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I librai scomparsi di Hong Kong gettano nuove ombre sul futuro della sua democrazia

Lee Bo, hongkongese dalla doppia cittadinanza cinese e britannica, è scomparso il 30 dicembre scorso in seguito a una visita al magazzino della Mighty Current, casa editrice di Hong Kong, di cui è comproprietario. La sua è solo l’ultima di una serie di sparizioni di personaggi legati alla casa editrice avvenute nel corso degli ultimi mesi e non fa che accrescere i sospetti sulla vicenda. La versione più accreditata, seppur negata dal governo di Pechino, è che l’imprenditore sia stato sequestrato dalla polizia cinese a causa delle pubblicazioni “scomode” di Mighty Current, che in passato ha più volte commissionato libri scandalistici su figure politiche di rilievo in Cina. In particolare, a breve sarebbe dovuto uscire un libro sul presidente cinese Xi Jinping, dal titolo Xi Jinping e le sue sei donne, che avrebbe svelato dettagli scabrosi della sua vita privata.

REUTERS/Tyrone Siu
Fonte Reuters

Sospetti di ripercussioni del governo cinese erano già sorti in seguito alla sparizione di altri quattro uomini nei mesi scorsi. Tra di loro Gui Minhai, il proprietario della Mighty Current, è scomparso in Thailandia, mentre altri tre membri dello staff, Lam Wing-kei, Lui Bo e Cheung Jiping, sono spariti durante una visita nella Cina continentale. Gui è in seguito apparso alla televisione cinese, dichiarando in lacrime di essersi volontariamente consegnato alle autorità per un incidente con omissione di soccorso avvenuto a Ningbo, nel 2003. Similmente, pochi giorni dopo la sua scomparsa, Lee Bo ha fatto recapitare una lettera alla moglie in cui sosteneva di stare bene e di essersi recato a Shenzhen di sua iniziativa per «motivi personali» e per «collaborare ad un’indagine giudiziaria». In pochi hanno creduto a questa versione dei fatti e nei primi giorni di gennaio i cittadini di Hong Kong sono scesi in strada quotidianamente a manifestare e a chiedere spiegazioni al governo locale di Leung Chun-ying, notoriamente ritenuto uno stretto alleato di Pechino.

Fonte: Bloomberg
Fonte Bloomberg

Il motivo per cui la scomparsa di Lee Bo ha scosso a tal punto l’opinione pubblica dell’ex-colonia britannica è che, a differenza delle precedenti, è avvenuta proprio ad Hong Kong. Fino ad allora, infatti, i cittadini dell’isola si ritenevano al sicuro dagli “spaventosi colpi alla porta nel cuore della notte”, espressione ben nota ai cinesi, che descrive l’arrivo della polizia nelle case dei dissidenti. In base allo storico accordo sino-britannico del 1984, che ha sancito la cessione di Hong Kong alla Cina nel 1997, la Repubblica Popolare avrebbe dovuto garantire alla città un «elevato livello di autonomia” per i successivi 50 anni. In base a questo principio, che i cinesi chiamano “un Paese, due Sistemi”, Hong Kong possiede una magistratura e un governo autonomi in tutti gli aspetti tranne che nel campo della difesa e della politica estera. Di conseguenza il sequestro di Lee Bo da parte dei servizi di sicurezza cinesi, se confermato, sarebbe una gravissima ingerenza da parte di Pechino, nonché una grave violazione dell’accordo. Per ora il governo Leung ha negato il coinvolgimento della Cina nella sparizione, ma la vicenda non aiuta certo a semplificare la difficile relazione con Hong Kong. Nell’estate 2014 il governo cinese propose una serie di riforme del sistema elettorale dell’ex-colonia britannica che si allontanavano dall’obiettivo del suffragio universale dichiarato nella Basic Law, la costituzione di Hong Kong. Secondo la legge, per i primi dieci anni dal ‘97 il capo del governo avrebbe dovuto essere eletto da un comitato nominato dai principali settori dell’élite della regione, mentre in seguito il voto sarebbe stato esteso all’ intera popolazione, che avrebbe potuto scegliere tra una rosa di candidati nominati da un comitato rappresentativo. Sebbene nel 2007 il governo cinese abbia annunciato che il suffragio universale verrà istituito nel 2017, la proposta di riforma elettorale del 2014 suggerisce che la scelta dei candidati sarà affidata a un comitato elitario, piuttosto simile a quello attuale. Il che implica, dati i rapporti sempre più stretti tra l’establishment di Hong Kong e il governo centrale, che i candidati saranno di fatto pre-approvati da Pechino e non espressione di un libero processo democratico.

Fonte Reuters
Fonte Reuters

Questa proposta ha fatto infuriare i cittadini dell’ex-colonia, in particolare gli studenti, che nell’autunno del 2014 sono scesi in piazza a decine di migliaia contro il governo e a favore della democrazia, occupando per 79 giorni le strade principali del centro di Hong Kong. La protesta, nota in tutto il mondo come “Umbrella movement” in riferimento agli ombrelli usati dai manifestanti per difendersi dagli attacchi della polizia, ha bloccato i punti chiave della città guadagnandosi l’attenzione di tutto il mondo. La risolutezza del governo e il calo del sostegno popolare hanno fatto sì che il movimento si sia concluso in un nulla di fatto, ma i rapporti tra cittadini e autorità continuano ad essere molto tesi: nel corso del 2015 il governo ha rafforzato il controllo su scuole, università e mezzi d’informazione con l’istituzione di consigli di direzione filocinesi.

La scomparsa dei librai di Hong Kong e le proteste che ne sono scaturite si inseriscono in questo contesto di estrema tensione e non hanno fatto che accrescere l’enorme diffidenza dei cittadini nei confronti del governo Leung e di quello di Pechino. Il futuro democratico dell’ex-colonia britannica appare sempre più incerto.

 

Immagine di copertina, fonte Time Magazine

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Lucia Ghezzi

Classe ’89, nata in un paesino di una valle bergamasca, fin da piccola sento il bisogno di attraversare i confini, percependoli allo stesso tempo come limite e sfida. Nel corso di 5 anni di liceo linguistico sviluppo una curiosa ossessione verso i Paesi dal passato/presente comunista, cercando di capire cosa fosse andato storto. Questo e la mia costante spinta verso “l’altro” mi portano prima a studiare cinese all’Università Ca’ Foscari a Venezia e poi direttamente in Cina, a Pechino e Shanghai. Qui passerò in tutto due anni intensi e appassionanti, fatti di lunghi viaggi in treni sovraffollati, chiacchierate con i taxisti, smog proibitivo e impieghi bizzarri. Tornata in patria per lavoro, Pequod è per me l’occasione di continuare a raccontare e a vivere la Cina e trovare nuovi confini da attraversare. Sono attualmente responsabile della sezione di Attualità, ma scrivo anche per Internazionale.

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