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L’abolizione dell’integrazione nel nuovo Decreto Sicurezza

Siamo ormai prossimi al compimento del primo bimestre dall’entrata in vigore del Decreto sicurezza e immigrazione, sebbene solo quindici giorni fa sia stata data convalida per convertirlo in legge. La sua applicazione decorre già dal 5 ottobre, per via dei connotati di emergenza della sua materia; titola infatti il Decreto: Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.

Già queste prime righe basterebbero a suscitare almeno un paio di perplessità. Da un lato, l’accostamento tra due problematiche che hanno tra loro caratteristiche di legalità decisamente diverse: se, infatti, è indubbio che la criminalità organizzata e le associazioni di stampo mafioso siano un problema storico in Italia, che continua a creare situazioni di sfruttamento di esseri umani e di uso illecito di denaro e a originare, in alcune città italiane, uno stato di vera e propria guerriglia armata, tuttavia, accostare tale problematica al fenomeno migratorio sembra quantomeno forzato.  In primo luogo perché la migrazione non sempre coincide con la clandestinità (e il Decreto discute anche aspetti legati all’acquisizione della cittadinanza italiana), ma soprattutto non per forza determina una situazione di insicurezza per lo stato accogliente.

Dall’altro lato, invocare lo stato di emergenza per rendere attivo il Decreto nell’immediato sembra più una mossa propagandistica che di politica assennata, dal momento che le problematiche sottolineate sono di vecchia data e necessitano di una programmazione di largo respiro per trovare soluzioni concrete. Inoltre, il fenomeno migratorio negli ultimi due anni ha mostrato un netto calo, stimabile intorno al -85%, passando dai 164˙872 immigrati del 2016 ai 114˙611 del 2017 e 22˙518 a metà Novembre 2018. A ciò si aggiunga la considerazione che, come più volte ribadito dal direttore dell’Inps Tito Boeri, l’arrivo di popolazione giovane in un Paese come l’Italia, caratterizzato da una contrazione del numero delle nascite (circa -2,65% dal 2017 al 2018) e in cui non si arrestano i movimenti di emigrazione (circa 285˙000 cittadini usciti dal Paese nel 2017, soprattutto appartenenti alle fasce giovani), è di supporto al bilancio economico. La questione era già stata affrontata nel 1998 con la Legge Turco-Napolitano che, considerando che per mantenere un bilancio attivo sarebbe stato necessario mantenere flussi di ingresso di circa 170.000 unita annue, stabiliva politiche volte a favorire l’immigrazione regolare.

Con il Decreto 480/2018 cambia innanzitutto l’approccio della Repubblica Italiana nei confronti dei richiedenti asilo. Attraverso l’Articolo 1 viene infatti abolito il diritto alla protezione umanitaria, previsto dal Testo unico sull’immigrazione del 1998 e figlio di un percorso della politica italiana che risale agli arbori della Costituzione stessa, che garantisce diritto di asilo a chiunque non goda nel Paese d’origine di una democrazia uguale a quella istituita in Italia. Dall’autunno di quest’anno, tale diritto non è più riconosciuto, ossia si disconosce la tutela nei confronti di coloro i quali rischiano nei paesi d’origine trattamenti disumani, degradanti o in conflitto con i loro diritti democratici. Si istituiscono invece “permessi speciali”, che variano dal permesso per cure mediche o per gravi maltrattamenti e/o sfruttamento (di validità annua fino al permanere delle condizioni ma convertibile in permesso di lavoro o di studio), al permesso per calamità naturali, valido solo su territorio nazionale per 6 mesi e non convertibile in un permesso di lavoro o di studio. A questi si aggiunge un permesso di soggiorno per chi si distingue per atti di valore civile, della durata di due anni e non rinnovabile.

La limitazione del rinnovo dei permessi, presentata come mezzo per garantire che non stazionino in territorio italiano persone che hanno perso il diritto a risiedervi, comporta nei fatti l’emarginazione, con la logica conseguenza che chi godrà di questi permessi speciali non sarà nei fatti motivato a essere contribuente dello sviluppo economico e sociale di una comunità di cui farà parte per un periodo di tempo ridotto. Allo stesso modo agisce l’articolo 13, che esclude il richiedente asilo dal diritto alla residenza nel comune in cui abita: la mancata residenza, infatti, comporta l’impossibilità di accesso al mondo del lavoro, rendendo impossibile l’assunzione regolare, così come l’esclusione da ogni tipo di formazione scolastica, dall’apprendimento della lingua italiana ai percorsi di specializzazione.

Ulteriore ostacolo al percorso integrativo è dato dall’abolizione del Sistema dell’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati (Sprar), istituito nel 2002, che rimarrà attivo solo per minori non accompagnati e titolari di protezione internazionale. Il sistema verrà sostituito da Cara e Cas, ossia centri per l’accoglienza straordinaria, il cui orientamento non va in direzione di un’integrazione utile dei migranti, bensì del mero stazionamento di persone, limitate nei diritti di movimento, ricerca di lavoro, formazione scolastica e soprattutto autodeterminazione. Con la scusa di contrastare l’operato, senza dubbio non sempre corretto, delle cooperative cui lo Stato aveva delegato la gestione dei flussi migratori irregolari, anziché istituire un sistema di vigilanza volto a una trasparenza delle spese e a una garanzia dei fondamentali diritti degli ospiti di questi centri, si aboliscono insomma i diritti stessi, si tagliano le spese ricusando ogni utilità di investimento e si creano spazi in cui si nega ogni valore allo scambio interculturale e all’integrazione.

L’articolo 10, comma 3 della Costituzione italiana.

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Sara Ferrari

Nata e cresciuta nelle valli bergamasche a fine anni 80, con una gran voglia di viaggiare, ma poca possibilità di farlo, ho cercato il modo di incontrare il mondo anche stando a casa mia. La mia grande passione per la letteratura, mi ha insegnato che ci sono viaggi che si possono percorrere anche attraverso gli occhi e le parole degli altri; in Pequod faccio sì che anche voi possiate incontrare i mille volti che popolano la mia piccola multietnica realtà, intervistandoli per internazionale. Nel frattempo cerco di laurearmi in filosofia, cucino aperitivi e stuzzichini serali in un bar e coltivo un matrimonio interrazziale con uno splendido senegalese.

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