La seconda vita dei beni confiscati
Progettualità che fioriscono negli spazi confiscati, nati a seconda vita grazie alla legge sul loro riutilizzo a fini sociali, promossa da Libera nel 1996. Negli ex-fortini del riciclaggio e della malavita trovano posto i laboratori della Milano che verrà.
In via Jean Jaurès, incastrata tra viale Monza e Martesana, la web-radio Frequenze a Impulsi fa da polo d’attrazione giovanile. Prima c’era un night club, ora uno studio di registrazione gestito dalla fondazione Arché. Dietro ai microfoni, ragazzi che parlano a ragazzi. Nord-ovest di Milano, nel dedalo di Baggio l’associazione Il Balzo promuove iniziative e progetti per giovani con disabilità. «Vedo, sento, parlo»: un sabato pomeriggio di danza creativa davanti al volto di Lea Garofalo, sulla bandiera di Libera appesa al muro. Allo Spazio Momigliano della Cooperativa Zero5, nel bel mezzo del difficile Stadera, un bar in mano alla mafia si è trasformato in luogo di compiti e attività per preadolescenti dei dintorni.
Cascina Chiaravalle (in copertina) accoglierà famiglie senza casa. Due passi dai palazzi Eni di San Donato, i grattacieli della Milano amministrativa sullo sfondo, poco distanti in linea d’aria. Ospiterà 18 appartamenti. 2mila metri quadrati di superficie immobiliare e 15 ettari di terreno agricolo: il bene più grande confiscato all’ombra della madonnina, oltre che l’ultimo in ordine cronologico. Il viaggio inizia e finisce qui.
E poi box, appartamenti, terreni. Depositi di materiale e sedi d’iniziative. Destinate a donne, anziani, migranti, carcerati. Un dantesco contrappasso, col bene pubblico a riprendere il suo posto dove per anni ha dominato il losco interesse privato.
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