Dieci anni di Gilda delle Arti: intervista a Nicola Armanni
Tra due giorni la Gilda delle Arti, compagnia teatrale bergamasca, festeggerà ufficialmente i suoi 10 anni di attività di formazione e spettacolo. Era il 17 Settembre 2006 quando Nicola Armanni, direttore artistico insieme alla regista e compagna Miriam Ghezzi, fondava il primo gruppo, fatto di ragazzi appassionati di musica. Oggi ci sono nuovi progetti – superare i confini della provincia di Bergamo, fondare una scuola – ma lo spirito della Gilda rimane sempre legato a un’idea di teatro popolare, accessibile e praticabile da tutti, soprattutto dai più giovani.
La Gilda delle arti, perché avete scelto questo nome?
“Gilda” è un sinonimo di “corporazione” e, nel medioevo, le corporazioni raggruppavano i professionisti di un settore per creare una rete sinergica che potesse essere rappresentata nella città. Ci piace pensare di essere degli “artigiani” del teatro, che hanno per obiettivo la creazione di una realtà artistica in cui le varie professionalità (musicisti, attori, scenografi) possano riunirsi e creare insieme nuove forme sceniche.
Come nasce un vostro spettacolo?
Quando lo spettacolo è di prosa, solitamente, a occuparsene è mia moglie (la regista): fa un lavoro di ricerca tra gli autori e cerca un copione che si allinei con i gusti del nostro pubblico e con le qualità dei nostri collaboratori; il copione, poi, è arricchito dal contributo dei nostri attori e interpreti. Il lavoro con la musica è altrettanto appassionante: io e mia moglie perdiamo ore a comporre o a riarrangiare i pezzi, finché il risultato non soddisfa entrambi.
Qual è il punto di forza per cui il pubblico vi apprezza?
Credo che il nostro punto di forza sia affrontare il teatro d’autore come una risorsa: interpretiamo i grandi classici con passione, e cerchiamo di trasmetterla anche ai nostri allievi e agli spettatori. Ci piace che il pubblico, ormai un po’ disabituato alla letteratura teatrale, scopra che la drammaturgia di 500 anni fa può appassionare, divertire e fare riflettere anche oggi.
Voi portate il teatro ai ragazzi delle scuole e degli oratori, quali sono le difficoltà che si incontrano?
La difficoltà principale è impostare i ritmi del lavoro: il teatro è divertente, ma richiede applicazione e impegno. Le settimane dopo la consegna del copione sono cruciali, perché vengono assegnate le parti da studiare. Ma trascorse le prime prove, comincia il conto alla rovescia per lo spettacolo finale, e il tempo vola. Gli allestimenti con i giovani sono senza dubbio speciali, perché si può toccare con mano il “miracolo” del teatro: spesso e volentieri si vedono ragazzi da cui non ci si sarebbe aspettato niente che rivelano un’incredibile attitudine al palcoscenico! Oltre a questo, è sempre bellissimo osservare come la collaborazione tra di loro cresca a ogni prova, così come è unico il modo con cui interiorizzano naturalmente, senza tecnicismi, il loro personaggio.
Siete una compagnia “itinerante” che si adatta a diversi luoghi: pensi ci siano parallelismi con la commedia dell’arte?
A essere sinceri, ci sentiamo la versione 2.0 della commedia dell’arte! In primo luogo, come i primi comici dell’arte, gran parte dei nostri attori non ha frequentato accademie, ma ha imparato le arti di scena soprattutto attraverso l’esperienza del palcoscenico. In secondo luogo, anche noi viviamo grazie al pubblico: non abbiamo finanziamenti pubblici, e la sopravvivenza della compagnia dipende dalla qualità del lavoro effettuato. In terzo luogo, come le antiche compagnie, anche noi dobbiamo ingegnarci a sopperire a tutte le necessità dei nostri spettacoli, imparando a fare un po’ di tutto. Le grandi differenze con la commedia dell’arte è che noi lavoriamo con il copione, e non a canovaccio, e che esploriamo diverse tipologie di spettacolo.
Cosa ti ha fatto appassionare al teatro? E cosa continua ad alimentare questa passione?
All’inizio, creare una compagnia teatrale era una sfida: io sono un musicista e, insieme a un gruppo di amici, suonavo cover di canzoni famose. Col tempo, però, ho pensato che fosse meno scontato usare la musica come elemento di uno spettacolo: ne ho parlato con i miei amici e, attraverso il passaparola, abbiamo cominciato a costruire una compagnia di giovanissimi, con attori e musicisti di età compresa tra i 15 e i 20 anni. All’inizio volevo solo suonare ma poi, proprio prima del debutto, l’attore protagonista si è tirato indietro e ho dovuto sostituirlo. Ho scoperto che recitare mi piaceva, e da lì non ho più smesso. Nel 2008 è entrata nella compagnia quella che oggi è mia moglie. Ci siamo conosciuti col teatro e, ancora adesso, lavoriamo per far crescere la compagnia. Per noi è una passione, oltre che qualcosa che ci consente di realizzare qualcosa insieme e condividere la parte migliore del tempo libero.
Il risultato finale corrisponde sempre all’ idea iniziale o ci sono sempre rilevanti cambiamenti in corso d’opera?
La scelta di un nuovo spettacolo da inscenare è un processo molto articolato. Una volta avuta l’idea si fa uno studio di fattibilità che metta in luce i punti di forza, il target a cui si rivolge e gli enti che potrebbero inscenarlo. Una volta passata questa prima fase si studia l’aspetto economico: l’investimento per gli oggetti di scena, il vestiario e la scenografia. Solo in un ultima fase si crea il copione e si organizzano le prove: per ottimizzare costi e energie, le prove teatrali vengono schedulate in un timetable dettagliato in modo da minimizzare i tempi e cercare di arrivare allo spettacolo molto più velocemente. Dall’idea al debutto il tempo che passa va dai 6 ai 9 mesi. Nella nostra esperienza il risultato finale corrisponde sempre all’idea iniziale: questo è garantito dalle analisi preparatorie che danno una garanzia di successo.
Ad una persona che conosce poco il teatro cosa consiglieresti?
È una domanda che ci poniamo ogni volta che creiamo uno spettacolo nuovo. Secondo noi non c’è uno spettacolo da vedere, il pubblico dovrebbe vedere un po’ di tutto per creare una sensibilità e un gusto teatrale proprio. Ovviamente noi siamo di parte, e consigliamo tutta la prosa d’autore e le opere moderne, che riescono a creare quella ricetta ideale di musica, danza, scenografia e recitazione in grado di trasportare in un’altra dimensione.
In un mondo con internet, TV, cinema e molto altro, che senso ha fare teatro?
Secondo noi, fare teatro ha senso proprio perché ci sono cinema, internet e TV! Siamo così abituati a vedere gli attori attraverso uno schermo che ci dimentichiamo che recitare è una cosa alla portata di tutti. Il teatro, come il cinema, è una sala in cui la realtà è tagliata fuori per qualche ora; la differenza è che gli spettacoli teatrali sono sempre diversi, e dipendono molto dalla reazione del pubblico: inevitabilmente, il teatro è qualcosa che l’attore costruisce insieme agli spettatori. Il teatro è una forma d’arte viva che va riscoperta e valorizzata.
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