultimi anni, sempre più festival sono nati a riempire le estati balcaniche, ma se si vuole assaporare il clima delle tradizioni, tanto storiche quanto legate alla sintesi etnica che caratterizza le nazioni sorte attorno ai Monti Balcani, l’occasione da non perdere è data dal Guĉa Trumpet Festival, che raduna i trombettisti di tutta la regione di Dragaĉevo, in Serbia. Rievocando la tradizione delle brass band, che univano ai ritmi delle bande militari il folklore balcanico, e la loro sintesi con il movimento delle gipsy band, in agosto il piccolo paese di Guĉa, che durante l’anno conta 2000 abitanti, si riempie dei suoni soffiati dagli ottoni, degli aromi di maialini arrostiti sulla brace e dei fumi di rakija, la tipica grappa di prugne qui prodotta.
Altrettanto forte è il legame culturale che fino a oggi unisce i paesi post-sovietici alla Russia, pur declinato nelle diverse sfumature locali: specialità gastronomiche a base di cavoli e patate si possono gustare in gran parte dei paesi che furono nell’orbita comunista, accompagnate dalla tradizionale vodka. Un assaggio di questo inscindibile rapporto si può avere nel periodo della Maslenitza, il carnevale russo che precede la Quaresima, in quei paesi che ospitano fino a oggi una consistente comunità ortodossa: in occasione della festa, balli in abiti tradizionali rallegrano le strade dei quartieri, mentre sulle bancarelle vengono offerti bliny (frittelle tradizionali), cetrioli e bicchierini di vodka.

Sull’altro versante d’Europa, nei caldi paesi a occidente, le tradizioni cambiano, ma l’alcol non sembra perdere il suo ruolo di principe delle feste: nella soleggiata Spagna, ad esempio, cerveza e sangria fresche sono spesso servite in grossi bicchieri di plastica, capaci di contenere quasi un litro delle gustose bevande, godute in abbondanza durante le feste. Un’occasione per godere di questa magnanimità, tanto dei baristi quanto della popolazione locale, è offerta dalla Feria di Malaga, in Andalusia, quando le strade della città si riempiono di musica e luci colorate, mentre sui marciapiedi giovani e anziani preparano freschi mojito, pestando giaccio e menta in sacchetti appoggiati sull’asfalto, e bicchieri di tinto de verano, mischiando gazeosa e vino rosso.
La tradizione enologica, oggi diffusa in tutto il mondo, resta sempre un fiore all’occhiello della cultura italiana, che vede coinvolti viticoltori lungo tutta la penisola, in produzioni regionali differenziate, cui spesso corrispondono altrettante feste e fiere: dalla Festa del Vino di Alba in Piemonte all’Appassimenti Aperti di Macerata, dall’Autochtona di Bolzano al Ri-Wine di Riesi, in Sicilia. Tra le fiere vinicole più curiose del nostro paese è la Sagra Enogastronomica che si tiene a metà settembre a Faicchio, in provincia di Benevento: tra le bancarelle che offrono assaggi dei prodotti delle cantine locali e di piatti tipici del posto e i suoni di musiche e danze della tradizione partenopea che si dipanano tra i vicoli caratteristici del centro storico e seguono la processione dedicata a San Nicola, spicca la Fontana delle tre botti, da cui il vino di Massa sgorga per essere liberamente gustato, protagonista di tre notti consecutive di festeggiamenti.

Preparazione di mojito nelle strade di Malaga, Andalusia, Spagna

Anno nuovo, mete nuove!

L’anno nuovo porta con sé sempre quella voglia di migliorarsi e di realizzare i propri sogni, e un viaggio cos’è se non un sogno che si realizza?

Ci sono però un sacco di posti meravigliosi da visitare, e decidere dove andare è una scelta difficile. Perciò, dove andiamo nel 2018? L’abbiamo chiesto a Tiziana Mascarello, editor dei titoli fotografici di Lonely Planet.

Ci racconta qualcosa sul suo lavoro?

Lavoro in Edt nell’area Lonely Planet e, oltre che dell’area marketing, mi occupo di selezionare i titoli fotografici che pubblichiamo durante tutto l’anno. Questi libri in genere sono tematici e contengono informazioni e foto di suggestione, che sviluppano da punti di vista diversi per aiutare il lettore a decidere quale meta scegliere. Meta che poi si potrà scoprire durante il viaggio che ne seguirà, sebbene queste pubblicazioni permettano di viaggiare anche rimanendo comodamente seduti in poltrona con il libro in mano.

Lisbona, Portogallo

Qual è stata la meta di maggiore tendenza del 2017 e perché?

Ogni anno a ottobre pubblichiamo Best in Travel, che contiene informazioni riguardanti le mete che Lonely Planet consiglia perché in quel determinato anno accade qualcosa in particolare. Al suo interno vi sono classifiche di destinazioni come i top 10 Paesi, città e regioni, le tendenze di viaggio per il relativo anno e le destinazioni più convenienti.

Nel 2017 le tra le destinazioni top c’era il Canada, perché festeggiava il centocinquantesimo anniversario della nascita del Paese, sancita dal Constitution Act che ne determinò l’autonomia. La meta è piaciuta molto ai nostri viaggiatori, come gli Stati Uniti, consigliati per il centenario dei parchi nazionali: c’erano infatti tariffe particolari, e sono state aperte zone in genere non accessibili al pubblico.

Tra le mete più gettonate negli ultimi anni c’è anche il Portogallo, con un occhio di riguardo per Lisbona che è la destinazione favorita dai viaggiatori all’interno del Paese. Inoltre, tra il 2016 e il 2017 hanno suscitato grande interesse Cuba e l’Islanda, per il fatto di essere entrambe isole molto particolari che incuriosiscono i viaggiatori.

L’Avana, Cuba

Quali saranno le mete da non perdere nel 2018?

Nel Best in Travel 2018 troviamo, per quanto riguarda l’Italia, Matera. La città diventerà Capitale della cultura nel 2019, ma è già pronta a ospitare i visitatori, poiché ha intensificato le attività culturali e, non essendo ancora troppo turistica, è meglio visitabile. Inoltre, a fine dicembre è uscita la prima guida delle Dolomiti, meravigliosa destinazione Patrimonio dell’Unesco, e tra pochi giorni verrà pubblicata la prima guida Piemonte, regione che sebbene poco conosciuta offre un connubio perfetto tra storia, arte e natura tutto da scoprire.

Il viaggiatore Lonely Planet è molto curioso e vuole visitare anche luoghi meno consueti: nel 2018 il Best in Travel consiglia la Georgia, che un secolo fa aveva avuto un breve periodo di indipendenza e festeggia quest’anniversario. Il Paese è ubicato in una regione che ha mantenuto uno spirito tradizionale molto forte, quindi c’è molto da scoprire all’interno di essa.

Per quanto riguarda l’Europa, l’Andalusia è una di quelle regioni che hanno una combinazione vincente tra clima meraviglioso, gente meravigliosa, arte e cultura. Siviglia si sta trasformando in una città sempre più vivibile ed ecologica, e dato che nel 2018 cade l’anniversario della nascita del pittore Murillo, ci saranno diverse mostre dedicate a lui stesso e all’arte barocca.

Un’altra città europea da visitare nel 2018 è Anversa, che quest’anno offre un mix di arte barocca, ospitando un’importante rassegna di pittura a cui prenderanno parte anche artisti fiamminghi. Inoltre, si stanno riqualificando gli spazi più periferici con opere d’arte e architetture particolari e interessanti: la città vuole allargarsi tramite iniziative culturali anche al di fuori del tracciato turistico classico relativo al centro storico.

Anversa, Belgio

Fuori dal continente europeo, la destinazione top del 2018 è il Cile, che festeggia l’importante anniversario dei 200 anni di indipendenza: per l’occasione, è aumentata la quantità di voli che raggiungono il Paese. Il luogo che il viaggiatore indipendente e avventuroso preferisce all’interno del territorio cileno è Valparaiso, città d’arte costiera, dove si respira un’atmosfera suggestiva tra il romantico e il bohémien.

I flussi turistici negli ultimi anni hanno subito anche il fascino del Giappone. Lonely Planet consiglia di visitarne i luoghi meno noti, specialmente la Penisola di Kii che ora è più accessibile e ancora poco turistica.

Ci sono mete che non passano mai di moda?

Una delle destinazioni top di sempre tra le città continua ad essere New York, la cui guida è in cima alle classifiche di vendita da moltissimi anni. In Italia invece è indiscutibilmente la Sicilia, che piace sempre ai viaggiatori.

New York, USA

Ci sono invece destinazioni che hanno riscosso interesse per tempi molto brevi?

La città di Stoccolma ha meno successo rispetto agli anni scorsi per l’emergere di altre destinazioni, e la stessa cosa succede in America latina per la Bolivia, ora meno visitata perché offuscata dal successo turistico di Cile ed Argentina.

Una delle guide meno vendute negli anni è stata quella di Seoul, ma era stata pubblicata anni fa, quando i tempi non erano ancora maturi. Anche la Tunisia era una destinazione molto amata dai visitatori, e oggi Lonely Planet non ha guide su di essa in catalogo.

Viaggi e sicurezza: c’è davvero paura?

La sicurezza inevitabilmente influisce sui flussi turistici, ma alcune destinazioni, come ad esempio Parigi e Barcellona, subiscono un contraccolpo nell’immediato e in seguito si riassestano. Da quello che vediamo e che i nostri viaggiatori ci comunicano attraverso i social e le mail, percepiamo che si continua a viaggiare, per fortuna. Il viaggio è sempre un elemento forte, va oltre alla paura.

Siviglia, Andalusia, Spagna

Cosa cerca oggi il turista?

I viaggiatori di Lonely Planet cercano luoghi particolari e viaggi in cui fare cose, vivere esperienze. È per questo che pubblichiamo anche libri tematici che danno indicazioni su come viaggiare alla scoperta di nuovi luoghi on the road, a piedi o in bicicletta. Si cercano viaggi d’esperienza, che permettano di conoscere un luogo non solo attraverso una visita di passaggio, ma anche tramite attività, per vedere tutto più da vicino. Il viaggiatore è consapevole, si informa e conosce i posti, li vive in modo più approfondito anche attraverso il contatto con i locali e la loro cucina.

Lei dove andrà nel 2018?

A Berlino, che non ho mai visto in estate, e in Asia Centrale, probabilmente nelle zone dell’Iran, ma il viaggio è ancora tutto da costruire.

Ricordi di case d’Europa

La prima volta che mi è capitato di essere ospitata in una casa straniera avevo diciassette anni. La mia classe al liceo partecipava ad uno scambio culturale con una scuola superiore di Bayonne, città a sud-ovest della Francia, al confine coi Paesi Baschi. La mia gentilissima ospite si chiamava Stephanie ed abitava in una sorta di fattoria un po’ fuori mano. Da brava italiana avevo pensato di portare in dono ai padroni di casa una moka e un pacco di caffè. Non sto neanche a spiegare quanto mi sono sentita imbarazzata quando ho scoperto che le loro cucine erano già provviste di caffettiera! A casa di Stephanie la cucina era il fulcro della casa: al grande tavolo di legno sedeva tutta la famiglia e ad ogni pasto non mancavano mai fragranti baguette su cui spalmare del gustoso foie gras. Di sera, quando noi ragazze rincasavamo dopo un’intensa giornata, spesso trovavamo lo zio di Stephanie seduto in poltrona intento a degustare un bicchiere di pastis, il tipico liquore francese all’anice. Aroma di baguette e profumo di pastis – sono queste le sensazioni che ricollego ai miei giorni francesi.

Un bicchiere di pastis

Qualche anno dopo, passati i primi tre anni di università, realizzo il sogno di vivere per qualche mese nella mia amata Russia e mi trasferisco a Belgorod, in un dormitorio studentesco. Se è vero che gli studentati si assomigliano un po’ in tutto il mondo, gli appartamenti del miei amici russi, dove spesso venivo invitata per cena, li associo ad un’accoglienza e un calore difficili da trovare altrove. Le case in cui sono stata non erano ricche di mobili o suppellettili; in effetti non c’era molto più di una scrivania, un letto, un piccolo armadio e una cucina. Due cose però non mancavano mai negli appartamenti in cui sono stata ospitata: un bollitore per il tè, per offrire qualcosa di caldo agli ospiti infreddoliti appena varcata la soglia, e un piccolo divano-letto. L’ospitalità infatti per il popolo russo non è soltanto un valore fondamentale, ma spesso anche una necessità: la mia amica Katja, studentessa di lingue, ospitava un paio di volte all’anno la madre che veniva a trovarla dalla lontana città russa di Magadan, al confine con l’Alaska. In un Paese grande come la Russia, avere un posto per i parenti venuti da lontano è fondamentale, anche in un piccolo appartamento per studenti.

A casa del mio amico Gosha, mentre ci insegnava a preparare i ravioli russi (Belgorod, 2012)

Tre anni fa in estate mi è capitato di andare a trovare la mia amica Ali a Madrid, dove vive con i genitori e la sorella. Io e Ali ci siamo conosciute in Polonia e l’ultima volta che ci eravamo viste era febbraio e a Lublino, città polacca dove entrambe abbiamo fatto l’Erasmus, la temperatura era di -18 gradi. Quando sono andata a casa di Ali nella capitale spagnola invece era luglio e di gradi ce n’erano quasi 40. Appena arriviamo a casa Ali apre il frigorifero ed estrae quello che all’inizio credo essere del succo di frutta ma che si rivela essere del freschissimo gazpacho, la zuppa fredda di pomodoro tipica della Spagna. Mi spiega che nella loro dispensa non manca mai, anche se preferisce quello preparato da sua madre, la regina del gazpacho. In quei giorni fa davvero troppo caldo per uscire prima del tardo pomeriggio, perciò quando il sole è alto rimaniamo in casa a chiacchierare in salotto, la stanza che mi ha colpito di più. La libreria è colma di libri, molti sono del padre, insegnante di filosofia; Ali mi mostra delle vecchie fotografie di suo papà con gli amici negli anni Settanta, quando ancora c’era Franco e i giovani intellettuali erano spesso considerati dei dissidenti… Mi sembra strano, ma effettivamente spesso dimentichiamo che in Spagna il regime è durato più a lungo di quanto si possa credere. Storia, politica, ma anche tradizioni: nel salotto di Ali ci sono colorati souvenir dalla Costa Brava, fotografie della casa natale della madre, nella verde Galizia e, mio oggetto preferito in assoluto, una piccola statuina dorata raffigurante l’eroe di Cervantes, Don Chisciotte, con il suo fidato Ronzinante e accanto, neanche a dirlo, un mulino a vento.

Don Chisciotte, Ronzinante e un mulino a vento (Madrid, 2014)

Meno calda ma anch’essa ospitale, sebbene in modo diverso, è la casa del mio amico Matteo, italiano espatriato a Berna da qualche anno. Quando quest’estate sono andata a trovarlo era la prima volta che visitavo davvero una città svizzera, essendomi limitata fino a quel momento a transitare per il Paese per raggiungere altre parti d’Europa. L’idea che mi ero fatta degli abitanti e delle loro abitazioni era una sorta di miscuglio fra l’ordine e la precisione tedesca farciti da un pizzico di snobismo alla francese. Inutile dire che la facilità con cui mi ero lasciata andare ai pregiudizi non ha fatto altro che raddoppiare l’effetto sorpresa che mi ha colpita quando sono arrivata da Matteo. “Questo è l’indirizzo, io sono al lavoro, se arrivate prima di me entrate pure, la porta è aperta”. Questo è l’sms che mi ha mandato il mio amico prima che arrivassi fuori dal suo palazzo, in centro città, nell’elegante quartiere dove si trovano consolati e ambasciate. Gi svizzeri, mi spiega, sono molto rilassati e capita spesso che lascino aperti i portoni o che non leghino le biciclette nei cortili. Le case in cui abitano i giovani poi sono l’emblema di questo atteggiamento aperto e senza preoccupazioni: non è raro che si organizzino feste in cui gli inquilini aprono la porta delle loro case a chiunque voglia ascoltare della musica e bere birra. A casa del mio amico Matteo queste serate hanno spesso dei risvolti artistici che a volte lasciano anche il segno, come testimonia l’opera d’arte apparsa dopo una festa sul muro della sua cucina…

La cucina di Matteo (Berna, 2016)

In copertina ph.congerdesigner (cc0)

Mollo tutto per vivere in barca a vela

«Fa un freddo terribile e questo vento prima o poi mi porterà via».
E’ febbraio e sono a Falmouth, in Cornovaglia, sulla mia barca. Ho guidato sette ore il venerdì sera per arrivare qui per alcuni lavori di sistemazione da fare sull’imbarcazione; e proprio questo weekend c’è una tempesta.
Sto aiutando il mio ragazzo Ryan a salire in testa d’albero del nostro piccolo catamarano per misurare il sartiame. Mentre saltello qua e là da un lato all’altro dello scafo, tendendo il metro avvolgibile e scribacchiando numeri, controllo che Ryan ci sia ancora: questo vento potrebbe farlo cadere dai dieci metri d’altezza a cui si trova.
Per un secondo l’idea di mollare un buon lavoro, il caldo confortevole di una bella casa, seppure in affitto, gli amici e la famiglia, e partire all’avventura su una barca a vela mi pare assurda. Poi, non appena Ryan scende al sicuro e siamo al riparo nella cabina, con tutte le misure che ci servono scritte sul mio quaderno, sorrido.
Lo stiamo veramente facendo: stiamo sistemando la nostra barca e finalmente salperemo per il Mediterraneo.

Una decina di mesi fa, lo scorso Maggio, mi stavo rilassando su una spiaggia naturale, camuffata e nascosta tra le coste di Maiorca, lontano dal tempaccio inglese e dai resort affollati dell’isola spagnola. Stressatissima a causa del mio lavoro come capo di dipartimento di un’agenzia di marketing digitale a Manchester e riluttante all’idea di riprendere l’aereo di lì a pochi giorni, ho iniziato a divagare in riflessioni sulla vita:
«Perché dobbiamo per forza ammazzarci di lavoro fino ai settant’anni, per poi goderci dieci o quindici anni di dolce far niente, magari costretti in un letto di ospedale? Chi l’ha deciso? Chi dice che dobbiamo per forza accantonare tutti i nostri sogni e sperare di poterli realizzare solo quando saremo vecchi e stremati?»
A un tratto, la vita regolare che pure mi aveva regalato non trascurabili soddisfazioni, non aveva più senso. Mi ero resa conto di trascorrere la routine quotidiana di quella vita che i più considerano normale, in attesa di quei momenti di pausa, spesso vissuti a contatto con la natura, che mi ridavano energia; stavo vivendo solo per arrivare al weekend per fare arrampicata oppure per le vacanze dedicate allo scuba diving.
Per la prima volta nella mia vita, ho capito che non dovevo per forza adeguarmi.

Ho la fortuna di poter fare il mio lavoro ovunque, a patto di avere una buona connessione internet, quindi perché rimanere intrappolata in una città grigia e fredda nel Regno Unito? Ho sempre avuto troppa paura di mettermi in proprio come freelancer perché avevo affitto e bollette da pagare, ma vivere in barca a vela elimina tutti questi costi e i relativi problemi.
Quindi, eccomi qui. Sto per iniziare l’avventura più rischiosa, ma anche la più emozionante della mia vita!
A fine Agosto 2016, io e Ryan abbiamo comprato un catamarano Heavenly Twins costruito nel ’77, lungo poco meno di otto metri. Non è grande, ma ha tutto ciò che serve: cambusa con forno e fornelli, cuccetta matrimoniale, “soggiorno” e bagno. Sarà la nostra casa galleggiante per il futuro prossimo. La barca, che abbiamo chiamato Kittiwake, ci è costata meno di un’auto nuova e vivremo a bordo frugalmente e in modo ecosostenibile, una scelta etica che avremmo sempre desiderato fare e che ora potremo realizzare.
Ciò che fa sentire me e Ryan vivi sono le avventure: campeggiare su isole deserte, scalare scogliere, conquistare la cima di una montagna, fare snorkeling con le tartarughe marine, … Così, nel mese di Maggio sistemeremo al meglio Kittiwake per renderla confortevole e poi partiremo alla volta del Mediterraneo, entro Giugno 2017.

Nell’attesa di partire, tra una riparazione e l’altra, fantastichiamo su mete sempre più lontane, pur avendo già ideato un tragitto definitivo. Facilmente ci scontreremo con ostacoli climatici che ci rallenteranno e non siamo certi delle miglia nautiche che realmente riusciremo a coprire: la sicurezza è per noi la cosa più importante, consapevoli che vivremo in balia dei movimenti del mare e del vento, ma la nostra ambiziosa rotta è disegnata sulla mappa!
Partiremo da Falmouth, in Cornovaglia, e attraverseremo la Manica vicino a Salcombe, in Devon. Da lì costeggeremo la Francia fino alla baia di Biscay, che in parte dovremo attraversare di notte per mancanza di punti d’approdo cui ancorare la barca.
Esploreremo poi il nord della Spagna e il Portogallo, dove trascorreremo le notti cullati dalle tranquille acque delle foci dei fiumi, protetti dalle correnti vigorose dell’oceano. Qui, speriamo di riuscire a fare qualche arrampicata sulle impressionanti scogliere portoghesi e, chi lo sa, magari impareremo anche a fare un po’ di surf.
Raggiunto il sud della Spagna, attraverseremo lo stretto di Gibilterra e ci dirigeremo verso le isole Baleari; abbiamo deciso di dedicare un intero mese all’esplorazione delle belle isole spagnole e delle loro cale naturali, cogliendo l’occasione anche per qualche allenamento nel freediving.

Navigheremo poi nel Mare di Sardegna, per arrivare sull’isola italiana nei pressi di Portoscuso; di qui, percorreremo la costa sarda verso sud per avvicinarci alla Sicilia, sfioreremo il Tirreno e raggiungeremo quindi il Mare di Sicilia e Marsala.
Dopo aver costeggiato la parte sud-ovest dell’isola, dovremmo attraversare nuovamente il Mare di Sicilia, questa volta in direzione di Malta. Qui, trascorreremo l’inverno navigando, tempo permettendo, tra le isole di Comino, Gozo, Cominotto e gli scogli minori di St. Paul’s e Filfola; speriamo anche di poter fare diving prima che arrivi il freddo, così da poter vedere i cavallucci marini. Ci avventureremo alla volta degli spettacolari sentieri e falesie dell’arcipelago maltese tra Novembre 2017 e Marzo 2018; Malta ha inverni molto miti e spesso le temperature sono intorno ai venti gradi fino a Natale, quindi è il posto ideale per svernare.
E poi? E poi chi lo sa. Non abbiamo piani per il futuro, ma sappiamo che vogliamo vivere una vita più significativa e avventurosa, una vita che non ci intrappoli dietro una scrivania o davanti alla TV.

Potrete seguire la nostra esperienza sul nostro blog sailingkittiwake.com e sui social: per ora siamo su Twitter e Facebook, ma documenteremo il viaggio anche su YouTube, non appena partiremo.

Alla ricerca di se stessi sulle orme di Santiago

Il cammino è la meta” è una di quelle frasi da Bacio Perugina che ci fanno più ridere che riflettere; ma quando la si vede associata al Cammino di Santiago, la verità non le è più così lontana!

Da quando, all’inizio del IX secolo, si è diffusa la notizia della scoperta della tomba di san Giacomo il Maggiore a Santiago de Compostela, i pellegrini hanno iniziato a confluivi a migliaia per rendere onore al santo. Oggi sono 200mila le persone che ogni hanno si mettono in cammino su questi stessi sentieri, guidati dalle più svariate motivazioni: chi per sport, qualcuno per turismo, moltissimi  sulle tracce di una ricerca interiore che li porti ad avere una più piena consapevolezza della loro vita.

Paesaggio da O Cebreiro, a 1300m di altezza.
Paesaggio da O Cebreiro, a 1300m di altezza.

Il fatto di essere adatto a tutti fa sì che il cammino riservi sorprese ed incontri straordinari. Durante il giorno, quando i kilometri scorrono sotto le scarpe, sono la natura e la solitudine (fatta eccezione per gli incontri con gli altri pellegrini) le sole compagne su cui si può fare affidamento; si impara a fare i conti con la fatica, i dolori muscolari e le insidiose vesciche, ma è soprattutto con se stessi che finalmente si riesce ad entrare in contatto.

La sera invece, dopo un meritato riposo e una doccia ristoratrice, è un momento di condivisione e allegria negli albergue in cui ci si può trovare a cucinare con un’umanità aperta, calorosa e disponibile, proveniente da ogni parte del mondo, con cui scambiare opinioni e racconti che non possono far altro che arricchire l’esperienza stessa del cammino.

La freccia gialla e la conchiglia sono i simboli che accompagnano il pellegrino durante tutto il cammino... alcuni sono davvero artistici.
La freccia gialla e la conchiglia sono i simboli che accompagnano il pellegrino durante tutto il cammino… alcuni sono davvero artistici.

A proposito degli albergue! Sono più di 300 disseminati lungo tutto il tragitto e ce ne sono per tutti i gusti: alcuni di proprietà pubblica, alcuni di proprietà religiosa e il resto di privati. Si tratta di edifici che hanno letti a castello in stanze o dormitori con una capienza che può andare dagli 8 ai 150 posti letto; anche questo fa parte dello spirito del pellegrinaggio: meglio avere però una certa dose di capacità di adattamento dal momento che si dorme in genere in camerate comuni e i vicini di letto possono essere più o meno rumorosi (consiglio: i tappi per le orecchie possono davvero salvarvi da una notte insonne).

In una di quelle camerate ho conosciuto Dawn, una ragazza venticinquenne originaria della California; ci incontriamo in un affollato ostello di O Cebreiro, una della prima cittadine galiziane sul cammino di Santiago. «Cinque anni fa mi trovavo in una situazione disastrosa – racconta – avevo lasciato da tempo gli studi e mi dedicavo a lavori saltuari per cercare di mantenermi. Non mi riconoscevo più e avevo perso la fiducia nel riuscire a fare qualcosa di più della mia vita. Sembra incredibile ma fu un film a darmi la forza di rimettermi in moto». Fu infatti dopo aver visto The Way di Emilio Estevez (2010) che Dawn mollò tutto e, armata solo di un pesante zaino sulle spalle, volò a Pamplona, dove iniziò il suo primo personale Cammino di Santiago.

Dopo essere arrivati a Santiago molti pellegrini decidono di prolungare il viaggio di qualche giorno per poter giungere a Finisterre, dove, dopo aver acceso un piccolo falò, bruciano alcuni vestiti con i quali hanno compiuto il cammino in segno di purificazione.
Dopo essere arrivati a Santiago molti pellegrini decidono di prolungare il viaggio di qualche giorno per poter giungere a Finisterre, dove, dopo aver acceso un piccolo falò, bruciano alcuni vestiti con i quali hanno compiuto il cammino in segno di purificazione.

In copertina: ph. Anila amataj CC BY-SA 4.0/Wikimedia Commons

A caccia di sogni

Inseguire i propri sogni è un qualcosa di intrinseco alla natura umana, è una cosa che caratterizza la vita di tutti noi. Ognuno di noi ha un sogno per realizzare il quale farebbe carte false. Ci sono sogni assurdi, difficili se non impossibili da realizzare, che restano per sempre nel famoso cassetto. Restano lì, ad aspettarci. Possiamo rispolverarli quando vogliamo, per cullarci nella speranza che un giorno, prima o poi, li realizzeremo, e invece resteranno irraggiungibili per sempre. Ma ci sono, sono lì, perché la nostra vita è fatta per avere dei sogni, non ci abbandoneranno mai. E poi ci sono quelli che invece si possono realizzare. E quando si ha l’occasione di realizzare un sogno, il proprio sogno, quell’occasione non si può rifiutare.

Ed è proprio per inseguire i suoi sogni che Mirco Sambrotta, 31enne italiano originario dell’Abruzzo, si è trasferito all’inizio del 2015 a Granada, in Andalusia, nel sud della Spagna. Dopo aver conseguito la laurea triennale in Filosofia all’Università di Firenze e la laurea magistrale, sempre in Filosofia, all’Università degli studi di Milano, Mirco ha avuto la possibilità di trasferirsi in Spagna per realizzare il suo sogno.

«Mi sono trasferito qui a Granada per un Ph.D, che non è altro che un dottorato di ricerca, ma detto così sembra qualcosa di più importante. Dopo la laurea, mi sono occupato di filosofia del linguaggio ed epistemologia, sicché, come potete facilmente immaginare, in Italia la gente mi prendeva in giro e rideva di me quando dicevo che il mio sogno era quello di fare il ricercatore. Lo so che non è un sogno emozionante ed ambizioso come quello di fare l’astronauta o quello di scalare il K2, ma è davvero quello che mi piace fare nella vita.»

Così, quando si è palesata la scelta tra continuare a fare il barista-cameriere a Milano o lasciare l’Italia ed inseguire il suo sogno, Mirko non ha esitato un attimo a prendere la decisione di trasferirsi a Granada per conseguire il dottorato di ricerca.

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Anche se, a dire il vero, Mirco ammette di averci dovuto pensare prima di accettare:« La decisione, seppur facile, ha richiesto qualche giorno di riflessione. A Milano, nonostante facessi cameriere, avevo comunque un ottimo stipendio per quello che è il momento attuale in cui versa l’Italia, e per un giovane questo è quasi un miracolo. Qui invece devo stare più attento con i soldi. Faccio la spesa al discount, per fare un esempio. Ma quando arrivo a casa la sera sono contento, perché so di aver usato il cervello per qualche ora, e non solo la macchinetta del caffé, per guadagnarmi lo stipendio.»

 L’impatto con la realtà di Granada, e della Spagna in generale, non è stato difficile. Mirco si è trovato a confronto con una cultura e una lingua non molto differenti e distanti da quella italiana, e grazie a questo si è facilmente integrato nella nuova città e ha iniziato alla grande la sua nuova vita all’estero.

«Qui è un po’ come il Molise, ma con il flamenco al posto della tarantella. Non ho avuto problemi né con la lingua, né con le abitudini enogastronomiche, né con i principi etico-morali, mi sentivo quasi più “straniero” a Milano.»

Mirco si sente fortunato per essersi trasferito in Spagna: si è ritrovato a vivere in un paese in cui si trova bene, adatto alle sue caratteristiche, al suo modo di essere e di fare. Ha trovato persone che credono in lui, viene pagato per fare la cosa che gli piace di più al mondo. Ha trovato una città adatta alle sue esigenze, nella quale poter vivere inseguendo i suoi sogni. Ma qualsiasi posto sarebbe andato bene. Si sarebbe adattato a qualsiasi luogo, città, lingua e cultura, pur di poter inseguire e realizzare il suo sogno.

Immagine 2 (1)Quella di spostarsi in un paese straniero è anche un’esperienza che ti permette di conoscere te stesso più intimamente e attentamente. Ti permette di capire meglio quelli che sono i tuo limiti, quelle che sono le tue potenzialità. Ti permette di capire ciò che davvero vuoi fare nella vita. Ma è un’esperienza che ti regala anche la possibilità di conoscere a fondo una cultura diversa dalla tua, per quanto, nel caso di Mirco, quella spagnola sia molto simile a quella italiana. Ti da la possibilità di conoscere nuove persone, che portano con loro valori e ideali diversi dai tuoi. E ti permette di apprezzare meglio l’altro, e con questo la diversità che distingue ognuno di noi.

«Qualche giorno fa – ci racconta Mirco – ho letto il post su Facebook di una ragazza che conosco, all’interno del quale spiccavano frasi come “Evviva la ruspa di Salvini”, oppure “Stateci voi insieme a questi beduini che vivono sulle nostre spalle”. Ecco, se dopo soli cinque mesi a Granada, mi chiedessero a cosa serve un’esperienza all’estero, risponderei innanzitutto: per evitare di scrivere queste cose pubblicamente; per evitare di pensarle certe cose, o anche solo di immaginarle! Certo, è un po’ come la pillola del film “Limitless”, che migliora la capacità di sfruttare al massimo il tuo sistema nervoso: se sei intelligente la cosa funziona meglio.»

 Per quanto riguarda i progetti per il futuro, Mirco non si sbilancia. La sua passione per quello che fa non conosce limiti e spera di continuare a fare il lavoro che ama per molto tempo ancora, ma non gli piace fare progetti a lungo termine. Ci sono troppe variabili, specie nel campo della ricerca: «Spero solo di avere, un giorno, una qualche buona intuizione che mi permetta di continuare a fare ricerca. Se questo avverrà in Spagna o altrove, per me non ha alcuna importanza, anche se “la ricerca è un gioco che si gioca 11 contro 11 e, alla fine, vincono gli anglosassoni”.»

La cosa importante, sulla quale Mirco non ha dubbi, è che non vuole riporre il suo sogno nel cassetto. Non vuole tenerlo lì, solamente per rispolverarlo ogni tanto, per ricordare quant’era bello. Mirko vuole che questo sogno, il sogno di fare il ricercatore, duri per tutta la vita.

Barcellona: una rumba tra le feste, la cultura e l’indipendenza

Barcellona. Una parola, un luogo che fa pensare immediatamente al divertimento e alla vita da spiaggia con una birra economica fra le mani. Per i tifosi, Barça é un pensiero che corre dietro a L. Messi. Per i più “culTuristi”, si tratta di Gaudì ad ogni piè sospinto tra Parque Guell e la Sagrada Familia, ma anche Macba e Museo il Museu d’art de Catalunya.

Questo è il punto: l’identità catalana é qualcosa di molto forte e tangibile, qualcosa che va oltre al cliché della Spagna. Tutto vero, proviamo a pensare passo dopo passo a quello che possiamo trovare; passi veloci e precisi come quelli della rumba, sia beninteso!

La vita notturna di questa città rispecchia davvero l’ immaginario collettivo: si può bere tutta la notte, senza troppo spendere, se non in dignità; ci sono quartieri come quello del Raval in cui si trovano locali e piccoli club uno accanto all’altro. La vita da spiaggia a Barça d’inverno é appena immaginabile; ma tutta la notte fino all’alba si può vivere o quantomeno sentir parlare di feste, after parties.

All'alba
All’alba

Il mondo intero conosce l’opera dell’architetto Gaudì che si può ammirare per le strade di Barcellona. Basta puntar gli occhi al cielo e cercare qualcosa di terrificante come il dorso di un rettile nel tetto della casa Batlò o la bocca di un terribile orco nella facciata della Sagrada Familia.
La visita alla chiesa è abbastanza cara, ma il prezzo è giustificato dal fatto che i proventi della vendita dei biglietti sono i finanziamenti per la costruzione dell’ultima torre: entro il 2025/2026 si prevede la conclusione del progetto iniziato da Gaudì nel 1883.

Sagrada Familia
Sagrada Familia

Quando ci si avvicina al museo d’arte contemporanea di questa città ci si sente un po’ europei: si percepiscono le influenze di diversi paesi e culture; giovani skaters disegnano danze sulla piazza. L’edificio ospita esposizioni temporanee, una biblioteca e angoli per lo sviluppo della ricerca artistica. Fino al 12 aprile 2015 si consiglia di visitare tra le altre esposizioni la collezione di Philippe Méaille “Art & language incomplet”.

MACBA
MACBA

Il Museo dell’arte catalana custodisce un’importante collezione di arte romanica ed è stato costruito per l’ Esposizione Universale del 1929 come la “fontana magica”, una delle attrazioni di Barcellona che si rivolge ai turisti e alle famiglie locali che si ritrovano tutti i fine settimana a godere dello spettacolo dei giochi d’acqua, proprio ai piedi della collina del MontjuÏc.

 

FOTO4 repertorio wiki 2012

Referendum indipendenza
Capitale economica del Regno d’Aragona e attualmente una delle regioni più ricche della Spagna, da diversi decenni la Catalunya chiede la sua indipendenza dal potere centrale retto da Madrid. Proprio il 9 novembre 2014 si è tenuto un referendum nel quale si chiedeva ai cittadini di esprimersi sulla volontà di fare della Catalogna uno Stato e se sì, uno stato indipendente. Due milioni di catalani si sono presentati alle urne (un terzo degli aventi diritto) e l’80% ha risposto sì.

In copertina: Parco Ciutadella, Barcellona [ph. Lesia Pko CC0 via pxhere]

Il Carnevale di Valencia e il suo saluto alla Primavera

Fotografie di Mila Crippa.

Considerata una delle Feste più caratteristiche e antiche della Spagna, il Carnevale di Valencia o Festa des Las Fallas, esplode tutti gli anni a metà marzo salutando la Primavera tramite il rogo di giganti sculture in legno e pupazzi di cartapesta, denominati per l’appunto fallas.

Costruiti durante i restanti giorni dell’anno da famosi falegnami, i fallas vengono bruciati in piazza da secoli per depurare la città dalle negatività e da ogni peccato. A salvarsi dalle fiamme della notte di San Giuseppe, sono solo quelle sculture prescelte dalla giuria popolare e che in seguito occuperanno posto tra i vincitori delle precedenti edizioni al Museo delle Fallas di Valencia.

Ma non solo i roghi, pure i concerti, le danze, i costumi storici valenciani e gli spettacoli pirotecnici animano la città spagnola, regalando un evento di forte richiamo turistico e ampia partecipazione popolare.

 

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