Case galleggianti sui laghi dell’Asia
Tra i primi messaggi inviatimi da Anna durante il suo viaggio in Cambogia, c’è la fotografia di lei stesa al sole su quella che sembra essere la prua di un’imbarcazione. Ad accompagnare l’immagine, la didascalia: «Arrivate a Siem Reap via fiume!».
Ritrovo l’entusiasmo del sorriso immortalato nella fotografia, ancora impresso sul viso di Anna, quando al suo rientro racconta della gita lungo uno dei corsi d’acqua che portano al lago Tonle Sap, che con i suoi 2700 km², appare come un mare a chi si affaccia sulle numerose foci che lo alimentano. Partite in tre ragazze alla volta della Thailandia, Anna e le sue compagne di viaggio hanno scelto di approfittare degli scali imposti dall’itinerario, per estendere gli orizzonti e visitare alcuni paesi dell’Indocina; tra le mete prescelte, i corsi cambogiani, raccolti sotto il nome di Tonle Sap in virtù della destinazione comune, diventati riserva della biosfera dell’UNESCO nel 1997, che ospitano complessivamente una sessantina di comunità galleggianti .
«L’escursione verso il lago Tonle Sap era comoda perché ci permetteva di spostarci verso Siem Reap, dove eravamo dirette; essendo arrivate nella stagione delle secche, però, molti dei corsi di fiume più gettonati durante la stagione turistica non erano percorribili. Noi abbiamo dovuto prendere un pick-up per arrivare al punto d’imbarcazione più vicino a dove ci trovavamo, nei pressi di Battambang, e per i primi 45 minuti di navigazione ci spostavamo senza motore, attraverso pali usati per fare leva, perché l’acqua era troppo bassa».
La scelta del percorso si rivela fortunata, perché permette ad Anna di immergersi nella realtà cambogiana e scoprire uno stile di vita totalmente nuovo: l’imbarcazione su cui si trova a viaggiare è un mezzo pubblico via mare, con fermate previste per far salire e scendere i passeggeri, che abitano e lavorano in edifici galleggianti, attraccati sulle coste del fiume. «La prima cosa a stupirmi è stata proprio l’abilità di identificare il punto esatto d’attracco! Non riuscivo a capire con quale criterio stabilissero di fermarsi in un determinato punto, all’interno di quello che a me sembrava un paesaggio tutto uguale, anche se straordinario».
Straordinaria è la scelta di vivere in un ambiente naturale così atipico, che costringe la fantasia a pensare architetture che si adattino all’elemento acqueo e siano funzionali alle attività che esso impone: «Pur essendo sempre lo stesso, il paesaggio ha una varietà di strutture che incuriosiscono lo sguardo di chi lo visita: molte aree sembrano degradate, soprattutto quelle che ospitano villaggi di case modeste, baracche in lamiera issate su piccole barche; altre hanno invece immobili grandi, imbarcazioni ampie attraccate attorno a palafitte ben organizzate. Anche le tecniche di pesca, che è l’attività principale se non l’unica, contribuiscono a rendere vario il paesaggio, con reti intrecciate in forme particolari o issate su grandi strutture».
Non da meno è l’influsso che l’ambiente ha sullo stile di vita dei suoi abitanti, vincolati ad attività marittime, sulla loro crescita e conformazione fisica: «Ero stupida dell’abilità a navigare anche dei bambini più piccoli, lasciati liberi di muoversi da soli sul corso d’acqua. Ho però anche notato che assumono presto una postura incurvata, probabilmente dovuta al fatto di trascorrere molto tempo in barca e camminare poco».
Nella memoria di Anna, il viaggio lungo il Tonle Sap porta con sé il brivido di un’escursione immaginifica, un’immersione nell’incontaminato confermata dalla reazione dei suoi abitanti: «Chi vive nelle comunità è disturbato dal passaggio di imbarcazioni a motore di grandi dimensioni, perché smuovono l’acqua in modo innaturale, spezzando i ritmi dettati dall’ambiente e confondendo i pesci».
Completamente diverso è l’approccio a imbarcazioni a motore e flussi turistici da parte degli abitanti del lago Inle (72 km²) , in Myanmar. Beatrice, di rientro da un viaggio organizzato tramite agenzia in terra birmana, racconta del tour previsto in questa riserva naturale, da cui sono banditi tanto l’uso di sostanze chimiche quanto l’ingresso a lance di portata superiore ai cinque passeggeri: «L’attività turistica attorno al lago Inle è molto sviluppata: vi si affacciano molti torrenti navigabili, alcuni dei quali portano a località vicine, altri a monumenti come la pagoda delle cinque statue d’oro del Buddha (portate annualmente in processione a bordo di una sfilata di lance), altri ancora permettono l’accesso diretto agli alberghi costruiti su palafitta, che solitamente hanno un doppio ingresso, via acqua e via terra. Quasi tutte le strutture, abitazioni private o luoghi pubblici che siano, sono costruite su palafitte, a volte nettamente separate dalle strade d’acqua che attraversano i villaggi, altre volte collegate tra loro da ponti o parzialmente ancorate alla terra ferma».
Fondamentale, anche qui, è acquisire, fin dalla più tenera età, abilità e disinvoltura nella navigazione, di cui gli abitanti locali danno prova in età adulta nella perizia con cui si spostano tra i canali del lago Inle: «Per superare i numerosi dislivelli – spiega Beatrice – sono state costruite dighe in bambù che permettono la creazione di gradinate d’acqua, formate da scalini bassi e lunghi, attraverso cui le lance riescono tanto a scendere, evitando di cascare in modo brusco, quanto a salire, affrontando il cambio di livello progressivamente. I passaggi attraverso le dighe sono molto stretti, esattamente quanto le lance, e la forma a imbuto non agevola la prospettiva, ma i locali li affrontano con sicurezza».
Ancora più maestria, poi, serve per la realizzazione di quella che Beatrice descrive come la più affascinante delle attività svolte sul lago Inle: «Tutta la distesa d’acqua è intervallata da orti galleggianti, composti da zolle dalla forma stretta e allungata e attraversati da strade d’acqua, che permettono l’accesso ai contadini. Sono i contadini stessi a creare l’orto: raccolgono le radici dei fiori di loto che proliferano nel lago e, ancorandole con pali al fondale, creano zolle alte una trentina di centimetri, di cui la metà immersa in acqua; marcendo, il fiore di loto si trasforma in humus fertile per coltivare. Il lavoro negli orti è davvero faticoso, sia perché tutte le attività sono svolte accucciandosi e sporgendosi dalla lancia, sia perché la zolla ciclicamente si consuma e va ricostituita raccogliendo nuove radici».
Proprio la fragilità delle zolle è il motivo del divieto d’accesso al lago a imbarcazioni di grandi dimensioni, il cui passaggio potrebbe danneggiare l’ancoramento degli orti e, quindi, rendere impossibile un’attività che si sviluppa in perfetta sintonia con l’habitat in cui si svolge e rappresenta, pur nei limiti delle sue dimensioni ridotte, un modello di sviluppo ecosostenibile.
Fotografie di Anna Innocenti e Beatrice Bortolotti
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