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Protestare in Romania: una questione di principio

Da dieci giorni le notti rumene sono animate da migliaia di cittadini desiderosi di manifestare il loro dissenso nei confronti del governo neoeletto. Ogni sera, difatti, nelle principali città della Romania, i cittadini si sono riuniti per affermare ancora una volta quanto siano oramai nauseati dalla presenza dilagante della corruzione nel loro paese. La protesta è nata al tramonto di giovedì 31 gennaio, quando il governo approvò un decreto di emergenza volto a indebolire la legge anticorruzione, mettendo così a riparo l’esecutivo da inchieste giudiziarie, come l’abuso di ufficio, il conflitto di interesse e la negligenza sul luogo di lavoro. Ad esempio, il governo fissò a 200,000 RON (44,000 euro) il tetto massimo solo oltre al quale si poteva considerare il crimine un abuso d’ufficio, riducendo contemporaneamente la reclusione dai due ai dieci anni previsti per legge allo sconto di un massimo di sei mesi di detenzione, o in certi casi a una semplice multa. Non uno dei migliori decreti volti a continuare la battaglia della Romania contro la corruzione. Tuttavia, i cittadini rumeni non sono rimasti in silenzio e la stessa sera del 31 gennaio sono scesi spontaneamente per strada.

Anche la Commissione Europea ha espresso nei giorni scorsi la sua preoccupazione: «Stiamo seguendo gli ultimi sviluppi in Romania con grande apprensione», hanno dichiarato il presidente della Commissione Jean-Claude Junker e il vice-presidente Frans Timmermans. I due rappresentati dell’UE hanno sottolineare che la frattura di quest’ultimo decreto con gli ultimi passi della Romania nella lotta alla corruzione «potrebbe rappresentare un forte impatto a qualsiasi valutazione positiva e futura nei confronti del Paese da parte dell’Unione Europea».

Qui una particolare prospettiva sulla manifestazione del 5 febbraio a Bucarest, dove i rumeni hanno deciso di accendere le torce dei loro cellulari con il fine di far luce sul buio degli ultimi provvedimenti governativi.

Dopo una settimana di proteste, Andy, 27enne residente a Bucarest, descrive a Pequod cosa sta avvenendo nelle strade della capitale: «Stiamo protestando con il nuovo provvedimento governativo volto a decriminalizzare certe forme di corruzione. L’ordinanza 13/2017 è stata approvata nella serata di martedì, facendo nascere uno dei più popolari slogan urlati dai dimostranti Di notte, come i ladri!» Andy si sente estremamente orgoglioso e un poco sorpreso nel vedere quante persone (300,000 a Bucarest e 600,000 in tutto il paese nel picco della protesta) siano scese per strada a esprimere la propria rabbia e frustrazione su qualcosa che non si ripercuote nell’immediato sulle loro vite, ma è una mera questione di principio.

Negli ultimi giorni, Piaţa Victoriei (Piazza della Vittoria) continua a essere il punto prediletto nella capitale Bucarest per continuare le proteste, essendo la piazza esattamente di fronte alla sede centrale del governo rumeno. L’atmosfera è unica e straordinaria, impreziosita da numerosi striscioni, bandiere e slogan creativi. «Un detto rumeno – aggiunge Andy – dice che I rumeni sono nati poeti e credo sinceramente che le ultime proteste dimostrino e rafforzino tale peculiarità dell’animo rumeno. Manifestando in Piazza della Vittoria, puoi passare da momenti di rabbia a ridere fino alle lacrime a causa di una brillante poesia oppure un disegno stilizzato su qualche striscione».

Piazza della Vittoria, a Bucarest, domenica 8 febbraio 2017. Credits: Dan Mihai Balanescu.

Ma la protesta non si è fermata entro i confini rumeni. Al giorno d’oggi le manifestazioni possiedono uno straordinario respiro internazionale grazie alla presenza e al diffuso utilizzo della rete Internet. Oggigiorno le persone (almeno quelle appartenenti a una certa parte di mondo) sono costantemente connesse le une alle altre, condividendo la loro quotidianità e tutto ciò a cui si interessano. Non solo frivoli gossip, ma anche argomenti di un certo spessore, come i diritti umani. Esattamente quello che è successo alla Women’s march on Washington il 21 gennaio 2017, che ottenne una risonanza mondiale e divenne trand topic sui principali Social Network. Lo stesso sta accadendo per le manifestazioni rumene: i rumeni immigrati in diversi paesi del mondo si stanno unendo alle proteste scendendo nelle principali piazze delle città in cui risiedono, marciando, scattando fotografie e inviando tutti lo stesso messaggio: mai più corruzione.

Anda, una ragazza rumena di 20 anni trasferitasi a Manchester (UK) per motivi di studio prova a raccontarci la sua storia: «Sebbene io non sia in Romania, ogni sera continuo la protesta in Albert Square con un gruppo di connazionali poiché voglio supportare la mia famiglia e gli amici rimasti nel nostro paese. Stiamo manifestando perché vogliamo che la Romania diventi un posto in cui poter far ritorno». Anda e altri espatriati rumeni protestano portando in piazza numerosi slogan e scattando fotografie per i media rumeni: «Siamo riusciti a far pubblicare qualche articolo con le nostre immagini per inviare un ulteriore messaggio di sostegno». Con la speranza di poter fare la differenza, Anda confessa che nonostante sia la politica rumena a dover cambiare, è necessario che tale cambiamento abbia una forte spinta dal basso e arrivi in primis dai cittadini attraverso il voto: «Credo fortemente che i rumeni debbano votare con maggior consapevolezza!». Un pensiero che per forza di cose scaturisce dalle ultime elezioni politiche.

Parigi. Credits: Iuliana Francisco su Radio Guerrilla.
Golfo del Bengala, India. Credits: Marius Deacu su Radio Guerrilla.
Addis Abeba, Etiopia. Credits: Gabril Cotescu su Radio Guerrilla.
Tenerife. Credits: Elena Cobian su Radio Guerrilla.

Facciamo un poco di chiarezza sugli ultimi avvenimenti politici in Romania. Alla fine del 2015, dopo una serie di proteste scoppiate a seguito dell’incendio al nightclub Colectiv in Bucarest, dove persero la vita ben 64 persone, il governo guidato dal Partito Socialdemocratico dovette rassegnare le dimissioni in quanto indirettamente accusato della corruzione dilagante in città e in tutto il paese, una corruzione totalmente noncurante dei principali sistemi di sicurezza nei locali pubblici. Di conseguenza, le redini della Romania furono affidate a un governo tecnocratico che si guadagnò una certa reputazione nazionale e internazionale per i suoi sforzi contro ogni fenomeno di corruzione. Dopo le elezioni politiche di dicembre 2016, la guida del paese ritornò in mano al Partito Socialdemocratico con un 45% di consenso. Sfortunatamente, tali elezioni raggiunsero solamente il 39% di affluenza alle urne.

In questi giorni, invece, i rumeni chiedono a gran voce le dimissioni del nuovo governo eletto. Liana, una giovane donna che vive a Bucarest, ci spiega le sue ambizioni: «Il Partito Socialdemocratico ha vinto le scorse elezioni ed è giusto che continui con la sua agenda politica, ma ciò che chiedo è che lo faccia con persone diverse, responsabili e preparate. Dovrebbero dunque costituire un nuovo governo, visto che quello attuale ha ampiamente dimostrato in poco tempo di non essere in grado di guidare il paese». Liana, che alle scorse elezioni si era diretta alle urne, spera che la situazione attuale faccia riflettere chi decise di non votare. Anche Andy non riesce a capacitarsi di quanti milioni di giovani non abbiano votato: «Non riesco a capire come questo sia stato possibile a poco più di un anno dalla tragedia del Colectiv. Chi ha votato, invece, fa parte della vecchia generazione e delle aree rurali, dove sono state portate promesse o borse piene di farina, olio e uova. Sì, letteralmente».

Foto di copertina: Piazza della Vittoria a Bucarest. Credits: Andy.

Per leggere l’articolo in inglese: clicca qui.

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Francesca Gabbiadini

Nata in valle bergamasca nell’inverno del 1989, sin da piccola mi piace frugare nei cassetti. Laureata presso la Facoltà di Lettere della Statale di Milano, capisco dopo numerosi tentavi professionali, tra i quali spicca per importanza l’esperienza all’Ufficio Stampa della Longanesi, come la mia curiosità si traduca in scrittura giornalistica, strada che mi consente di comprendere il mondo, sviscerarlo attraverso indagini e ricomporlo tramite articolo all’insegna di un giornalismo pulito, libero e dedito alla verità come ai suoi lettori. Così nasce l’indipendente Pequod, il 21 maggio del 2013, e da allora non ho altra vita sociale. Nella rivista, oltre ad essere fondatrice e direttrice, mi occupo di inchieste, reportage di viaggio e fotoreportage, contribuendo inoltre alla sezione Internazionale. Dopo una tesi in giornalismo sulla Romania di Ceauşescu, continuo a non poter distogliere lo sguardo da questo Paese e dal suo ignorato popolo latino.

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