La folle giornata di Figaro
«Qui non si parla che del Figaro, non si suona, non si strombetta, non si canta, non si fischia che il Figaro, non si va a sentire altra opera che il Figaro. Eternamente Figaro!».
Queste le parole del ventinovenne Wolfgang Amadeus Mozart dopo il grandissimo successo della sua opera al Teatro Nazionale di Praga, dal 17 gennaio 1787. Le nozze di Figaro, ossia la folle giornata, finita di comporre il 29 aprile, fu messa in scena al Burgtheater di Vienna il 1 maggio 1786.
Parliamo di un’opera buffa in quattro atti (K 492) ispirata alla commedia La folle journèe ou le mariage de Figaro, dell’autore francese Pierre Caron de Beaumarchais (che compose la trilogia di Figaro: Il barbiere di Siviglia, Le nozze di Figaro e La madre colpevole) sulla quale si basa il libretto di Lorenzo Da Ponte.
L’intreccio di quest’opera in quattro atti ruota intorno all’amore di Figaro e Susanna e alla loro ferma volontà di sposarsi, a dispetto di tutte le complicazioni e gli sconvolgimenti causati dai piani malefici del Conte d’Almaviva: innamorato di Susanna, la serva della Contessa, cerca di imporre sulla poverina lo ius primae noctis (“diritto della prima notte” – dai tempi dei signori feudali, si tratta del diritto di quest’ultimo di trascorrere la prima notte di nozze con la sposa di un suo servo, in occasione del matrimonio). Un intreccio folle e incalzante della durata di un giorno in cui uomini e donne di barcamenano tra passioni travolgenti, momenti drammatici e comici. In linea con le altre opere dapontiane è l’ambientazione reale ce appartiene al vissuto degli spettatori contemporanei, nel caso specifico parliamo del castello del conte Almaviva vicino a Siviglia.
Un’opera incentrata sull’irrequietezza della ricerca della persona giusta da amare, con forti ripiegamenti sulla nostalgia, sull’alternanza animalesca tra l’amore e la morte. Un amore che Mozart non intende come un capriccio ma come un bisogno che l’uomo ha nel suo cercare di continuo la “donna giusta” .
Per il giovane compositore quest’opera rappresenta un pretesto per prendersi gioco delle classi sociali dell’epoca (che in breve tempo sarebbero state investite dal turbinio della Rivoluzione francese). In ogni caso è presente la “rivincita” dei servi che si dimostrano più intelligenti e signori dei loro signor padroni.
In questo periodo Mozart, per conquistarsi la stima generale, si stava interessando soprattutto all’opera buffa italiana: il genere operistico con il quale i compositori dell’epoca potevano allargare il proprio pubblico e con un librettista italiano come Da Ponte andrò dritto al segno. Non si limitò a presentare una traduzione dell’opera di Beaumarchais ma ne trasse invece un’imitazione, un estratto; l’obbiettivo era quello “di offrire un quasi nuovo genere di spettacolo ad un pubblico di gusto sì raffinato e di sì giudizioso intendimento”.
Creando un’opera comica di tendenza Mozart e Da Ponte ampliano e aumentano i momenti di pezzi d’insieme e dei concertati d’azione (sono i duetti, terzetti, quartetti, quintetti, sestetti e finali d’atto), questo perché si riusciva a far agire i personaggi a seconda di come si presenta sul momento la situazione drammatica. È in questi momenti che il musicista può isolare le reazioni dei personaggi nelle situazioni più diverse e svilupparne l’individualità psicologica.