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Dentro e fuori la Polonia post elezioni

La Polonia decide di svoltare drasticamente a destra: il partito nazionalista PiS (Diritto e Giustizia) dell’ex primo ministro Kaczynski ha raggiunto la maggioranza assoluta dopo le ultime elezioni. La premier designata Beata Szydlo ha la possibilità, quindi, di formare un esecutivo senza coalizioni politiche e con oltre la metà dei seggi della Dieta (Sejim in polacco, la camera bassa del parlamento) disponibili. Non era mai successo dal 1989. Come non era mai successo che, dalla caduta dell’Unione Sovietica, ad entrare in parlamento fossero solo partiti di destra o di centro-destra lasciando fuori quelli tradizionalmente di sinistra. Foto 1

‘’Portiamo Budapest a Varsavia’’, recitava uno degli slogan in campagna elettorale e il rischio che la Polonia si trasformi in un’Ungheria stile Orbàn è più di una semplice ipotesi. Del resto l’ideologia nazionalista anti-europeista, xenofoba, e anti-immigrazione del partito di Kaczynski è ben nota. Tanto è vero che, sempre in campagna elettorale, la destra polacca sosteneva la necessità di fermare i flussi migratori perché ‘’portatori di malattie e minaccia alla sicurezza del Paese’’ (da La Stampa on-line del 25/10/2015) considerandoli un vero e proprio ‘’problema’’. Posizione che trova terreno fertile in Polonia anche perché buona parte della popolazione non ha visto di buon occhio il fatto che il governo precedente abbia accettato le quote di rifugiati richieste da Bruxelles. Non meno pesante è la dichiarata volontà di sottrarsi ai diktat europei e alla non adesione all’euro, rilanciando la crescita del Paese difendendo i valori cattolici e patriottici. La Polonia sarà un po’ meno tedesca, quindi, e sempre più lontana dall’orbita di Mosca a tal punto che si fa largo l’ipotesi di incrementare il numero di basi militari Nato sul suolo polacco.Foto 2 (1)

Gioisce Matteo Salvini che, appena dopo le elezioni, scrive sul suo profilo Facebook ‘’Grazie Polonia! Il libero voto dei polacchi è la vittoria di chi sogna un’Europa diversa, più attenta al lavoro e meno agli interessi di banche e multinazionali, incalzando sul tema dell’immigrazione ‘’ha stravinto chi vuole controllare l’invasione clandestina e pensa prima al lavoro e ai diritti della sua gente’’. Si schiera dunque a favore del nuovo governo polacco la Lega Nord, prospettando che presto una svolta radicale di tale portata arriverà anche in Italia. Chi non è contento è la cancelliera Angela Merkel che vede andare in fumo il processo di integrazione portato avanti con Varsavia negli ultimi anni, e l’ombra del sentimento anti-tedesco aleggiare sulla Germania.Foto 3 (1)

L’Europa sta vivendo un periodo di transizione: le elezioni polacche hanno messo in ginocchio il continente contribuendo alla nascita di un forte fronte anti-europeo e soprattutto ultranazionalista. Quali conseguenze porterà tutto ciò? È presto per dirlo, ciò non toglie che quello che aspetta l’UE potrebbe essere un futuro molto incerto.

Fame di terra saziata con grano europeo

Nasce tutto a Ferrara, tra le guglie estensi e viottoli medievali, all’interno di un Festival che avevo deciso di godermi per personale curiosità, senza nessuna volontà di volerci ricavare materiale per un nuovo pezzo. Invece eccomi qua a scrivere, prendendo uno spazio a Pequod, con un fine: fungere da eco ad un’inchiesta portata avanti da due ragazzi, Diego Gandolfo e Alessandro di Nunzio, giornalisti freelance per vocazione, che hanno “ficcato il naso”, in un settore ai più oscuro, riuscendo, con il loro validissimo lavoro, a vincere il Premio Morrione, per la migliore inchiesta.

Dopo cinque mesi di investigazioni giornalistiche, grazie alle dolorose grida di aiuto di agricoltori illegittimamente defraudati dei propri campi, si è scoperchiato un vaso di pandora: la sottrazione dei fondi europei destinati all’agricoltura da parte delle cosche siciliane. È la terra a far gola alla mafia. Più terreni possiedi, più finanziamenti ricevi. Questo meccanismo in Sicilia ha inquinato l’intero sistema di assegnazione e compravendita dei terreni. L’importante, dunque, è riuscire ad arrivare (molto spesso con mezzi violenti) a possedere fondi e agri perché sarà la terra a generare automaticamente denaro di natura pubblica – comunitaria. Denaro che l’Europa eroga sottoforma di sostegno al reddito per le persone occupate nell’agricoltura. Scenario lavorativo-economico sempre più “EXPO STYLE”; tutti convinti di dover sviluppare ampliare e sostenere. Il problema grosso, oltre alla gravosa e socialmente distruttiva presenza mafiosa, è che molti di questi soldi la campagna non la vedranno mai.province-tagli

La cronaca giudiziaria ha attestato che i denari in questione, per una sorta di legge del contrappasso – o forse più con una forte tonalità di acido sarcasmo – sono purtroppo finiti nel commercio del cemento, senza frutti, senza derrate e con il grano lasciato a marcire con buona pace del reale raccolto ottenuto. A questo si è riusciti ad arrivare anche perché nella regolamentazione dell’ammortizzatore sociale previsto, non è nemmeno lontanamente menzionato un seppur minimo obbligo di rendimento o di rendicontazione. Se a questo si mescola l’egoismo criminale, la miscela mortale per l’intero comparto agricolo è aimè servito.

Ma cosa non funziona? Come si è riusciti ad arrivare a questo? Premettiamo che le domande per le concessioni dei fondi comunitari destinate all’Agea, (che è l’ente che si occupa della gestione ed erogazione dei soldi pubblici nell’ambito delle politiche agricole), devono necessariamente passare presso i Caa (centri di assistenza agricola) i quali, risultano essere limitati nei loro poteri istruttori di controllo. Ugualmente limitante è la normativa, che prevede l’obbligo di richiesta della certificazione anti-mafia solo ed esclusivamente per i finanziamenti superiori a 150.000 €. Una soglia ormai davvero troppo alta, che non permette di escludere l’operosità della mafia anche a cifre inferiori. Mafia, sì, come quella “dei Nebrodi”, che ha costretto le autorità del posto, quali il sindaco di Troina, e il presidente del Parco dei Nebrodi a vivere sotto scorta, perché minacciati, colpevoli di voler semplicemente ripristinare lalegalità in questa vorticosa e maleodorante giostra dell’assegnazione delle terre attraverso la minaccia e il metodo criminale. Purtroppo, però, il giocattolo è rotto, fuori controllo. Secondo la Corte dei Conti molti dei proventi illegalmente ottenuti negli anni sono andati definitivamente persi perché prescritti.1328943557_8700c7d681_b

Ma c’è di più: il rischio è che l’intero costo di questo vorticoso ingranaggio mafioso, perpetrato ai danni della Ue, andrà a pesare sulla collettività Italia, inficiando la legittimità stessa dei fondi. La Direzione generale agricoltura della Commissione europea intende proporre una rettifica finanziaria relativa a tutti i debiti non recuperati anteriormente al 2010.
L’importo massimo della correzione ammonta a 388.743.938 milioni, che verrebbero così decurtati dal budget italiano della Pac 2014-2020, con buona pace di chi di agricoltura ci vive, per chi davvero potrebbe avere un progetto funzionale, biodiversificato; per chi con quei fondi e grazie ad un’ottima idea e ad una forte volontà potrebbe essere pioniere di un’eccellenza in coerenza con  EXPO, ospitata proprio quest’anno dal nostro paese.

Confrontandomi con gli stessi autori, si è inoltre avuto modo di riflettere sul focus tutto siciliano della loro inchiesta e ciò ha contribuito ad allarmare gli animi. Se questa malattia diagnosticata sull’isola si fosse diffusa su tutto lo stivale le conseguenze nei rapporti italo-comunitari sarebbero quanto meno nefaste. Ciò che invece consola è che l’Italia ha, quanto meno, ottemperato ad uno degli obblighi istituiti all’art. 325 punto 2 del Trattato Ue, rubricato “Lotta contro la frode” dove espressamente si obbligano gli Stati membri, ad adottare le stesse misure utilizzate per combattere le proprie frodi domestiche, al fine di contrastare le frodi comunitarie. almeno su questo punto siamo stati, come sistema Italia, impeccabili e affidabili, conformando il nostro sistema di controllo dei finanziamenti europei a quelli italiani, con lo stesso criterio colluso e inadatto.

Abortire nel 2015 in Irlanda: una storia di diritti violati

177.000: le donne che dal 1971 si sono recate in Inghilterra o in Galles per abortire.
3679: le donne che nel 2013 si sono recate all’estero per abortire.
 
1000-1500 Euro: il costo medio, in sterline, di un viaggio all’estero per abortire.
4000: la multa prevista, in sterline, per il personale medico che raccomanda un aborto o fornisce tutte le informazioni necessarie circa la procedura da seguire.
43: il numero dei paesi europei che consentono l’aborto quando richiesto o per una serie ampia di ragioni, con l’eccezione di Andorra, Irlanda, Malta, Polonia e San Marino.
24: i giorni in cui, nel dicembre 2014, una donna clinicamente morta è stata tenuta in vita, contro la volontà dei suoi familiari, a causa del battito cardiaco del feto.
14: gli anni che rischia chi ha un aborto illegale o chi presta assistenza a un aborto illegale. (Fonte: Amnesty International)
Queste cifre riguardano l’Irlanda, che ritiene l’aborto illegale tranne nei casi in cui esista un rischio “reale e sostanziale” per la vita (non per la salute) della donna. Questa eccezione è stata stabilita nel 1992 da una sentenza della Corte suprema in merito al caso di una quattordicenne rimasta incinta a causa di uno stupro, che aveva manifestato l’intenzione di suicidarsi. La definizione del rischio “reale e sostanziale”, priva di chiarezza, ha lasciato molte donne in uno stato di totale incertezza. Solo nel 2013 il governo ha presentato una legge sulla protezione della vita durante la gravidanza che dispone come stabilire se esista un rischio reale e sostanziale per la vita della donna, in presenza del quale un aborto sarebbe lecito. Tuttavia la legge rimane ancora troppo vaga e non precisa in cosa consista il concetto di “rischio per la vita” rispetto al “rischio per la salute”. L’aborto resta illegale per le donne che rimangono incinte a causa di uno stupro o di incesto, nei casi in cui è a rischio la loro salute o in caso di anomalie fetali mortali.
 
Amnesty International, il 9 giugno, ha diffuso un rapporto intitolato “Lei non è una criminale. Gli effetti della legge sull’aborto in Irlanda”, nel quale dichiara che rimanere in Irlanda può mettere in grave pericolo la salute e la vita delle donne incinte. Limitandosi a consentire l’aborto solo quando la vita della donna è a rischio, la legge in vigore in Irlanda è tra le più restrittive al mondo. L’origine di tale legge è l’ottavo emendamento alla Costituzione, profondamente influenzato dalla dottrina religiosa, che tutela il diritto alla vita del feto alla pari con il diritto alla vita delle donne. Questa disposizione è contraria alle norme sui diritti umani, che non riconoscono un diritto alla vita al feto bensì ritengono che i diritti umani si acquisiscano dopo la nascita. Il quadro normativo irlandese fa sì che lo Stato violi il diritto de donne alla vita, alla salute, al rispetto della vita privata, alla non discriminazione e alla libertà dalla tortura e dai maltrattamenti. 
Contestualmente al rapporto, Amnesty International ha lanciato una campagna per chiedere all’Irlanda di modificare le sue leggi sulla protezione del feto in modo da poter consentire l’aborto almeno nei casi di stupro o incesto, di danno grave o fatale al feto o di rischio per la salute delle donne. Per adempiere pienamente i propri obblighi internazionali, l’Irlanda dovrebbe depenalizzare l’aborto. Si chiede inoltre anche la modificata della normativa che rende responsabili di un reato i medici e i consulenti che forniscono alle donne informazioni esaurienti sui trattamenti di cui hanno bisogno e su come avere un aborto legale. Il recente referendum sull’uguaglianza dei matrimoni sembra suggerire che i tempi siano maturi per una modifica della legge sull’aborto e lo Stato non può e non deve rimanere sordo a un simile segnale. 
Video della campagna globale di Amnesty International “My body my rights”, che mira a garantire la possibilità di poter prendere decisioni sulla propria salute, il proprio corpo, la propria sessualità e la propria vita riproduttiva senza paura, coercizione, violenza o discriminazione, lanciato anche in Irlanda il 9 giugno.
E l’Unione Europea che ne pensa? Il 10 marzo il Parlamento Europeo ha approvato il rapporto Tarabella sull’uguaglianza di genere tra uomo e donna (441 si, 205 no, 52 astenuti). Il testo affronta anche il tema dei diritti sessuali e riproduttivi e “insiste sul fatto che le donne debbano avere il controllo della loro salute e dei loro diritti sessuali e riproduttivi”, attraverso “un accesso agevole alla contraccezione e all’aborto”. Le attiviste dei movimenti pro choice hanno però subito dovuto frenare gli entusiasmi, perché è passato anche l’emendamento voluto dal Ppe che afferma che “la formulazione e l’attuazione delle politiche in materia di salute, diritti sessuali, riproduttivi e dell’educazione sessuale è di competenza degli Stati membri: ribadisce nondimeno che l’Ue può contribuire alla promozione delle migliori pratiche degli Stati membri”. La legislazione in materia rimane quindi di competenza nazionale, con un’Ue che si limiterà a incoraggiare modifiche negli Stati che non garantiscono pienamente il diritto all’aborto. Abbiamo quindi Malta, per cui l’aborto è ancora illegale, e Cipro, Polonia, Spagna, Lussemburgo e Irlanda che lo consentono in situazioni molto limitate. La situazione però non è idilliaca nemmeno in alcuni degli stati che consentono di praticare l’aborto su richiesta. 
Secondo l’ultimo rapporto del Ministero della salute, in Italia, il tasso di obiezione di coscienza nel 2013 è stato del 69,6 per cento per i ginecologi, del 47,5 per cento per gli anestesisti e del 45 per cento per il personale medico. Parliamo di percentuali elevatissime che spesso finiscono per negare un diritto previsto dalla legge. La situazione italiana è talmente critica che nel 2014 il Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa ha dichiarato che a causa delle elevatissime percentuali di obiezione di coscienza l’Italia viola il diritto alla salute delle donne che vogliono abortire. Non si tratta di negare il diritto di obiezione di coscienza ma di garantire un servizio, con la presenza di almeno un medico per struttura che non la eserciti. Se non ora, quando? Quanto bisognerà ancora aspettare per poter serenamente esercitare i propri diritti sessuali e riproduttivi? È tempo di far sentire la propria voce in Italia come in Irlanda, di porre fine a una condizione assurda per gli stati europei, da sempre culla dei diritti sociali. 
Articolo di Sabina Mansutti – The Bottom Up

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