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After the Referendum! Let’s fight all inequality

Cammino lungo il fiume Liffey e tutt’attorno si scorgono ancora nitidi i segni della vittoria. Alte e fiere sventolano le bandiere arcobaleno, i pub e i commercianti ancora tengono appesi i drappi e i manifesti del “Sì”. Temple Bar ancora risplende di colori festosi e South George Street, ogni sera, rivive e ricorda le gloriose giornate del Referendum. Il castello di Dublino, in quel giorno giovane e colorato come mai, si è trasformato nel teatro gioioso dei festeggiamenti che ancora trasuda di amore frocio. I verdi parchi minuziosamente curati ricordano le orde di giovani e giovanissimi che in quel giorno hanno celebrato e si sono ubriacati in nome della vittoria dell’amore. Amore libero, amore che non segue le regole bigotte di una società che per decenni lo ha disconosciuto, amore che si lascia trasportare dalla forza del cambiamento. Amore che ha il coraggio di seguire i propri desideri e le proprie passioni, senza lasciarsi imbrigliare e controllare. Amore che finalmente ha la possibilità di scegliere come vivere ed essere riconosciuto come tale.
E’ passato più di un mese da quello stupendo 22 Maggio, ma i segni della vittoria ancora saltano all’occhio e appartengono alla memoria collettiva di Dublino.Foto 2

Con il 62% dei “Sì” l’Irlanda è il ventunesimo paese al mondo, il primo per via referendaria, ad approvare i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Circa 3,2 milioni di irlandesi sono stati chiamati alle urne per esprimersi sulla modifica dell’art 42 della Costituzione che autorizza “il matrimonio tra due persone, senza distinzione di sesso”. In un Paese in cui fino al 1993 l’omosessualità era considerata reato, conservatore e con una forte tradizione cattolica, questo risultato rappresenta una vera e propria “rivoluzione culturale”. Il massiccio voto favorevole rappresenta, infatti, una grande vittoria per il principio di uguaglianza e mostra, senza dubbio, come l’Irlanda sia un paese libero, progressista e aperto a tutti.
Questa è una vittoria,
in primis, per la comunità LGBT che è stata il cuore della campagna e che ora ha il rispetto e il supporto della maggior parte dei suoi concittadini. E’ una vittoria per i più giovani che hanno portato avanti la campagna del SI porta a porta e hanno dato un apporto e una spinta innovatrice a questa vittoria. E’ una vittoria per la working class, da sempre considerata bigotta e perbenista, in quanto i picchi più alti del SI si sono ottenuti nelle zone popolari di Balleyfermot, Cherry Orchard e Fingal. E´una vittoria per tutti quelli che si battono per le ingiustizie e credono in un mondo in cui le differenze sono un forte potenziale e non qualcosa da proibire e nascondere.

Members of the Yes Equality campaign begin canvassing in the center of Dublin, Ireland, Thursday May 21, 2015. People from across the Republic of Ireland will vote Friday in a referendum on the legalization of gay marriage, a vote that pits the power of the Catholic Church against the secular-minded Irish government of Enda Kenny. (AP Photo/Peter Morrison)

Già dal 2010, le coppie omosessuali potevano contrarre le unioni civili, ma con la vittoria del referendum, si introducono uguali diritti e protezione per le coppie omosessuali ed eterosessuali. Si tratta della fine di una discriminazione secolare che riconosceva diritti diversi per gli sposi omosessuali e che li categorizzava come coppie di secondo livello. Nel compatto “fronte del SI” si scorgono, in prima linea, le associazioni LGBT, poi il governo e i leader dei maggiori partiti politici, le grosse corporation, le celebrità dello spettacolo e dello sport, tutti uniti nel nome dell’uguaglianza e dell’amore. Sull’altra sponda, la Chiesa Cattolica, metodista e presbiterana che millantava la fine della famiglia e invitava a riflettere prima del voto, finendo per essere travolta dai suoi stessi discorsi retrogradi ed escludenti. L’esito del voto ha inflitto un duro colpo alla vecchia guardia cattolica presente nel paese, la quale ha perseguito una disdicevole e omofoba campagna a favore del NO. Risulta chiaro come in Irlanda gran parte della popolazione voglia un nuovo modello di società, mostrando la forza e la determinazione per costruirla.
Nonostante il grande salto in avanti, altre due importanti questioni restano irrisolte nel panorama legislativo e politico irlandese dell’
after referendum. Il diritto delle donne di scegliere sul loro corpo attraverso un libero, sicuro e legale diritto all’aborto e la fine della forte discriminazione verso le persone trans nei vari ambiti della società e del lavoro.Foto 4

Alla luce dell’esito del Referendum, l’arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin, in un’intervista alla televisione nazionale Rtè, dichiarava che “la Chiesa in Irlanda deve fare i conti con la realtà, è una rivoluzione sociale e la chiesa non potrà semplicemente far finta di nulla. Ci dobbiamo fermare, guardare ai fatti e metterci in ascolto dei giovani”. L’arcivescovo, ammette la sconfitta e la pesante sberla che la Chiesa irlandese riceve, in un processo di secolarizzazione sempre più evidente. Le giovani generazioni, a differenza dei genitori cresciuti in un contesto fortemente cattolico e proibizionista, la pensano in maniera differente e hanno la forza di mobilitarsi per ciò che credono. Questo risultato rende ancora più grave la posizione dell’ultimo stato dell’Europa occidentale, l’Italia, che ancora non ha alcuna tutela per le coppie gay. Gravi sono anche le dichiarazioni del cardinal Pietro Parolin, segretario di Stato Vaticano, che si è detto profondamente rattristato per i risultati del referendum dicendo “La Chiesa deve fare i conti con la realtà, ma nel senso che deve rafforzare l’impegno nell’evangelizzazione. Penso che non sia solo una sconfitta dei principi cristiani, ma una sconfitta per l’umanità”. Queste dichiarazioni hanno scatenato giustamente indignazione e rabbia sia nel mondo laico che cattolico, mostrando come la Chiesa italiana, nonostante le dichiarazioni di apertura di Papa Francesco, non intenda far alcun passo indietro su questi temi. La strategia del Papa nella quale apre (a parole) alle differenze della natura umana senza, però, cambiare la dottrina sta ora rivelando i suoi limiti e le sue contraddizioni. La bomba del referendum, infatti, manda in frantumi nuovamente la propaganda ecclesiastica, secondo cui le spinte al riconoscimento dei diritti omosessuali arriverebbero esclusivamente da agenzie internazionali come l’Onu, l’Unione Europea e i paesi Nord Europei, che starebbero mettendo in atto un’indottrinamento culturale. Tutto questo per minare l’idea cristiana di famiglia unita, sacra ed eterosessuale. Pura retorica conservatrice fortemente smentita dal voto popolare in un paese con lunga tradizione cattolica che mostra come il tema dell’omosessualità sia un tema di scontro e pietra d’inciampo per una Chiesa che sempre più si allontana dai suoi discepoli. In tutto il mondo, il tema dei diritti civili sta portando, con varie sfumature, a modificare le costituzioni, mostrando la tendenza a riconoscere come la sessualità umana sia varia e non coercibile o correggibile. Essa è, invece, parte integrante dell’identità della persona e parte fondamentale nel processo di crescita di ognuno.foto 5

Passata l’euforia delle celebrazioni, è importante fermarsi e riflettere su come si è ottenuta questa vittoria. Riprendendo un articolo uscito qualche settimana fa sul The Guardian, bisogna mettere le mani avanti sul forte precedente che questo referendum crea in termini di agire politico. Per quanto sia stupendo che un popolo si esprima a favore di una minoranza e le garantisca diritti prima negati, ciò rivela anche l’altro lato della medaglia. Un tema così importante come i matrimoni gay, un diritto civile imprescindibile, viene lasciato alla mercé di un referendum e non deciso dai parlamenti o dai tribunali come spetterebbe. “I diritti delle minoranze non possono e non devono mai essere decisi dalla maggioranza”, redarguisce l’acuto colunnista Saeed Kamali Dehghan. I diritti delle minoranze sono riconosciuti tali, proprio per proteggere queste ultime da eventuali abusi della maggioranza. Cosa succederebbe se si incoraggiasse il referendum in paesi in cui l’opinione pubblica non è illuminata o tollerante come in Irlanda? Cosa succederebbe se si proponesse un referendum su questi temi in paesi dell’Africa o del Medio Oriente? O, perché no, in Italia? Questo voto ci mostra come la pensano gli irlandesi e non deve diventare la pratica politica che legittimi o meno il naturale diritto del matrimonio gay. Il diritto di sposarsi è riconosciuto come diritto fondamentale dalla Carta Europea dei diritti fondamentali e dev’essere garantito in quanto tale e non essere sottoposto al voto della pericolosa maggioranza.

Fotografia di copertina via Reuters

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Livio Amigoni

Vissuto a Bergamo fino all’età di diciannove anni, mi trasferisco a Padova per studiare Psicologia senza troppe pretese e idee chiare sul futuro. Ispirato da un viaggio in Etiopia e vivendo le travolgenti mobilitazioni universitarie contro la riforma Gelmini mi iscrivo l’anno dopo a Scienze Politiche. Iniziano qui anni di attività politica dentro e fuori l’Università, prima con il collettivo Reality Shock e poi con il nascente Bios lab. Citando Foucault posso dire che l’obiettivo che mi ha guidato in questi anni non è stato quello di “scoprire cosa siamo, ma piuttosto di rifiutare quello che siamo. Dobbiamo immaginare e costruire ciò che potremmo diventare”. Sempre ispirato dallo stesso, mi sono laureato nell’estate del 2014 con una tesi sulla Parresia e il coraggio della verità riattualizzando i classici Greci. Amo viaggiare e stupirmi, da un anno sono vagabondo fuori dall’Italia e mi piacerebbe riportare qualcosa a casa tramite la nave di Pequod.

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