Tradizioni che nascono dall’integrazione. Sguardi sulla storia della migrazione delle carte da gioco
D’abitudine, i giochi a carte si apprendono un po’ per tradizione: ogni famiglia ha i propri giochi prediletti e i nonni spesso hanno l’onore di scegliere a quali vada la preferenza. Da nord a sud Italia i mazzi mutano il loro aspetto, le scimitarre diventano spade e i bastoni si trasformano in mazze.
Ma da dove arrivano queste piccole tessere rettangolari e le regole che ne disciplinano l’uso?
La storia delle carte da gioco si intreccia a quella delle migrazioni umane. Con la semplicità delle piccole cose, questi svaghi semplici e maneggevoli si sono spostati da un continente all’altro attraverso le mani di una miriade di popolazioni, ognuna delle quali le ha rese parte della propria cultura, imprimendo minuscole, infinitesimali modifiche.
La loro invenzione risale all’antichissima Cina, là dove la carta vide la propria nascita; incerto il loro uso: sicuramente ludico, forse anche come carta moneta. Non sappiamo con esattezza né come né quando siano state introdotte in Europa. Probabilmente, dall’estremo oriente sono passate per la Persia e da qui giunte nelle mani dei Mammelucchi, che avrebbero modificato gli originali tre semi cinesi (Jian o Quian, monete, Tiao, stringhe di monete, e Wan, diecimila) nei quattro che si ritrovano negli odierni mazzi tradizionali: Jawkān (bastoni da polo), Durāhim (denari), Suyūf (spade) e Tūmān (coppe). Ciascun seme delle carte mammelucche conteneva dieci carte numerate, cui si aggiungevano tre figure: Malik (re), Na’ib Malik (viceré) e Thānī nā’ib (secondo viceré).
In Europa, la tradizione araba di attribuire identità di ufficiali dell’esercito alle figure, che da precetto coranico non ritraevano persone ma riportavano i nomi della persona di riferimento, venne adattata per rappresentare le famiglie reali, prima nelle figure di “re”, “cavalieri” e “servi” e successivamente in quelle di “re”, “regina” e “fante”. Ciascuno stato elaborò la propria versione dei semi, per lo più discostandosi di poco dagli originali mammelucchi. Furono i francesi, negli ultimi decenni del XV secolo, a semplificare i semi in uso, probabilmente ispirandosi a quelli tedeschi, codificandoli in cuori, quadri, fiori e picche. Negli anni 50 del XIX secolo, poi, gli statunitensi aggiunsero al tradizionale mazzo francese i quattro jolly, andando così a dare forma definitiva al mazzo più diffuso al mondo.

Se tanto mistero resta attorno alle origini e alle migrazioni delle carte, ancora più complesso è ricostruire gli spostamenti e le modifiche dei giochi che con queste si possono fare. Tra i più diffusi al mondo è il Poker; oggi giocato soprattutto on line e nei casinò, conta un infinito numero di specialità e varianti, che vanno dalla presenza o meno di calate, al numero di carte in banco e/o in mano. L’uso forse più singolare è quello adottato durante l’invasione dell’Iraq nel 2003, quando alle truppe americane venne distribuito il mazzo Most-wanted Iraqi, in cui ad ogni carte corrispondeva il nome, una foto e la carica di un membro ricercato del governo di Saddam Hussein. Le origini del Poker sono d’abitudine associate alla New Orleans di inizio Ottocento o alla poco distante Robtown, in Texas, dove nacque una tra le più diffuse varianti del gioco, appunto Texas hold ‘em; allo stesso modo, è possibile risalire dal nome di altre varianti al luogo in cui nacquero: un esempio tra tutti, il Caribbean Stud Poker, che nel secolo scorso si giocava sulle navi da crociera dirette ai Caraibi. Tuttavia, l’etimologia suggerisce che il Poker sia stato importato negli Statu Uniti dai francesi, che già nel XVIII secolo giocavano a Poque (dal francese pocher, ingannare), forse a sua volta ereditato dal Poken (inganno) tedesco, risalente al XVII secolo. Meno probabile, ma non smentita con certezza, l’idea che le regole potrebbero rifarsi all’italiano Zarro, antesignano della moderna Telesina, che come il Poque si giocava con un mazzo di 20 carte.

Se da un lato i francesi sembrano i più attestati inventori del gioco del Poker, dall’altro negli ultimi anni hanno perso la paternità del gioco in cui si attestano come i maggiori promotori nel mondo: il Belote. Gioco a coppie simile alla Briscola, è stato esportato in quasi tutte le ex colonie francesi, ma la sua influenza si è fatta sentire anche a est: lo troviamo infatti in Bulgaria, in Ungheria, in Grecia e in Croazia. Il maggiore successo lo ha raggiunto in Arabia Saudita e Armenia, dove i giochi più popolari risultano essere, pur con considerevoli varianti rispetto al riferimento francese, rispettivamente il Baloot e il Belot. Nonostante l’etimologia, un gioco molto simile ma soprattutto molto più antico si trova nelle Province Unite Nederlandesi del XVII secolo, il Klaverjassen. In Italia questo gioco, la Briscola appunto, sembra essere arrivato direttamente dai Paesi Bassi, e di qui trasformato nello Schembil, diffusissimo in Libia e in diversi Paesi del Nord Africa. Le esportazioni italiane di giochi di carte sono, del resto, numerose; in primo piano è la Scopa, giocata anche in Spagna con il nome di Escoba, che in Tunisia prende il nome di Chkobba e in Marocco, con qualche modifica, di Ronda.
Numerosissime sono le importazioni in Europa di giochi originari di Paesi lontani: dall’isola di Macao, ad esempio, arriva Baccarà, uno dei giochi d’azzardo tra i più diffusi nei casinò; originari dell’Uruguay sono, invece, Canasta e Burraco; al cinese Khanhoo o al messicano Conquian potrebbero risalire le diverse variazioni del Ramino, incluso il Chinchòn, che si gioca in Spagna, Uruguay, Argentina e Capo Verde. Altrettanto frequenti sono gli scambi all’interno del continente: popolarissimo tra i Paesi dell’ex URSS è, ad esempio, Verju ne Verju, che differisce dal Dubito italiano solo per il numero di carte usate (40 anziché 52); allo stesso modo, l’inglese Beggar-MyNeighbor, si è modificato nel rumeno Razboi e nell’italiano Guerra; discussa è l’origine del gioco italiano del Cucù, identico al Gambio svedese.
Le rotte percorse dai giochi di carte sono complesse e intricate, difficili da ricostruire quasi quanto lo sarebbe una mappatura della genealogia della specie umana. Nelle loro migrazioni, i giochi non conoscono confini e realizzano una vera integrazione: non solo culture che s’incontrano, ma qualcosa di nuovo che ogni giorno, in ogni luogo s’inventa.