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#FestivalCom – Le ultime ore di Cristo raccontate da Augias

E’ con uno sguardo dichiaratamente limitato all’aspetto storico e fattuale delle ultime 18 ore della vita di Gesù quello con il quale Corrado Augias si è presento alla conferenza da lui tenuta la sera del terzo giorno del Festival camogliese. Cercando di sintetizzare decenni di studi sugli ultimi, convulsi momenti della vita di Cristo inizia analizzando la figura di Giuda. Proprio questo personaggio, passato alla storia come il traditore per eccellenza, viene rivalutato alla luce del Vangelo di Giuda, elevandolo, e riconoscendolo forse come vittima predestinata di un disegno divino: questo infatti dice che, affinché si compisse la visione divina, il profeta, Gesù, doveva morire. Cristo chiese, infatti, a Giuda di «Spogliarlo della sua veste di carne», quindi di liberare il suo spirito con la morte, com’è scritto nel Vangelo apocrifo di Giuda.

Vi è poi la controversa scena del processo, in cui Pilato disse la famosa frase: «Io non vedo colpa in quest’uomo», ma Augias evidenzia la stranezza di una dichiarazione di questo tipo: un governatore romano, rozzo come Pilato, nella sua superbia non avrebbe mai chiesto alla folla un consiglio su come agire. Matteo riporta poi le parole del popolo quando a esso si rivolge Pilato: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». Quest’ultima è una frase sicuramente interpolata in seguito, infatti l’evangelista la inserisce perché «Tutto il popolo» rappresenta un’esagerazione voluta, per attirare la benevolenza dei romani scaricando la colpa sugli ebrei.

Infine il supplizio finale: la croce. Era un supplizio terribile e i Vangeli ne parlano in modi diversi : Marco fa pronunciare a Gesù le parole: «Dio, Dio, perché mi hai abbandonato?» e muore urlando come un uomo qualunque. Il solo grido è in sé una tragedia. Luca gli fa pronunciare come ultime parole quelle del Salmo XXI di Isaia. Giovanni è il più elusivo, perché per lui Gesù nel momento finale dice: «È tutto compiuto». Con il passare degli anni da un testo all’altro la morte viene resa più aderente a una morta cercata, dandole la veste della visione provvidenziale che la religione voleva mettere in rilievo.

 

Ph. Andrea Pellegrini [CC BY-SA 3.0/Wikimedia Commons]

#FestivalCom: Natalia Aspesi, l’amore ai tempi della rubrica del cuore

Su carta intestata o per mail, uomini e donne, tutti gli amanti, almeno una volta nella vita, hanno scritto alla rubrica “Questioni di cuore” di Natalia Aspesi. La giornalista, complice l’età, ha letto migliaia e migliaia di storie d’amore nella sua vita: dapprima scritte a penna e oggi anche per mail. Ma a questo punto la domanda sorge spontanea: nell’era del “Fidanzamento ufficiale” di facebookiana memoria, non si rischia di travisare e disgregare i sentimenti? “Non proprio – dice la Aspesi – piuttosto porta a trovare fidanzati aleatori, che prima o poi si dissolveranno quasi sempre in silenzio. Il che non è un male: con la rete le relazioni si concludono in modo “soft”, evitando litigate e, in extremis, la violenza contro le donne”.

 

E a proposito di donne la Aspesi dice: “Le donne hanno sempre saputo che gli uomini non servono a nulla se non per il mantenimento”. Purtroppo però col marito che tradisce non se la prendono mai, se la prendono con la “zoccola”: “Attente donne – ammonisce la Aspesi – perchè io credo che il tradimento sia l’unica cosa che mantiene vivo il matrimonio”. Ma chi tradisce di più, l’uomo o la donna? “Le donne sono furbe: non fanno sapere nulla, cucinano una buona polenta e quindi il marito è contento. Per gli uomini..beh, alla mia età ormai non lo so più!”. Una simpatia travolgente unita a lucide considerazioni: “L’uomo è sempre più fragile: ha un attaccamento alla famiglia molto più forte di quello che può avere la donna, cerca l’amore”

 

Un’esperienza lunghissima, accumulata, come dice la Aspesi, “dalla barba di avere letto mille e mille lettere tutte uguali a se stesse. All’inizio mi scrivevano i maniaci, quelli che vedevano la mamma (o la nonna!) sotto la doccia: ma io non rispondevo e così hanno smesso. Da lì è iniziata una lunga sequela di amori perduti, calpestati, ma anche nuovi e travolgenti”. Mille storie, che però sono sempre molto simili a sé stesse perché l’amore è sempre quello fin dall’inizio dei tempi: a cambiare è piuttosto il modo, individuale, di affrontarli.

 

Ph. Chiara Pasqualini via artapartofculture

#FestivalCom Gad Lerner: come il presente diventerà il futuro

L’informazione italiana? Si comporta come il medico pietoso che non dice chiaramente al paziente che malattia ha.

Questa per Gad Lerner è la metafora che rende in modo chiaro il concetto di un’informazione non reale e poco oggettiva. La ‘colpa’ è principalmente degli esperti di marketing, che seguono i numeri e ciò che fa audience, lasciando così sullo sfondo tutte le vicende più scomode degli ultimi tempi accadute nel Mediterraneo e in Europa.

Credo che questi problemi, che riguardano il nostro futuro, dovrebbero essere al centro nella nostra informazione – spiega il giornalista – ma non sono una priorità, purtroppo. C’è un limite culturale: l’età elevata della media di lettori e spettatori preferisce infatti guardare in casa propria e fare polemica su faccende domestiche: ho il timore che questa ‘non comunicazione’ in tempo di guerra possa avere effetti secondari indesiderati”.

Per rendere meglio l’idea, Lerner riprende un fatto avvenuto pochi giorni fa: “In Siria – prosegue – si è da poco scatenata la più grande tempesta di sabbia che si ricordi. Di fronte a questo fenomeno senza precedenti i meteorologi hanno sostenuto che l’assenza di colture nel terreno ne sia stata la causa. D’altra parte non sono mancate osservazioni di altro tipo, quasi messianico, che si tratti cioè di un messaggio religioso e apocalittico, dell’avvento di un mondo nuovo che faccia tabula rasa di quello che abbiamo vissuto”.

Un’apocalisse che sembra avvicinarsi, dunque, se non in Italia almeno in Europa: proprio qui, infatti, sono state compiute le recenti stragi terroristiche. Opera di lupi solitari, figli di seconda o terza generazione allo sbando, che di colpo vivono una nuova conversione: sono giovani pronti a immolarsi mossi da idee medievali e con mezzi puramente occidentali, che tra passato e presente giocano al feroce Saladino, che brandisce le vecchie scimitarre ma che per combattere la guerra vera usa armi moderne.

Prima o poi toccherà anche a noi capire quello che sta accadendo”.

Il governo italiano, i servizi segreti, le forze armate devono così dirimere interrogativi cruciali sulla sorte del nostro popolo ma, soprattutto, sulla vita dei prossimi anni. Quando ancora saremo di fronte a una bufera che, purtroppo, non è di sabbia.

Ph. Giacomo Maestri

#festivalCom: Il bosone di Higgs in parole povere

Marco Delmastro è un fisico delle particelle facente parte del team del CERN di Ginevra che il 4 luglio del 2012 ha scoperto il bosone di Higgs,  uno degli eventi scientifici più seguiti dai media negli ultimi anni.

Come spiegare ai non addetti ai lavori che cos’è?

Un giornalista pigro ha usato la metafora della “particella di Dio” e c’è chi, come Il NewYork Times, ha fatto uno sforzo maggiore per spiegarlo: con dei disegni ha mostrato che c’è un campo innevato, a rappresentare il campo di Higgs, in cui gli esploratori, ovvero le particelle, vagano a velocità diversa, mentre in cielo volano degli uccelli (altre particelle molto veloci). I fiocchi di neve che cadono, sono i bosoni di Higgs.

Metafore che comunque non spiegano completamente il valore della scoperta.

Una famosa metafora è quella della festa dei fisici: i fisici che riempiono la sala rappresentano il campo di higgs, quando a un certo punto arriva un esattore delle tasse che viene ignorato (una particella con cui non interagiscono le altre), mentre quando arriva Peter Higgs, una particella pesante, fa fatica a muoversi perché tutti vogliono incontrarlo.

Quindi cosa è il bosone? È il pettegolezzo che stia per arrivare Higgs, quella cosa che fa aggregare in capannelli i fisici. Questi esempio migliora un po’ la situazione, ma lascia ancora qualche dubbio.

Come spiega Marco Dalmastro questa fondamentale scoperta?

Lui usa la metafora dei mattoncini di lego: tutto quello che ci circonda è costituito da un certo numero di “mattoncini” elementari di materia chiamati quark, che si compongono e legano tra loro grazie all’aiuto di altri mattoncini chiamati gluoni. Partendo da questi componenti fondamentali, si può costruire tutto.

Ci sono voluti più di 100 anni per scoprire tutte queste particelle elementari.

L’equazione lagrangiana del modello standard descrive come mettere insieme tutti gli elementi fondamentali della materia, ma si è potuta completare dopo la scoperta di tutte le componenti stesse.

Il bosone di Higgs è quella particella prodotta da una teoria del 1964, che ha permesso di spiegare oggi come le particelle elementari interagiscano: questo forse è il modo più interessante di raccontarlo.

Nel 1970 le equazioni ci dicevano come interagivano le particelle, oggi invece grazie ad Higgs sappiamo di più sulle loro masse.

«La conoscenza è incompleta e ci richiama continuamente a rientrare nella danza del metodo», dice alla fine Marco.

Vecchie teorie possono ancora diventare un modo nuovo per raccontare la realtà.

 

Ph. Eetwartti [CC BY-SA 4.0/Wikimedia Commons]

#FestivalCom – Giornalismo e Media: opportunità o rischio?

E’ sulla risoluzione della crisi nel mondo del giornalismo che Carola Frediani costruisce il suo intervento nella terza giornata al Festival della Comunicazione a Camogli. “Il giornalismo è ormai in crisi da tempo”, dice, “ma c’è una possibilità di risalita, di riscatto. Le testate sono costrette ad andare dove ci sono gli utenti, non è più possibile il monolitismo dei giornali cartacei” pur rilevando l’importanza per un giornale che si muove sui social network di mantenere la propria identità di non adattarsi sempre e solo alle leggerezze che fanno likes, alle leggerezze che possono attirare visualizzazioni, ma di concentrarsi anche sulla ricerca di giornalismo serio, di cui spesso i giornali non riescono a soddisfarne la ricerca.

La stragrande maggioranza degli utenti su internet accede alle notizie tramite facebook, ma i giornali hanno capito che non basta fermarsi all’“ecosistema facebook”. Bisogna dunque sviluppare altri metodi per avvicinare gli utenti, ad esempio la BBC nel 2014 ha fatto un servizio di notizie in tempo reale sull’emergenza Ebola con whatsapp, con il quale ogni utente che decideva di usufruirne ogni tot ore riceveva degli aggiornamenti direttamente sul proprio telefono.

I giornali devono inoltre costruire, sulla base delle esigenze degli utenti, una comunità, aprendo ad esempio la possibilità di commentare i propri articoli, ma solo su notizie locali e non quelle su scala nazionale perché è sulle notizie locali che si può creare una discussione costruttiva.

Un altro problema evidenziato dalla Frediani è la velocità di diffusioni delle notizie che i media devono saper affrontare e gestire. Molti siti d’informazione riportano, infatti, notizie non verificate ma “copia-incolla” da altri trasformando l’informazione in disinformazione. Ciò è deleterio. Gli altri giornali devono smontare le bufale, dando un titolo accattivante per dare un segno forte contro questo fenomeno.

Il giornalismo serio di un giornale è un giornalismo di indagine e richiede molto tempo. Anche pubblicare il giornalismo serio, presenta le sue difficoltà, bisogna fare in modo che i lettori riescano a seguire tutto l’articolo senza mai perdersi. “Bisogna ripartire dal servizio al e per il lettore”.

 

Ph. Alexmar983 [CC BY-SA 4.0/Wikimedia Commons]

#FestivalCom – Marco Tullio Giordana il suo cinema fatto di fuochi e scintille

Piazza Battistoni gremita di gente per il cinque volte vincitore del David di Donatello, regista, Marco Tullio Giordana intervistato da David Parenzo.

Parliamo degli anni 70 e come viene vissuta la coscienza civile dai suoi film, Parenzo si ricollega a una citazione di Giordana «il cinema non deve spiegare, ma raccontare» portando il discorso sul cinema e il suo poter contribuire a cambiarla, qui Giordana, storce un po’ il naso e spiega che ogni regista è permeato dalle sue ossessioni (le sue sarebbero la musica, gli amici e le vecchie macchine), intriso di esse, cerca di raccontare la persona, senza partire dalla politica e tutte le sue illusioni più o meno credibili.

Parenzo incalza cercando di trovare l’attore chiave per il regista, parlando di Lo Cascio paragonandolo al ruolo di Mastroianni per Felini, indebitamente secondo Giordana, che rovescia la situazione tirando fuori il ruolo femminile («anche se non sono un femministo, con la o»), portando l’attenzione sulla maggiore sensibilità che le sue interpreti porgono alla centralità del “viaggio” più che al “destino” a cui arrivare, identificandosi lui stesso in esse.

Dopo aver raccontato le genesi del La Meglio Gioventù, il regista inizia una riflessione sulle parole recitate da un professore nel film, «l’Italia è un posto bello e inutile, destinato a morire» ma inutile perché? Perché non si sa come usarlo, per cui bisogna andarsene da un paese fuori controllo.

Un paese che è stato sconvolto dal terrorismo, periodo erroneamente additato come rivoluzionario, dato che in fondo si parla sempre di un piccolo gruppo militare, non si può neanche nominare come rivoluzione mancata, non c’era rivoluzione ma solo gente piccola e ben poco straordinaria.

Passiamo alla rottamazione, millantata da Parenzo, ma il regista appassionato del mondo dell’automobile la prende con l’accezione di buttare via dei vecchi catorci ma non il patrimonio storico, che va conservato. La politica non porta rottamazione ma a un lento oblio.

Chiudendo la conferenza sul tema dell’immigrazione, Quando sei nato non puoi più nasconderti, parla di una migrazione sempre attuale, non ebbe successo, semplicemente perché tratta un problema che non vuole essere affrontato dalla gente.

Alla fine, ci saluta Marco Tullio Giordana, insieme al suo cinema fatto di fuochi con scintille che narrano una storia.

 

Ph. Yasu [CC BY-SA 3.0/Wikimedia Commons]

#FestivalCom – (Ab)uso di potere. Furio Colombo e il linguaggio della politica

La prima cosa che viene in mente quando si parla di parole sulla politica deve essere il discorso fatto poco tempo fa dal sindaco di Venezia, Brugnato. Gli era stato ricordato che ricorreva l’anniversario di una rappresaglia tedesca contro gli italiani dove furono uccisi sette cittadini veneziani per la morte di un soldato tedesco, annegato ubriaco nei canali. Brugnato, recatosi sul posto, ha detto, in dialetto veneziano, che non era il caso di rinvangare queste storie di guerra civile, quello che contava era il consumo del turismo a Venezia e poiché quel consumo non era aumentato durante l’estate, il suo unico impegno da sindaco era quello di aumentare questa produttività, il resto non importava.

Quando la politica si presenta così, bisogna ricordare e tenere a mente certe cose, perché dito medio per dito medio, vaffanculo per vaffanculo, continueremo a credere che siano solo episodi e che non sia ormai invece la normalità. E’ in realtà un quadro deprimente che va discusso e denunciato perché non diventi l’abitudine e non si dica ‘si è fatto sempre così’. Casi del genere non solo sono di malaffare, ma di malalingua: come direbbe una mamma, è questione di buone maniereFurio Colombo perentorio condanna e senza problemi dice nomi, fatti e colpe.

Quando un intervento del genere è fatto da un politico, diventa abuso di potere”.

La sua non è certo da interpretare come anti-politica, ma come una grande nostalgia per un mondo che in realtà non esiste, né per quanto riguarda la politica, né i media, né l’opinione pubblica che non s’indigna e non si scandalizza perché certe cose continuano ad accadere.

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Bisogna distinguere tra l’uso e l’abuso di potere”.

Il linguaggio della politica è destabilizzato dalla scarsa credibilità degli appartenenti al mondo della politica, che è screditata dalla mancanza di conseguenze serie per chi lo usa ed è sottostante al linguaggio giornalistico: continua a domandarsi qual è la cosa giusta da dire, non qual è la cosa da dire.

La rete in questo senso ha portato delle novità: il cambiamento dei tempi e la possibilità democratica di dire tutto e subito, ma il tweet del politico è un abuso di potere, perché utilizzando la rete, la sua voce sovrasta quella degli altri, ruba ai cittadini lo spazio che gli spetta di esprimersi mentre lui agisce”.

Ringraziamo il Festival della Comunicazione per l’immagine.

#FestivalCom – Mani pulite, Colombo e Davigo, la trasformazione dell’opinione pubblica

Calorosa accoglienza per Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo, tra scroscianti applausi.

Davigo, attualmente consigliere per la II sezione della Corte di Cassazione, ha iniziato attaccando una parte della stampa, che nel 1992 fece passare un messaggio sbagliato, ovvero che «Rubare per i partiti fosse meno grave che rubare per sé».

Anche Colombo ha continuato il discorso, dicendo di come il lavoro dei giornali coinvolse moltissimo all’epoca la cittadinanza: «è cambiato il livello dell’opinione pubblica» ha proseguito Colombo, raccontando di come all’inizio tutti i cittadini si sentissero più coinvolti, mentre altri divennero via via contrari a causa di certi giornalisti.

Piercamillo Davigo ritiene che l’opinione pubblica è cambiata quando i magistrati hanno stracciato «Il velo dell’ipocrisia», perché così facendo In Italia è «Andata a rotoli la divisione tra onesti e disonesti», facendo scattare il «Meccanismo di difendere le persone vicine a sé», perciò la discussione intorno a Mani Pulite è diventata una bega tra tifosi.

Successivamente Colombo ha sostenuto che gli italiani non sopportano il controllo: «finché noi investigavamo le persone che stavano in alto, ed era impossibile identificarsi per il pubblico con l’indagato» l’opinione pubblica era favorevole, ma quando si scoprì che «Il profitto dell’illecito era diffuso ampiamente», intaccando anche l’uomo medio, iniziarono le contestazioni contro il lavoro dei magistrati.

Davigo  ha però contestato Colombo su due punti perché secondo lui è sbagliato «Equiparare tutti i comportamenti gravi, perché da adito a un razzismo ingiustificato, e dire che gli italiani tendono a non rispettare la legge», perché dove ci sono sanzioni, le persone rispettano le norme.

Per il magistrato della Corte dei Conti il problema è che in Italia siamo un «Paese di sudditi e non di liberi cittadini», perché siamo abituati a non rispettare delle norme ferree per il quieto vivere, e preferiamo invece infrangere leggi per usi e consuetudini, «Aspettandoci il conto qualora fossimo colti sul fatto».

Per contrastare corruzione e illeciti, secondo Davigo, il governo ha fatto più propaganda, che fatti.
Colombo invece ha sostenuto l’importanza dell’educazione, «Perché bisognerebbe insegnare ai giovani ad essere leali»

#FestivalCom – ISIS e migrazione: la parola alla difesa

Non è di facile inizio la partecipata conferenza a Palazzo dei Dogi tenuta dal Ministro della Difesa Roberta Pinotti nell’ambito del Festival della Comunicazione di Camogli. La prima domanda dell’intervistatore Carlo Rognone converte subito sulla minaccia ISIS: «Noi italiani cosa facciamo? Lo Stato Islamico non ha forse affermato di voler arrivare a Roma? La loro propaganda prospetta a una possibile terza guerra mondiale. Alcuni giornali dicono che tirarsi sempre fuori ci metterà in posizioni scomode in futuro. Siamo in grado di difenderci?»

Il Ministro: «Sì, siamo in grado. A volte non ne abbiamo la consapevolezza ma basta guardarci intorno per trovare riconoscenza verso di noi. La nostra posizione è importante, ci siamo impegnati con responsabilità, costanza ed esperienza. Siamo uno dei paesi occidentali che più si impegnano nella lotta. Sul campo abbiamo 250 generali dell’aeronautica e altri impegnati nella formazione dei curdi.»

Si arriva poi al tema caldissimo dell’immigrazione: «Siamo davanti a una situazione eccezionale. L’Italia ha avuto una posizione coerente sin dall’inizio e non dobbiamo cambiare. Sappiamo anche mostrare la faccia della forza quando è necessario. Noi stiamo facendo del contrasto agli scafisti con un’operazione separata da quella europea. Serve il contrasto nei porti di partenza: per farlo dobbiamo avere l’appoggio dell’ONU e l’appoggio del paese in cui andremo ad operare. Stiamo muovendo in questi giorni dei passi importanti proprio in questa direzione. Quando una persona scappa dalla guerra ed è rifugiato ci sono delle leggi internazionali che agiscono a livello europeo, ma non possiamo tenere i migranti economici, poiché non ne hanno diritto. La  gestione da parte di un singolo stato è una follia, dev’essere da parte di tutta l’Europa.»

«Quanto ci costa la difesa? E gli f35 sono un acquisto ben riuscito?», incalza Rognone.

«Io difendo la difesa- chiosa Pinotti – non i singoli contratti. 19 miliardi è la cifra che impegna la difesa. Il 70% viene utilizzato per i salari. Negli ultimi 10 anni abbiamo tagliato il 26%. Tutti i giorni l’aeronautica sorvola il territorio secondo un accordo con la NATO, che si occupa di numerose cose come il trasporto sanitario. Non mi piace ma è necessario. Dovremo fare altri sacrifici, ma sapendo che comunque la difesa ha un costo, l’Italia spende meno della media degli altri paesi della NATO.»

 

In copertina, Roberta Pinotti [ph. Roberta Pinotti CC BY-SA 2.0/Wikimedia Commons]

#FestivalCom – I 140 caratteri di Twitter? Fin troppi per Seneca!

Al giorno d’oggi con 140 caratteri si possono esprimere opinioni, distruggere carriere o elogiare l’impossibile. Secondo Ivano Dionigi, rettore dell’Università di Bologna, nel suo intervento durante il Festival della Comunicazione, questo potere di parola dei media, in tutta la sua brevità, risale a molto tempo fa.

«La retorica è infatti sostanzialmente l’antenata della nostra comunicazione, l’arte del dire» spiega Dionigi «Il modo in cui noi oggi strutturiamo il nostro discorso è ancora quello fissato dall’arte tecnica della retorica».

Dionigi prende come esempio due grandi esponenti dell’arte oratoria del mondo antico, uno di Atene e uno di Roma. Gorgia da Lentini, il principe dei sofisti, con la magica proprietà di persuasione della parola, rendeva migliore il discorso peggiore: esempio celebre l’elogio di Elena, in cui dice che la parola è un “minuto sovrano”.

Per Roma cita Catone il Censore, secondo cui l’oratore era il vir bonus dicendi peritus per eccellenza: oltre all’abilità nell’arte della parola è fondamentale essere anche un vir bonus, una brava persona, che sa come parlare. «Per i grandi oratori romani i contenuti devono venire prima della magia delle parole, bisogna collegare la sapientia con l’eloquentia».

Il latino è comparso nei media, specie grazie all’uso che ne hanno fatto e ne fanno i papi, da Benedetto XVI a papa Francesco. La lingua di Cicerone e Seneca si è dunque fatta catturare dallo stringatissimo Twitter.

Come è possibile che una cosa così antica venga imbrigliata nel social più moderno che esista?

Il latino, lingua di comunicazione per eccellenza, caratterizzato dalla bretivas, si rivela in realtà adatto al moderno linguaggio della comunicazione, ridotta al giorno d’oggi alla battuta e allo slogan. «Il latino è lingua sintetica e non analitica, che grazie al sistema delle declinazioni consente di omettere il verbo, esprimendo il massimo del significato con il minimo del significante».

Basta pensare a poche frasi latine e alla loro rispettiva traduzione per afferrare quanto la brevità del latino sia calzante col moderno cinguettìo: Vindica te tibi, riprendi possesso di te stesso, 13 lettere in latino contro le 26 in italiano; Morituri resurrecturis, coloro che sono destinati a morire hanno dedicato questa lapide a coloro che devono risorgere, 2 parole contro un’intera frase. «I 140 caratteri di Twitter sono esagerati per il latino! Twitter risulta non tanto non inadatto, ma fin troppo capiente, fin troppo prolisso».

#FestivalCom – Edmondo Bruti Liberati: maneggiare con cautela

“Pubblici siano i giudizi e pubbliche le prove del reato il segreto è il più forte scudo della tirannia.”

L’intervento “Comunicazione sulla giustizia e comunicazione della giustizia” tenuto da Edmondo Bruti Liberati inizia con una citazione chiave di Beccaria.

L’attenzione si sposta repentina sulla ripresa pubblica, anima ed essenza della giustizia, e ne fa un quadro dettagliato in relazione all’opinione comune: c’è una grande funzione di controllo sulla figura del giudice e l’obiettivo principale è di ottenere una giustizia bene amministrata che ne rafforzi l’opinione. L’opinione pubblica assume funzione di crescente rilievo nella vita pubblica, un vero e proprio fenomeno a livello globale. La sua presenza fisica, in aula, dapprima lasciata ai cantastorie viene oggi sostituita da social media, radio e tv, giornali e fotografie. 

La libera stampa sulla giustizia vede metaforicamente il giornalista come vedetta sul ponte della nave dello Stato che scruta l’orizzonte in mezzo alla tempesta.

La rivoluzione della televisione ci porta ad affrontare nuovi limiti: anzitutto la presenza del pubblico in relazione alla tutela della privacy, e secondariamente evidenziando la pubblica sicurezza – esempio chiave è l’11 settembre (con ricorrenza odierna). Tramite la tv siamo in aula, si parla per la prima volta di processo parallelo.

Il contatto diretto introduce il tema delle garanzie, un controllo su giudici e avvocati fa emergere un tecnicismo esasperato e inutile che pone le basi di nuove regole: “Cercate di non usare il linguaggio giuridico se non strettamente necessario.”

Dopo un excursus esplicativo dei processi internazionali che hanno avuto più rilievo giuridicamente parlando, oggetto di discussione è il condizionamento dei giudici popolari data la presenza delle riprese televisive; la spettacolarizzazione mette in crisi la logica stessa del processo, i media pretendono di offrire una rappresentazione più fedele, il sogno di un accesso diretto e immediato alla verità, ma la dimensione condizionale diventa insostenibile.

La verità storica non sempre coincide con quella processuale e men che meno con quella mediatica”.
Professionalità, responsabilità, deontologia.

 

In copertina, Edmondo Bruti Liberati [ph. Luca Bruno/AP Photo]

#FestivalCom – Non è vero ma ci credo. Maurizio Bettini e le parole di Cicerone sugli indovini

“Rassegnatevi che parleremo di latino e Cicerone”. Maurizio Bettini inizia il suo intervento al Festival della comunicazione a Camogli con un excursus sulle opere di Cicerone, sulla vastissima quantità di testi scritti dall’autore latino, ‘quasi più di Umberto Eco’, scherza Bettini; si sofferma in particolare sul trattato De divinatione.

“Cicerone si pone una domanda: si può conoscere il futuro? Hanno dunque ragione tutti quelli che conclamano di poter conoscere il futuro, hanno una qualche prova scientifica?” L’autore risponde chiaramente: no. Ma il discorso non finisce qui.

Come tutte le opere di tipo illuminista, il De divinatione è anche molto divertente da leggere: in un passo fa intervenire il fratello Quinto (che nel libro fa suo malgrado la figura del credulone e del sostenitore degli aruspici – la sua colpa era quella di essere un sostenitore di Cesare) che afferma che prima della battaglia di Leuttra i galli avevano cantato. Ma che prodigio è?, si chiede Cicerone, Se avessero cantato i pesci sarebbe un altro discorso. “Nel testo ci sono una gran varietà di esempi di cosiddetti prodigi o miracoli, per i quali Cicerone cerca sempre una spiegazione scientifica. Al di fuori dell’ambito romano, d’altronde, dal Medioevo in poi, quante madonnine hanno pianto..ma, strano, mai sudato!”.

Il diritto romano prevedeva però la divinatio publica, che aveva potere sul governo, tanto da poter interrompere assemblee. “Cicerone riconosce dunque questa sorta di autorità: riconosce che sono pratiche false, ma riconosce che rientrano nella res publica, nello stato”.

Quando nel mondo antico succedeva una grave catastrofe si consultavano gli oracoli, che per definizione erano enigmatici. “Nemmeno Bartezzaghi riuscirebbe a risolverli al primo colpo” scherza Bettini. “Una volta consultato l’oracolo, è il senato che decide cosa fare, il collegamento tra il potere e il divino è sempre attivo; anche per quanto riguarda la guerra, si è sempre interrogato gli auspici, che nella maggior parte dei casi riguardavo gli animali: si osservava il volo degli uccelli, le loro viscere, o più semplicemente se le galline avessero già beccato o no. Se l’esito era positivo si riceveva l’augurium, che non casualmente ha la stessa radice della parola auctoritas”. Il segno divinatorio antico è dunque un modo per veicolare dei contrasti e cercare di risolverli, a prescindere dalla loro veridicità o meno, dice Cicerone e conclude Bettini.

 

#FestivalCom – Dalle pitture nelle caverne a Topolino! Come cambia l’immagine del racconto

“Come è arrivato il fumetto ad avere una dignità pari a quella del romanzo?” questa è la domanda che apre l’incontro con Daniele Barbieri al Festival della Comunicazione a Camogli.

Dopo aver citato Zerocalcare come il caso  più recente dell’ascesa del fumetto nel mondo dell’editoria  si arriva alla considerazione che qualcosa è cambiato. Il mutamento non è individuabile nella cresciuta qualità, ma nel metodo di fruizione.

Per capire le origini del fenomeno bisogna risalire al tempo dei dipinti nelle caverne di Altamira, nei Pirenei. Queste grotte infatti non fungevano da abitazioni, ma da luoghi di riunione in cui la popolazione si trovava per ascoltare delle storie, in cui le immagini dipinte erano gli attori. la rappresentazione visiva nasce come supporto della parola. Ne è un esempio la scrittura geroglifica egiziana.

La tradizione dell’immagine usata per raccontare raggiunge la fine del 200 ed è evidentissima negli affreschi della cappella degli Scrovegni a Padova. Giotto li ha pensati perché ci fosse qualcuno che narrasse le storie che le pitture rappresentavano. Non è infatti un caso che vengano lette da sinistra verso destra, la direzione logica della scrittura.

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Solo nel Rinascimento l’immagine inizia ad acquistare una sua autonomia emancipandosi progressivamente dalla narrazione. La pittura di genere del 500 ebbe infatti come massima espressione la rappresentazione creata per essere guardata senza un racconto di accompagnamento.

Il fumetto vero e proprio nasce alla fine dell’800, ma nei primi decenni del 900 i disegni non vengono ancora accompagnate dai baloon, bensì da rimette esplicative a fine vignetta, poiché l’immagine non è ancora considerata degna di raccontare una storia in totale autonomia. Verso gli anni ’40 invece si afferma l’uso dei baloon e il fumetto acquista una dimensione adulta.

In Italia Linus rappresenta un punto di svolta svolgendo un’opera di recupero e di innovazione. Aumenta anche la qualità della struttura di pagina, il cui massimo esempio è Moebius: “una storia non deve per forza avere una forma definita… può avere la forma di una nuvola a forma di cammello”.

Negli anni ’60 del 900 in Francia nacque il mensile Hara-kiri che rinacque in seguito come il giornale satirico Charlie Hebdo.

Giungendo agli anni 70 i fumetti vengono visti in Italia  come mezzo abbastanza vergine per poter rappresentare i fermenti politici di quel momento. Nel 76 negli States e Will Eisner torna a scrivere fumetti e crea il formato graphic novel, che esisteva già in Italia come albo.

 

#FestivalCom – Piero Angela, la creatività e l’emotività degli oggetti

L’abbiamo sempre visto in televisione, cicerone inesorabile di scienza, storia e conoscenza. Torinese doc, otto lauree honoris causa. Alla seconda edizione del Festival della Comunicazione ci parla del linguaggio degli oggetti. È Piero Angela, giornalista passato alla divulgazione scientifica, creatore dello storico Quark e del ventennale Superquark.

«Mi siederò, al contrario degli altri relatori, dato l’avanzato stato di decomposizione» scherza sulla sua età «Ma negli ultimi anni sto rivivendo una nuova giovinezza, grazie ad un nuovo lavoro».

Serafico, centra subito il punto del discorso: visitando un sito archeologico, dice, i non esperti non riusciranno ma a ‘sentire’ tutto ciò che il museo può trasmettere, le spiegazioni sono spesso complesse e noiose: non lasciano parlare gli oggetti. I musei sono nati come luoghi di conservazione degli oggetti, sia chiaro, serve che siano ben curati, restaurati, ma sono luoghi da esperti, c’è bisogno che ci sia qualcuno che li faccia parlare, una via di mezzo tra il curatore e l’architetto. La figura è quella del divulgatore, mestiere che in realtà si può fare in qualsiasi modo, in tv, coi libri, ma anche con gli oggetti.

«La cosa è cominciata con una telefonata fatta da un assessore di Roma: “Al palazzo Valentini, in pieno Foro” mi ha detto “durante gli scavi sono stati trovati dei resti di domus romane. E’ stato fatto un allestimento, con visite guidate, ma sono un po’ tecniche lei non potrebbe intervenire e fare qualcosa?».

Insieme a Paco Lanciano hanno deciso allora di integrare digitalmente, con delle proiezioni, le parti mancanti di muro e di mosaici, per un totale di un percorso didattico di un’ora e mezza. Nelle terme hanno ricreato l’acqua del Frigidarium, o il fuoco che riscaldava le vasche calde. “Ci si può muovere in questo ambiente vivendo a pieno la realtà di questa famiglia, sentendo i rumori, vedendo rinascere i mosaici, con la mia voce che li guida nelle stanze della casa”. Ecco che ritorna il cicerone.

«Da un posto noioso è diventato un luogo pieno di emozioni» continua «Persino nella classifica di TripAdvisor sui luoghi migliori da visitare a Roma siamo risultati al primo posto!» Spesso, però questi interventi sono in qualche modo ostacolati dalla burocrazia, nemica delle persone, ma anche dell’arte.

«Bisogna valorizzare i propri beni culturali» conclude Piero Angela «ma aggiungendovi un poco di buona volontà e di creatività. Non bisogna solo spiegare bene le cose, bisogna spiegarle in modo interessante, il linguaggio non deve escludere dalla conoscenza. In fondo, siamo tutti ignoranti…»

#Festivalcom – Maria Tilde Bettetini “Mento sapendo di mentire”

“All’esattore di Roma, comunico di non essere in grado di pagare le imposte
Giuseppe Garibaldi

Così inizia il discorso della professoressa Maria Tilde Bettetini che ci regala questa frase, ma ci impone subito di metterla da parte e inizia il suo excursus sul linguaggio della bugia che – dice – di per sé non esiste. In fondo, è semplicemente il linguaggio, poiché tutto ciò che serve a comunicare serve anche a mentire.
Si utilizza un codice della comunicazione coerente; un italiano gesticolante non farà alcun effetto ad un impassibile australiano.

Fondamentalmente le persone tendono a fidarsi, per poter sopravvivere, e tendono anche a dire la verità, perché la verità è quel costrutto semplice da esplicitare. Non richiede sovracomposizioni mentali che debbano elaborare una nuova, falsa, idea.
Ovviamente possono esistere persone che abbracciano totalmente la menzogna o la verità. Si abbraccia, così, da un lato l’arte nella finzione leopardiana (e quando l’arte viene a mancare si abbracciano invece le sindromi di Pinocchio e del pirata Giorgione), dall’altro lato si passa a dover trasformare la vita quotidiana in una vita tribunalizia.

Torniamo quindi a Garibaldi, come possiamo sapere se mentiva o meno? In fondo chi si azzarderà ad andare a riscuotere da Garibaldi? Chi lo fermerà? Non possiamo saperlo, semplicemente.
Nella storia dell’umanità si trovano idee senza sfumature, secondo Kant, non esiste che si menta (No! No! No!), neanche per salvare una vita, perpetrando l’idea medioevale del peccato.

Avviandosi verso la conclusione partendo dal più grande menzognero della classicità (Ulisse), passando per la necessità che Platone comunicava di lasciare il popolo nella sua ignoranza, si arriva anche al “peccato” di Clinton, sempre negato da lui, che ha portato il popolo americano, voglioso di verità, ad allontanarlo (anche se con Hilary la famiglia Clinton sta rientrando dalla finestra. Ingenui americani!).

A questo punto, per concludere il discorso, tira fuori l’ultima forma di menzogna, il mentire senza mentire, ovvero attraverso, allusioni, mezze parole e sguardi di complicità. “Mento sapendo di mentire”

Menzogna tipica dello shakespeariano Iago, che messo davanti alla tragedia che lo circonda risponde alla domanda:

“Iago ma cosa hai fatto?” 
“Io? niente.”

#FesticalCom – Gianfranco MARRONE “ La stupidità consiste nel dover concludere”

Camogli.
Si apre con l’intervento di Gianfranco Marrone la seconda giornata del Festival della Comunicazione di Camogli: “Linguaggio della stupidità, stupidità del linguaggio”. Un exploit incisivo e curioso che attira la completa attenzione dei presenti: «Farò in modo che il punto interrogativo alle mie spalle sia più importante dell’esclamativo. Eviterò conclusioni e risposte e accentuerò l’importanza delle domande».
Esiste un nesso molto stretto tra linguaggio e stupidità, nessuno degli elementi potrebbe sussistere senza l’altro. L’intervento ripreso nel libro Stupidità suscitò due reazioni a caldo: di chi lo interpretò come testo per demonizzare la figura dello stupido e di chi, leggendo il libro si è sentì preso in causa in prima persona.
“Ma quanto sono stupido” autocompiacimento o autocritica?
Lo stupido è valutato positivamente. Stupidità è cool!

Si passa ad una fotografia contemporanea e folkloristica: deleghiamo alle macchine le cose che ci annoiano per investire il tempo libero in attività più divertenti. La tecnologia oggi si sviluppa rosicchiando alla dimensione umana una serie di spazi e azioni, dando vita al grande mito dello SMART, programmata per funzionare perfettamente, educa, compone, istruisce. Ma il punto centrale della questione mette in luce 3 problemi principali:
La tipologia, le diverse dimensioni
Il cretino a metà strada tra l’alienato e il clown (dimensione fisica); l’imbecille – ripreso dal Pendolo di Foucault di Eco – colui che sbaglia le regole della conversazione (dimensione sociale); lo stupido, definito come colui che fa errori di ragionamento (dimensione irrazionale, intellettuale); infine il matto, uno che delira, che procede per cortocircuiti (dimensione artistica). Sono tipi ideali, che nella realtà si confondono.
La storia
E i suoi mutamenti antropologici: “lo scemo del villaggio si scontra col fatto che il villaggio è diventato globale.”
La comunicazione
Che mette a fuoco la differenza teorizzata da Musil nel ’37, tra lo stupido solare – come l’olio buono di Paese per Sciascia – una stupidità onesta, schietta, riconoscibile, e lo stupido intelligente, il fallimento dell’intelligenza che si nasconde tra noi.

Ci avviamo verso la fine parlando di traduzione, di mancanza di consapevolezza dello stupido e chiedendoci..

In un mondo di stupidi forse nessuno lo è più (?)

#Festivalcom Da Gregorio VII a papa Francesco: Alessandro Barbero e le parole dei papi nella storia

Papa Francesco nella sua lingua usa spesso, e in modo molto preciso, un’espressione curiosa tradotta banalmente come ‘fare casino‘. Nel 2013 in Brasile per la Giornata Mondiale della Gioventù parlando ai giovani disse: “Mi aspetto che voi facciate casino. Casino nelle diocesi, la chiesa deve uscire in strada. Combattiamo il clericalismo: le parrocchie sono fatte per uscire, per stare tra la gente. Mi perdonino i vescovi se qualcuno farà casino contro di loro, ma questo è il mio consiglio”.

Alessandro Barbero, durante il suo intervento alla seconda edizione del Festival della Comunicazione, sceglie di citare questa particolare espressione di papa Francesco per illustrare come è cambiato il linguaggio del papato nei secoli.

Le parole dei papi sono sempre state espressione di come si esprime la Chiesa nel mondo. Attraverso le loro parole si osserva l’evoluzione del rapporto della Chiesa con il mondo: nel medioevo essi erano sicuri che Dio avesse dato loro il potere, sia spirituale che politico.

Questa idea di autorità si sviluppa dopo l’anno Mille, con la forte esigenza di dimostrarlo: va da sé che il potere politico non ne era felice.

Gregorio VII, scomunicando Enrico IV, spiega che è ovvio che l’imperatore debba obbedire al papa poiché l’impero è stato inventato dai laici e dai pagani, dai romani, e quindi una cosa inventata da pagani deve essere subordinata a ciò che è stato donato al mondo da Dio, cioè la Chiesa.

Dal Medioevo in poi però, sarà sempre più difficile riuscire a imporre il pensiero che l’imperatore debba essere subordinato a Dio.

Dal 700 il linguaggio però cambia, perché nonostante la Chiesa rimanga convinta delle credenze passate, è il mondo intorno ad essa a cambiare, con movimenti come l’illuminismo, la libertà di stampa, la rivoluzione francese. Il tono da iroso diventa quasi lagnoso e prolisso.

In epoca moderna, il potere politico del papa è ridotto a livello sia militare che carismatico.

A questo punto il linguaggio del papa non è più adirato né implorante, ma deve spronare e far riflettere. Giovanni XXIII, con la sua enciclica “Pacem in terris”, parla di diritti, di esseri umani con diritti e doveri che scaturiscono dalla sua stessa natura: è la prima volta che un papa parla di ‘persona’, una persona che ha il diritto di crearsi un avvenire per sé e per la propria famiglia.

#FestivalCom – Tullio De MAURO: “mica si parla come un libro stampato”

Camogli.

Si apre con l’intervento di Tullio De Mauro la seconda edizione del Festival della Comunicazione di Camogli: “Il linguaggio degli italiani dall’Unità d’Italia ad oggi”  il cui breve prologo inizia dalla storia di Costanza Arconati, donna di spicco nella lotta politica italiana nell’800 europeo, preziosa testimonianza delle diverse realtà italiane del tempo. Grazie ad uno slancio patriottico del ’59 viene vietato l’uso del francese come lingua ufficiale del parlamento e si passa all’italiano, una decisione fondamentale per l’immagine di stato nazionale di fronte alle potenze europee.

Siamo al punto di partenza della storia, una presentazione superlativa del quadro linguistico italiano: Fuori dal territorio toscano la lingua era ancora sconosciuta ai più, abbiamo di fronte un Paese rimasto linguisticamente e non solo immobile, a condizioni medievali: ricchissimo di parlate locali, ma senza una lingua nazionale. Da fine ‘500 si insidia l’italiano, per Baretti è una linguaccia, per Manzoni è l’eterno sospiro mio.

De Mauro prosegue con un paragone Giappone – Italia: a pari livello di analfabetismo, la classe dirigente e la popolazione giapponese scommettono sull’istruzione come fattore di crescita e sviluppo economico, mentre lo Stato italiano punta sulle grandi infrastrutture e “un giorno ci si istruirà”. La prima scossa arriva ad inizio 900.

L’intervento si chiude con una rappresentazione quasi allegorica del presente: «L’aggettivo epocale viene usato a larghe maniche, quindi esito, ma mi corre obbligo affermare che la rivoluzione linguistica italiana è stata epocale, millenaria se preferite. Mai ci fu un grado così alto di convergenza di una lingua».
La spesa in istruzione è un investimento necessario per la crescita del Paese: «creare un sistema di biblioteche e mediateche che favoriscano l’accesso alla cultura, potrebbe essere un incentivo iniziale». Per il buon uso della lingua nazionale sarebbe meglio puntare sul cambiamento ad un livello sempre può alto.

Una lezione magistrale, non si poteva iniziare in modo migliore.

Festival della Comunicazione Camogli, al via la seconda edizione

Oggi, lunedì 20 aprile 2015, è stata presentata la seconda edizione Festival della Comunicazione, a Camogli dal 10 al 13 Settembre. Il festival, dopo il grande successo dell’edizione scorsa, che ha visto 20.000 presenze di pubblico, si ripropone prolungando la durata, che sarà di quattro giornate. Danco Singer, uno degli organizzatori, ha spiegato che il festival avrà come tema il linguaggio in tutte le sue declinazioni, si aprirà giovedì 10 settembre con un incontro tenuto da Tullio de Mauro, noto docente e linguista, e si concluderà con Umberto Eco, da sempre in prima fila nell’organizzazione del festival. Numerosi saranno gli incontri, 90 in quattro giorni. Tra un mese sul sito (http://www.festivalcomunicazione.it) sarà presente il programma.

Accanto ai grandi nomi di Piero Angela, Corrado Augias, Furio Colombo, saranno presenti anche blogger e youtuber, figure nuove e sempre più diffuse nell’ambito della comunicazione e del linguaggio alle quali gli organizzatori hanno deciso di dare voce.  Il festival sarà costituito da tavole rotonde, laboratori, spettacoli, ma anche mostre e un’installazione ambientale trasmetterà gli eventi in differita e in streaming proprio per rispondere al crescente interesse che esso genera.

Un progetto nuovo, dunque, nei contenuti ma non meno nella sua organizzazione che vede una collaborazione stretta con gli sponsor. Importantissimo il ruolo di Rai che seguirà l’evento come media partner garantendo la diretta.

Insomma, tutti pronti a partire per Camogli a settembre, il progetto sembra che avrà una eco notevole. Non preoccupatevi troppo: il Festival si farà trovare su tutte le piattaforme.

 

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