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Mese: Aprile 2015

Leonardo Lussana: I due volti dell’arte

Nel corso delle epoche la definizione di arte si è modificata e ampliata tante volte, grazie a nuove visioni artistiche e l’utilizzo di nuovi stili, potremmo dire che quella che racchiude tutto questo è questa: “Qualsiasi forma di attività dell’uomo come riprova o esaltazione del suo talento inventivo e della sua capacità espressiva”.

Oggi noi di Pequod parleremo di questo e altro con Leonardo Lussana in arte Leù, giovane artista con la doppia anima: Dottore in Beni culturali e Storia e critica dell’arte e writer; qualcuno direbbe che sono due cose completamente diverse, il fuoco e l’acqua, invece Leù non si identifica con una o con l’altra perché come lui stesso afferma: «Sono entrambe parti che compongo il mio io, come il mio lavoro, le mie altre passioni le mie qualità e i miei difetti.».

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Leù ha iniziato a dipingere graffiti una decina di anni fa; ci racconta: «I motivi che mi hanno spinto a cominciare sono diversi e, alcuni, rispecchiano quei classici stereotipi che la stampa e l’opinione comune sono soliti indicare come tratti caratteristici dei giovani della nostra generazione: al primo posto metto la mia passione per tutto quel che riguarda la pittura e il disegno, a seguire, la fascinazione per i murales che vedevo tutti i giorni lungo la strada andando e tornando da scuola, la ricerca di emozioni diverse nella vita di tutti i giorni, la volontà di dire al mondo: “ehi, guarda che ci sono anche io” e anche un sentimento di rifiuto verso tutto quello che fa la maggior parte della gente. »

Il suo primo graffito l’ha realizzato in un sottopasso: «Non avevo bene chiaro quello che stavo facendo, non avevo nemmeno preparato una bozza, fu una cosa spontanea e il risultato fu più simile ad un occhio di bue che a un pezzo vero e proprio (il mio nome in lettere bianche decorate da pois gialli), insomma, citando Fantozzi, “una cagata pazzesca”».

Lui non si considera affatto un artista, «ma uno che si diverte come un bambino a cui danno i pennarelli e gli dicono di disegnare ciò che vuole. Detto questo posso dire che cerco di trasmettere sul muro le mie sensazioni e i miei stati d’animo, ad esempio cerco di inserire un cielo con delle nuvole nelle mie composizioni: mi soffermo spesso ad ammirare il cielo, che sia nuvoloso, sereno, di notte o di giorno mi restituisce sempre un senso di pace e tranquillità.

Al di là dei soggetti in sé, che sono per lo più animali, un altro elemento ricorrente sono le forme geometriche di diversi colori che si affollano sullo sfondo o entrano in relazione con tutto il resto, le dipingo un po’ per scelta estetica un po’ perché potrei paragonarli ai mille pensieri che mi affollano la testa. Per quanto riguarda l’ispirazione direi che è la mia fantasia la componente più importante, anche se a volte inizia tutto dalla frase di una canzone o dalle sensazioni negative o positive che mi lasciano le persone che incontro e conosco.»

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“Che cos’è l’Arte?” secondo lui è la classica domanda da un milione di dollari: «Sotto la parola arte si possono elencare tutte quelle “cose” realizzate dall’uomo, materiali e non, in grado di emozionare e affascinare dal punto di vista estetico, mi rendo conto che è una definizione un po’ generalizzata ma al giorno d’oggi questo campo è talmente vasto che è difficile trovare delle parole che riescano a comprendere tutto senza cadere in contraddizione. Credo quindi che i graffiti e la street art possano rientrare nella definizione di arte, anche chi opera nell’illegalità può tranquillamente aver creato un qualcosa che possa essere chiamato arte e non sto parlando solo di Banksy o degli altri più quotati ma di chiunque, ovviamente bisogna poi valutare caso per caso, come per tutto il resto d’altronde.»

Attualmente la sua attività procede bene e riesce a dipingere in media una volta a settimana. «Non è molto, c’è gente che fa molto più di me, ma io non mi identifico come writer, anche perché non scrivo lettere ma mi concentro esclusivamente su soggetti figurativi; è solamente una parte di me che coltivo con passione.»

Le sue prospettive del futuro è quella di migliorarsi sempre e di crescere continuamente: «La vedo un po’ come la teoria dell’evoluzione: chi sa stare al passo coi tempi va avanti. Non sono mai pienamente soddisfatto di quello che faccio, mi lascia sempre un po’ di delusione, penso anche di essere molto critico nei miei confronti ma allo stesso tempo credo che sia la condizione necessaria per correggere i propri errori. »

Le difficoltà ci sono e sono « i limiti tecnici che magari non ti consentono di fare ciò che vorresti e la disponibilità di spazi liberi dove poter dipingere; mi sto dedicando quasi esclusivamente alla parte legale dei graffiti: commissioni di privati e dei comuni, hall of fame ecc… E un ostacolo caratteristico di questo lato della medaglia sono le imposizioni di chi ti chiede di fare il disegno, ad esempio il tema scelto piuttosto che i soggetti da rappresentare, a volte li considero un po’ castranti e noiosi. »

 

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MUDEC: la polemica si insinua tra le pareti luminose

Il fermento per Expo ha fatto pensare che il 2015 sarebbe stato l’anno dell’Italia, soprattutto di Milano, ma purtroppo per la città è ancora troppo presto per cantar vittoria. Fioriscono, infatti, nuove polemiche tra il Comune e il genio dell’architettura inglese David Chipperfield.

Il nodo della questione è proprio l’ultimo figlio dell’Archistar: il nuovo museo delle culture di Milano, che Chipperfield vuole disconoscere a tutti i costi.

Il polo museale sorge nell’ala del complesso industriale ex Ansaldo, in zona Tortona, che dopo circa dodici anni di cantiere ha completato il proprio restyling, facendosi strada tra calce e mattoni con i suoi intrighi di luce, giocati su contrasti cromatici. In una zona così ricca di slanci creativi, che si pone come crocevia per le arti, attualmente l’unico ardore che si avverte è quello delle parole di Chipperfield e della sua scorta di avvocati.

L’inaugurazione dell’organismo espositivo prevista per il 26 marzo si è svolta, infatti, in acque tutt’altro che placide: la pavimentazione, completamene discorde con le volontà del progetto originale, che prevedeva l’impiego del basaltino di Viterbo, è stata realizzata con roccia lavica dell’Etna, senza alcuna cura nella posa, in quanto ignorate le venature naturali del materiale.

Il motivo dell’impiego di un materiale differente da quello suggerito dall’idea iniziale è principalmente economico, ma ciò non giustifica che gran parte della superficie risulti graffiata e danneggiata perché non protetta adeguatamente durante i lavori, aspetto che sconcerta ancor di più Chipperfield, poiché la vistosità dei difetti è percepibile anche da uno sguardo non esperto e che ha portato lo stesso ad affermare: «Il mio museo è un orrore».

L’architetto ha vietato che il suo nome venisse attribuito a tale struttura, mostrandosi, però, particolarmente sensibile nei riguardi dei milanesi: egli infatti si rivolge direttamente ai cittadini, i quali hanno finanziato l’opera che sarà il simbolo, non della Città delle culture, ma della pessima amministrazione, della negligenza e trascuratezza. Si mostra anche disponibile a rinunciare a parte del compenso che il Comune deve ancora versare all’architetto, affinché le imperfezioni vengano sistemate a dovere.

Intanto però Chipperfield, con amarezza, definisce ‘incompleta’ l’opera e risponde non presenziando all’evento di inaugurazione, lasciando nell’anonimia la struttura. Al taglio del nastro inaugurale, infatti, non è stato nemmeno menzionato e Del Corno, nonostante le mura esterne dell’edificio già imbrattate di vernice vandalica, ha giudicato inezie le numerose mancanze della struttura, rispetto alla grandiosità dell’evento, annunciando che sarà necessario «attendere l’accertamento tecnico sulle difformità, affidato a un soggetto terzo», prima di ultimare la correzione.

Il MUDEC si getta in pasto al pubblico con andatura pericolante e incompleto, ma sebbene l’evidente disagio Chipperfield viene apostrofato dal Comune come ‘capriccioso e irragionevole’, forse perché semplicemente testimone di una mentalità straniera, differente da quella italiana sempre più spesso amante dell’escamotage e non in grado di far fruttare la propria potenza estetica e culturale.

Non ci resta che attendere che i rapporti si distendano, nella speranza di poter sfoggiare, con orgoglio, questo splendido gioiello italo-inglese firmato Chipperfield.